“Acqua Santa”, il contraltare degli individualismi e delle strade facili

Acqua santa, il nuovo disco di Francesco Di Bella, è arrivato alla fine di gennaio, anticipato da qualche singolo, tra cui Che ‘a fa?, una collaborazione con Alice del Thru Collected. È un album, per certi versi, fuori dai tempi. Un disco che entra in punta di piedi, facendo poco rumore. Tanto nel sound, che guarda al folk e all’ambient, quanto nella promozione misurata, senza necessità di urlare, concentrata a dare risalto al lavoro in sé più che alle sovrastrutture.

Acqua santa è un album che parla di amore: non tanto dell’innamoramento, che alla fine è un atto quasi narcisistico, quanto delle fasi centrali dell’amore in una relazione duratura. Un amore che è prima di tutto sacrificio, ma che alla fine è l’unico modo per trovare la pace con sé e con gli altri. Prodotto da Marco Giudici, l’album si colloca in un altro universo rispetto alla produzione del cantautore con i 24 Grana. Qua non c’è caos, non c’è protesta in senso stretto, ma c’è l’introspezione, e ci sono i sentimenti più reconditi.

Abbiamo incontrato Francesco Di Bella, e ci siamo fatti raccontare le scelte dietro l’album, i modi terreni e ultraterreni per raggiungere la pace, perché i cantautori quest’anno sono esplosi a Sanremo, e tante altre storie.

Francesco Di Bella - Acqua Santa cover
Francesco Di Bella – Acqua Santa [Ascolta qui]
Acqua santa”, il tuo nuovo disco, è arrivato a quasi sette anni di distanza da “O’diavolo”, il disco precedente. È un album che cerca di porre la convivenza e la condivisione come antidoto all’individualismo. L’idea di questo disco era presente fin da ‘O diavolo, o l’hai maturata in seguito, anche in seguito ad avvenimenti, come la pandemia, che hanno forzatamente costretto le persone a passare più tempo da sole?

Non avevo idea, quando ho scritto ‘O diavolo, di farne un contraltare. È venuto di conseguenza: raccontando gli egoismi che pervadono la società, ho capito che c’era uno spazio bianco da raccontare, che era quello della ricostruzione. Ho ritrovato quello che alla fine è importante in valori contrapposti a quelli raccontati nel disco precedente. Ma no, non ci avevo pensato all’epoca.

Il disco si apre con “Che ’a fa?“, un brano con Alice del Thru Collected. I Thru Collected raccontano spesso che, tra loro, non fanno mai musica in napoletano, perché hanno visioni troppo diversi su cos’è per loro la tradizione, dal punto di vista musicale. Cos’ha convinto Alice, di te, a cimentarsi con questa lingua e cpn questo tipo di canzone?

Credo che Alice si sia divertita tantissimo a cantare in napoletano, è stata molto felice. Non ho dovuto convincerla troppo, le è piaciuta la canzone, ed è questo che le ha fatto scattare la voglia di provarci. Si è confrontata con una lingua che canta benissimo, secondo me.

Nel pezzo c’è questo mantra ripetuto spesso, “‘o scuro nun me passa cchiù“: che tristezza è, questa che non passa?

Nella canzone, è una malinconia per una relazione che sta attraversando un momento duro. Tutto il disco cerca di fare coraggio in questo senso. È un disco che racconta l’amore non all’inizio, non alla fine, ma durante. Afferma che ci vuole un enorme spirito di sacrificio, nell’affrontare una relazione duratura.

Questo spirito di sacrificio, alla fine, è un po’ quello che si trova in “Stella che brucia“, brano con Colapesce, dove alla fine dici che “l’amore è una salita ripida che ti spezza il cuore“. È un disco d’amore, sì, ma è un amore difficile, che ti costringe a fare fatica.

Esatto. È un disco che vuole portare avanti valori che sembrano avere un carattere debole, al momento. La condivisione, l’altruismo, che partono da relazioni vicine, ma sono temi che si possono applicare anche alla politica e al mondo. In qualche modo, solo un grande spirito di sacrificio può metterti in relazione con gli altri in maniera amorevole.

Francesco Di Bella – foto del Thru Collected Studio

Il disco lascia molta malinconia. Nei testi, lo stiamo dicendo, ma anche in certi meccanismi: in “Mmiezz’ ’a via”, ad esempio, alla fine c’è uno spoken word che smuove un forte senso di malinconia.

Certo, il disco smuove la malinconia, e tante sensazioni difficili. Ma mette anche pace, alla fine. Quando affronti queste sensazioni, poi le vinci. Per me è un disco della vittoria, che dietro si porta la consapevolezza che gli obiettivi e le mete vanno raggiunti con sacrificio – a cui però aggiungiamo la leggerezza e la bellezza dei rapporti. Alla fine, i rapporti veri ci ripagano, e lì sentiamo una sensazione di pace.

Parli ora di pace, e già molte volte abbiamo parlato di sacrificio, due parole con una forte connotazione religiosa. Anche nel disco: oltre al titolo, il pezzo finale ha una parte gospel, che rimanda inevitabilmente alla religione. Questa pace che si ritrova alla fine, nell’album, è quindi ultraterrena? O comunque, alla fine, rimane nei rapporti umani?

Nel disco c’è la sensazione che la pace si possa avvertire non necessariamente nell’aldilà. Può essere una pace anche data dalla consapevolezza che la vita, alla fine, è questo. Dobbiamo saper sentire quando stiamo davvero bene con noi stessi e con gli altri.

Parlando invece dei suoni, nel disco: la produzione di Marco Giudici è riconoscibile. Anche quando gli strumenti sono tanti, i suoni rimangono essenziali, soffici. È stata un’idea tua? O è nata in seguito, in sede di arrangiamento?

Volevo mantenere una creatività sobria. Marco è stato bravissimo, secondo me: dico spesso che abbiamo fatto un disco a quattro mani. Io gli ho concesso libertà assoluta, e lui ha ripagato questa fiducia con tutto quello che ci siamo detti nelle nostre chiacchierate. Abbiamo registrato l’album in poco tempo, ma ne abbiamo parlato tantissimo. Conoscevo il lavoro di Marco, e sapevo che avremmo remato nella stessa direzione. Il suo contributo però è stato molto importante.

acqua santa di bella
Foto del Thru Collected Studio
Ecco, hai usato il termine remato, che mi porta alla prossima domanda, su alcuni versi di “Menamme’e mmane” (scusa la pronuncia tremenda…). Lì, rifletti che “quando il tempo è brutto non si parte, quando c’è vento le barche devono restare ormeggiate”. A me sembra di leggerci un po’ un manifesto del modo che negli anni hai avuto di intendere la musica, al di fuori di logiche discografiche di iper-produzione. Non credo fosse intenzionale, ecco, però mi piacerebbe sapere se sei d’accordo.

Sì! Ultimamente ci metto un po’ di tempo a metabolizzare gli ascolti, le letture. Ci vuole tempo per raccogliere le canzoni. Dal mio punto di vista, penso sia la scelta migliore, quella di puntare sulla verità, che è qualità. Mi sono costruito questo, dai 24 Grana in poi: volevo stare qua, volevo avere la possibilità di fare musica in modo non eccessivo.

Da poco è finito il Festival di Sanremo, che quest’anno ha visto il trionfo dei cantautori.

E siamo felici!

Ecco, mi chiedevo se ne fossi felice, o se pensassi “eh, io sono trent’anni che lo faccio, era ora di accorgersene…”

Noi tutti cantautori, in Italia, siamo contenti di supportare la punta dell’iceberg. È un mondo fatto di album, di concerti, che va avanti da anni, e io mi sento parte di questo cambiamento. Credo che ci sarà spazio per tutti, nei gusti della gente.

E secondo te perché questo cambiamento è arrivato proprio ora?

Perché si è lavorato tanto, e bene.

Tu ci andresti, a Sanremo?

Non lo so, forse mi sono fatto un po’ vecchio… Ho fatto tantissime esperienze, quella di Sanremo mi manca. Non mi tirerei indietro, ma so che per arrivarci c’è tutta una serie di presupposti. Non basta una bella canzone inviata via PEC.

Tornando invece al sound di “Acqua Santa“: ci sono sonorità pacifiche, calme, la dub, il reggae ne sono fuori. Torneranno, in futuro?

Io sono ancora attivo con i 24 Grana, con cui seguiamo un istinto un po’ diverso. La bellezza di fare arte, nella vita, sta anche nel seguire istinti diversi. Nei miei dischi da cantautore, posso perseguire suoni più legati al folk, all’elettronica d’ambiente, la voce è in primo piano. Con i 24 Grana c’è un background più chiassoso, la scrittura, gli arrangiamenti sono diversi. Non riesco a immaginare dove potremo arrivare. Abbiamo un po’ di demo, spero di pubblicare qualcosa anche con i 24 Grana, che sarà sicuramente diverso da Acqua Santa.

Francesco Di Bella – foto del Thru Collected Studio

Nel disco ci sono Alice e Colapesce, due nomi molto diversi. C’è qualcun altro con cui, oggi, vorresti collaborare?

Le collaborazioni hanno sempre attraversato la mia carriera. Nel 2022, avevo pubblicato Play with me, dove ho duettato con tanti amici della scena. Quando c’è qualcosa che mi solletica l’immaginazione, provo a mettermi in contatto: al momento non saprei, finito un disco c’è bisogno di un po’ di tempo per riprendere le fila della creatività.

Il 1 Marzo parte il tour del disco: sei pronto?

Sì! Sono molto contento di quello che stiamo provando con la band. Sarà incentrato su Acqua santa, perché in questo momento sono suoni che mi coinvolgono tantissimo. Anche i pezzi degli altri dischi sono declinati in quella prospettiva sonora – quindi sono felice di portare nuove versioni dei pezzi vecchi, oltre ai brani di Acqua santa. Molto sarà pescato dai miei dischi da solista, ma c’è anche qualche canzone più vecchia, con i 24 Grana.

Il tour parte da Napoli, che è casa. Come ti aspetti che questo disco verrà recepito fuori da Napoli? Immagino ci sarà più attenzione al sound e alla portata sonora delle parole in Italia, mentre nella prima data l’attenzione sui testi sarà più forte, essendo una lingua che buona parte del pubblico potrà capire con facilità…

Sì, sono d’accordo. Il napoletano del disco, un po’, si capisce, non è respingente, quindi credo sia stato apprezzato anche dal punto di vista lirico nelle altre regioni. Vedremo come sarà.

Le Date del tour

  • 01 Marzo – Trianon Viviani – NAPOLI
  • 06 Marzo – Monk – ROMA
  • 07 Marzo – Locomotiv Club – BOLOGNA
  • 08 Marzo – sPAZIO211 – TORINO
  • 09 Marzo – Santeria Toscana 31 – MILANO
  • 14 Marzo – Officina degli Esordi – BARI
  • 15 Marzo – Spazioporto – TARANTO

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