Cieli semicoperti e piogge rituali: settembre è tornato. Alle nostre spalle abbiamo lasciato oltre un mese di estate, carico da novanta a cui, adesso, aggiungiamo anche il peso dei bilanci di fine agosto e dei buoni propositi per l’imminente stagione autunno-inverno. La salsedine, il caldo e le giornate terribilmente lunghe resistono comunque al tempo che va e nei fondi residuali lasciati dal mare scorgiamo un’eco: sono le canzoni dell’estate, la colonna sonora dei mesi appena trascorsi. Una galleria di suoni e voci che adesso ci conferma con chiarezza che, anche questa volta, è servita un po’ di malinconia per sopravvivere all’estate: un rumore d’onde soffuso, un tramonto diluito lungo l’orizzonte del mare diffuso, un albero di fichi maturo al punto giusto. Un samba triste, la saudade, la bossa nova.
Dopo i pianti urlati degli amori giovanili stracciati lungo i viali trafficati, gli eco synth trentennali di storie archetipiche, le ironie e le autoironie di ogni sorte, abbiamo aperto le porte del nostro cuore alla più sincera nostalgia verso tempi remoti e luoghi irrecuperabili. Spazi indefiniti e, forse, mai realmente esistiti. Pronunciamo tutto questo con verbi al passato e con occhi corrugati dal sole e capiamo, in fondo, un po’ di senilità non fa male.
Così è cambiata anche la nostra colonna sonora dell’estate, su queste prospettive qualche stagione in più dell’ingorda scena musicale italiana ci ha condotto a un’estate la cui colonna sonora ci riporta ai versi di Vinicious de Moraes, di Toquinho, della Garota de Ipanema e delle carezze di Ornella Vanoni: a quella bossa nova gravida di tenera nostalgia e a quel samba che per essere bello, come recita il Samba delle benedizioni, ha anche bisogno di un poco di tristezza.
Eccola, quindi, la nostra colonna sonora estiva tinta di saudade.
E se quando – Delicatoni, Coca Puma
Presentato al MI AMI Festival lo scorso 23 maggio, è un duetto dolce e sperimentale in cui lo smooth dei Delicatoni si mescola alla poliedricità sonora di Coca Puma. La profondità della voce di Antonio Bettini, dunque, con la verticalità di Costanza Puma, in arte, appunto, Coca Puma. E se quando è un brano che si espande lento su un cielo terso per raggiungere un altrove sospeso nel tempo e nello spazio. Immaginario, sì, ma non astratto. Quel tempo esiste e risiede nell’estate, la stagione del sogno per eccellenza. Breve età dell’attesa, stagione fluida e tremendamente libera. Adolescenza, gioco, versi di animali e lieto caos: questa è E se quando.
Felini – Venerus, Marco Castello
L’epica della colonia felina dell’emirato di Ortigia, Marzamemi e Capo Passero. È Felini, singolo di Venerus con Marco Castello, uscito il 4 luglio per Asian Fake/EMI Records. Il binomio chitarra e voce dei due artisti ci conduce perciò in un pomeriggio d’agosto a bordo di una barchetta a remi in cui protagonista è la vita di un gatto di città alle prese con le luci dei semafori e i piccioni che tubano, con un pesce stretto tra i denti e mostrato con fierezza e una gattina d’appartamento a cui offrire un topolino di campagna. Felini è proprio una saudade felina: è un brano che invoca la calma ferale che solo l’estate, con la sospensione dei ritmi lavorativi e con il ripristino di un tempo biologico, può riportare.
U mari – Anna Castiglia, Selton
«Mbare! Que demais essa versão siculo brasileira 🎉Fantastici! 🎶»: ecco, il dono della sintesi dei commenti YouTube.
Che sia l’Oceano Atlantico o il Mar Mediterraneo, infatti, poco importa: è il mare che unisce e lega voci, note, colori e odori in U mari, brano di Anna Castiglia già presente nel suo premiato album d’esordio e adesso riadattato in sintonia con i Selton. È il brasiliano di Porto Alegre a introdurci adesso lungo le spiagge della Playa di Catania, di Aci Trezza e di San Giovanni Licuti, ci lascia accostare nei pressi dell’Isola Bella di Taormina e infine ci consegna tra i rivoli di un catanese intimo e narrativo, tratto distintivo della scrittura di Anna Castiglia. Così, le sonorità samba dei Selton si sono lasciate cullare dalle onde del mare, invitandoci al sogno: Dumani, fussi sula ‘ndo mari/ Mi facissi annacari ppi ‘nzunnari.
Che storia sei? – Shablo, Joshua, Nayt, Joan Thiele
In questo caso, l’estate sembra lontana. Il primo verso cantato da Nayt in Che storia sei, settima traccia di Manifesto, il disco di Shablo rilasciato giusto un mese fa, racconta di un «diluvio universale». Certo metaforico, come poi conferma il riferimento alle lacrime nel verso successivo, ma è chiaro che la canzone sia ben distante dal desiderio di spensieratezza e fuga dal tempo espresso dai brani precedenti. Questa non è una canzone estiva, è chiaro. Al contempo, alle incomprensioni di una relazione incontrollabile fanno da sottofondo dolci sonorità tropicali. Scandite da sottili percussioni – il sample sembra uno schiocco di dita –, fiumi di flauti traversi e chitarre sfiorate appena dal vento ci appaiono così provenire dalla medesima regione oltreoceano dei brani sopra citati: da quell’Oceano Atlantico le cui onde scorrono senza sosta verso coste ignote.
Perché senza tempo e senza meta questa musica proveniente dalle spiagge di Rio de Janeiro attraversa cielo e mare e in questo momento ci permette, con la sua saudade, un dolce naufragare.
Tuareg – Laila Al Habash
Eccola, la canzone di fine estate. Tuareg di Laila Al Habash non è arrivata in ritardo, non poteva presentarsi così a giugno o a luglio. Era una storia che doveva maturare proprio nell’estate, affondare nel sole che si dissolve lontano nella foschia delle Eolie per poi sprofondare cullata dalla bonaccia. È una canzone nata in estate e che parla dell’estate, ma che la racconta da reduce:
«Questa è stata la prima canzone che ho scritto per il nuovo album. È venuta fuori tutta d’un fiato, come se avesse preso vita da sola — un po’ come quando scoppia un pianto improvviso e, subito dopo, ci si sente più leggeri. È nata così, spontaneamente, mentre affrontavo la mia prima estate torrida passata a Milano, senza niente di particolare da fare e con la voglia di struggersi che hanno i disperati»
ha spiegato proprio l’autrice in occasione della sua presentazione, lo scorso 29 agosto.
Con ancora con la sabbia addosso e le spalle abbronzate riviviamo le impressioni di un’estate nata al condizionale, «Trascorrerei su un pedalò/ Tutta l’estate a scrivere di te/ E avrò vergogna se poi ti accorgi che/ Che canto dei nostri corpi» e conclusa al passato «Te ne sei andato senza cerimonie/ E m’hai lasciato tutta nuda alle Eolie».
Tuareg è il bilancio di fine agosto, la nostalgia di inizio settembre: il ricordo degli attimi eterni di un’estate sospesa e la malinconia della sua caducità. Noi, comunque, sappiamo che continueranno a vivere lì, indelebili: in quelle spiagge adesso svuotate e nello scroscio delle onde in cui risuonano ancora la saudade e i samba tristi.
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