“A me non serve niente”: Dimaggio tra consapevolezze e dure verità
Riccardo Roma, in arte Dimaggio, classe 2003, è un cantautore della provincia leccese, più precisamente di Novoli, dove ha gettato le basi della sua ricerca musicale che continua oggi tra Milano e Bergamo. “A me non serve niente” è il suo primo EP nel quale esordisce con una certa consapevolezza e autoanalisi, e oserei dire non nonostante la sua giovane età ma proprio per la sua giovane età, perché ci è sempre più chiaro quanto le nuove generazioni siano quelle che si battono di più, che si mettono in discussione e provano a scuotere le coscienze di chi invece è adulto già da un pezzo. È questo il concept dell’EP che prende nome dalla canzone omonima “A me non serve niente”: il grido di chi ha smesso di dare importanza ai giudizi e alle richieste altrui ed è stanco dei sensi di colpa esaltati dalle mancanze ricevute da chi amiamo e da cui invece vorremmo essere visti e ascoltati.
Dimaggio si mostra molto sensibile ed empatico, attento e riflessivo riguardo a tutte le interazioni che vive, dentro e al di fuori di sé. Non mancano amarezza e lame affilate ma anche tanta introspezione e una ambita pace.
Menzione d’onore dunque, non solo ai testi ma anche alla produzione e agli arrangiamenti che lasciano un’impronta cantautorale attraverso un indie-pop che crea dipendenza (!).

“Le nonne e le chiese” apre il tuo EP. Parla di una grande presa di coscienza che porta a un finale amaro. È il prezzo delle proprie consapevolezze?
Esatto! Io credo sia proprio il prezzo delle mancate consapevolezze di altri. Quando tu elabori qualcosa e hai di fronte chi invece non ha ancora i mezzi per farlo a sua volta, sei portato a rinunciarci per istinto di sopravvivenza.
“A me non serve niente“: è una affermazione di difesa o di accettazione?
Bellissima domanda… è un’affermazione di consapevolezza, non è una difesa ma forse è un attacco. Una frecciatina… per comunicare che, nel momento in cui raggiungi un’integrità personale, nessuno può più mettere mano su quello che è tuo e su quello che sei.
Pensi che le mancanze possano essere utili alla nostra crescita personale?
Sono mancanze che io non auguro, in generale. Credo che ci siamo abituati perché siamo figli di una generazione irrisolta, sicuramente ti fortificano ma non significa che non ci si possa fortificare in una maniera meno dura.
“Attacco di panico” è una traccia skit, c’è un ritmo diverso, uno stile che si stacca dal resto dell’ep. Perché questa scelta?
Avevo bisogno di sperimentare. E questo ha un po’ a che fare con il mio modo queer di vivere la vita. Ho bisogno di vedermi anche in altre vesti e, in questo caso, di un travestimento un po’ più aggressivo. Di solito sono un piagnucolone… Volevo testarmi e vedermi in quella dimensione, che non è detto sia l’ultima…
C’è una canzone tra queste che ti ha fatto soffrire di più?
Credo che sia La sera dei licantropi. A me fa soffrire nonostante sia la più vecchia che abbia scritto. È capace di riportarmi in un momento della mia vita in cui la gestione della mia emotività non era così sana, è un brano che ho scritto quasi disperato, quindi mi riporta a quella sensazione anche quando la canto.
“A me non serve niente” è il tuo primo EP, come si è evoluto Dimaggio durante il processo di produzione di questo lavoro?

La produzione è stata una full immersion, è stato il momento in cui ho preso davvero atto di star facendo il mio primo EP. Una bellissima esperienza perché ho avuto accanto le persone migliori che potessi avere, tra cui il mio chitarrista, Emanuele Dell’Abate, che ha dato una mano nell’arrangiamento e nella produzione, il mio produttore Wepro, uno degli artisti, produttori e persone migliori che potessero capitarmi, e poi avevo la mia manager Cristiana Francioso / Alpaca Music che è stata capace di mettermi in una condizione di profonda tranquillità anche nei momenti in cui ero più titubante. Essere circondato da persone speciali credo sia stata la mia grande fortuna.
I tuoi testi risuonano molto come un manifesto generazionale. Come vivi la società che ti circonda oggi?
In generale sono un combattente, quindi non la vivo male, altrimenti sarei condannato a non vivere la mia vita, però la analizzo, la osservo e, quando posso, la critico. Mi piace poter mettere nella mia musica tutto quello che penso sia giusto o ingiusto, ciò che mi piace o meno, anche in piccole sfumature. Dunque non è detto che la canzone debba diventare il manifesto, ma i messaggi veicolati nella canzone possono diventare un mezzo che aiuta qualcuno a sentirsi meno solo in certi momenti, è questo quello che cerco di fare. A me con la musica succede così.
Che rapporto hai con la terapia?
Un rapporto d’amore. Forse la relazione più sana che abbia mai avuto. La terapia non mi ha mai spaventato, ed è questo che mi ha reso il Riccardo di A Me Non Serve Niente. È qualcosa di cui ho voluto parlare volontariamente e anche con rabbia, ad esempio nella frase de Le nonne e chiese “Lo sai che la mia terapista ti conosce molto bene” è per dire “tu neanche te ne accorgi ma parlo di te continuamente” persino in quello che è lo spazio più sano che ho, in cui mi sono decostruito e ricostruito. È un’esperienza che va promossa, sia quando ce n’è più bisogno ma anche quando no. Ci sta fare un check delle proprie emozioni, esperienze di vita, per capire quello che siamo a cosa è dovuto, se è ciò che vorremmo essere o anche semplicemente per individuare una serie di accolli. (ride)
La prossima data live Dimaggio è a Roma, il 23 gennaio al Charleston Club.