Faber Nostrum che sei nei cieli, abbiamo santificato il tuo nome

La musica è fatta di molte cose difficili. Alcune perché poco comprensibili, perché oscure, altre perché difficilmente replicabili. Chi la musica la ascolta e la pensa (e la fa) sa bene che in questa immensa selva oscura, poche cose sono meno avvicinabili del cantare un cantautore. Questo perché quello che fa un cantautore è stretto tra quello che dice, quando lo dice, a chi lo dice, e soprattutto come lo dice. Ognuno degli amati cantautori italiani è innanzitutto la propria voce, il proprio carattere: è imprescindibile. E tra tutti, forse nessuno è difficilmente replicabile come Fabrizio de Andrè.

Tuttavia negli ultimi tempi, grazie a un certo spirito vagante tra i giovani, qualche anniversario, qualche libro e qualche film, Faber sta scoprendo una nuova alba, talmente luminosa da eguagliare la prima. Certo, con differenze di scenario alquanto abissali. Sono cambiati i giovani, gli ideali, gli ambienti musicali e politici, e sono cambiati anche i cantautori. Ma in tutto questo, sembriamo essere d’accordo su una cosa: quello che Faber ha fatto, chi è stato, l’immagine che ha lasciato di sé, tutto ciò si è cristallizzato col tempo per diventare di valore, semplicemente qualcosa di prezioso, un’idea da accarezzare anche se effettivamente utopica, passata e malinconica.

Lo si capisce perché, in genere, quelli che lo amano davvero non sanno raccontartelo a parole, e fanno un espressione come “che te devo dì? Fabrizio è Fabrizio”.  Alcuni dicono – hanno detto e diranno – che si sia generata una iperbolica sopravvalutazione di Faber, che di per sé non ha nulla di brillante. Ma in verità in verità vi dico: vi sbagliate.

Certo, benché il gradimento sia qualcosa di oggettivamente soggettivo, la qualità molto spesso non lo è (consiglio a tal proposito la lettura di Falegname di Parole, Le canzoni e la musica di Fabrizio de André di Luigi Viva). Il motivo è presto detto. Che senso ha dare del sopravvalutato ad un cantautore che tutt’oggi ispira in modo così esplicito i suoi simili al punto da creare i presupposti per un album come Faber Nostrum? Probabilmente nessuno.

Ascolta qui Faber Nostrum

Uscito il 26 aprile, l’album è un umilissimo, curatissimo, concentratissimo tributo musicale a Fabrizio, da buona parte dei cantautori “giovani” più diffusi di oggi: Gazzelle, Colapesce, Ex-Otago, Motta, Lo Stato Sociale e CIMINI, Willie Peyote, The Zen Circus, Pinguini Tattici Nucleari, Ministri, Fadi, Artù, The Leading Guy, Canova, Vasco Brondi. Anticipato da alcuni singoli – come quello di Amore che vieni amore che vai degli Ex-Otago o Canzone dell’amore perduto di Colapesce – la promessa e l’aspettativa su questa uscita erano piuttosto elevati, come si può ben capire. D’altronde, quando si pretende di toccare qualcosa che ha assunto una certa sacralità, il rischio di eresia è in agguato. Tuttavia, si può tranquillamente dichiarare che il peggio è stato evitato, e che anzi, ciò che ne esce è proprio come un tributo dovrebbe essere. Nostalgico, moderato, piacevole.

Uno dei punti a favore è che che ogni artista ha presentato una propria personale versione di ogni brano, appropriandosi un pochino del Faber in ogni canzone.

Certo, non tutti con lo stesso risultato in termini di successo. Ma su quindici brani, la media si mantiene alta. Alcuni si sono accostati di più all’originale, appoggiandone i contorni, forse per attitudine naturale, come nel caso dell’Hotel Supramonte degli Zen Circus, o Motta con la sua Verranno a chiederti del nostro amore. Altri hanno osato di più in direzione della propria identità, come La canzone di Marinella de La Municipàl, che inseriscono una brillante citazione di chitarra da Bang Bang di Nancy Sinatra, oppure Il bombarolo di  Willie Peyote. Insomma, si può dire che in questo album, grazie a coloro che vi hanno contribuito, Fabrizio c’è davvero. Certo, impossibile escludere che i nazi-deandreisti storceranno il naso, ma è una reazione che tutto sommato rimane largamente comprensibile. Insomma, queste canzoni sono pur sempre le reliquie di un santo.

Quello che di certo rimane alla fine di questa ora di ascolto è comunque un enorme, irrisolvibile interrogativo, misto a disappunto, perché ad un tratto tutto diventa “vorrei davvero che  Fabrizio potesse sentire questa cosa”. Diciamolo, chi non vorrebbe sapere che ne pensa proprio Lui? A partire dal fatto che l’abbiamo così santificato. Lui che “non per un Dio ma nemmeno per gioco”, lui sempre così controverso, nascosto e dissacrante. Lui che di Dio aveva un’idea tutta sua, ma che soprattutto pensava per gli uomini, gli ultimi. Che direbbe di noi che abbiamo raccolto la sua ispirazione e ce la mettiamo come scudo nel 2019 al grido di Faber Nostrum? Beh, per fortuna non lo sapremo mai.

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