“Potere alla parola”: il rap in Italia diventa una cosa seria

Difficile palare di rap in Italia. La “scena”(è questo il termine che viene utilizzato per identificare il movimento legato alla cultura rap ed hip hop) ha sempre vissuto nell’ombra sin dai suoi esordi. C’erano le ballotte, le crew, le posse che tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 erano disseminate lungo lo stivale (Milano, Bologna, Roma, Torino) e sfornavano 45” quasi sempre di denuncia sociale e politica.

Un LP vero e proprio mancava ed era difficile pensare ad un futuro discografico per la “scena”, più credibile erano le autoproduzioni o al massimo delle piccole etichette indipendenti che riuscivano ad avere il budget necessario per la stampa dei vinili (già, perché in ogni caso era su vinile che si stampava, ed era sui piatti che si facevano suonare i brani, altrimenti dove lo metto lo “scratch”!!).

L’uscita di “Verba Manent” pertanto segna un unicum e, contemporaneamente un punto di partenza per il rap in Italia.

Frankie Hi-Nrg Mc (nome sicuramente più ad effetto che Francesco Di Gesù) riesce a mettere in fila una serie di tracce dall’impatto devastante. Mitragliate di parole e rime capaci di arrivare allo stomaco, di non lasciare mai indifferente l’ascoltatore che si trova così spalle al muro costretto ad ascoltare, a prestare attenzione…e anche a riflettere su quanto sta ascoltando.

Frankie Hi-Nrg Mc – Verba Manent [Ascolta Qui]

D’altronde il titolo stesso dell’album è già un chiaro “manifesto di intenti”, le parole restano (in totale contrasto con il detto latino).

Sedici (16) tracce potenti, dirette, incisive. Si parla di media, di razzismo, di mafia, di guerra, di memoria storica. Canzoni come Fight da Faida (influenze alle Beastie Boys) o Libri di Sangue restano impresse. I ritornelli diventano subito proiettili che ti rimbalzano in testa.

Potere alla parola e Disconnetti il potere non lasciano spazio alle interpretazioni. La prima sottolinea la necessità di utilizzare il giusto linguaggio, ma soprattutto di utilizzare le parole, capaci di offendere molto più delle azioni. La seconda è una denuncia tout court sulla televisione, ormai diventata “oggetto catalizzante” per milioni di persone che ne diventano spettatori passivi.

Ritmiche decise, a volte campionate (altra arte tipica dell’hip hop), a volte suonate. Giri di basso incalzanti. C’è gusto nella scelta dei suoni, si sente che si tratta di un album che nonostante strizzi l’occhio alle tendenze a stelle e strisce è pensato e realizzato nella patria della melodia per eccellenza.

Non so quale sarà il destino del rap in Italia, ma di certo so che questo album segna un punto di svolta. Qualcosa che non potrà non essere tenuto in considerazione nel futuro prossimo e che sicuramente avrà la capacità di influenzare parecchi artisti emergenti che si vorranno defilare dalla classica forma-canzone.

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