Da Confusa e felice a Eco di sirene, da Mediamente isterica a Volevo fare la rockstar, Carmen Consoli ha attraversato quasi trent’anni di musica italiana con un passo che è sempre stato suo: mai moda, mai posa. Cantautrice, chitarrista, narratrice feroce e ironica, ha raccontato le donne e gli uomini del suo tempo con la lucidità di chi osserva da dentro, ma scrive come se stesse fuori, sull’orlo delle cose. La sua carriera è un equilibrio raro tra istinto e cultura, tra carne e pensiero: ogni disco è un tassello di un racconto più grande, una forma di conoscenza che passa per la voce.
Con “Amuri Luci” Carmen Consoli torna a scavare nelle fondamenta della lingua e della storia, restituendo voce e concretezza a un’origine che non appartiene a una terra, ma a una memoria condivisa: quella di chi continua a cercare senso nelle radici, anche quando il presente ci chiede di dimenticarle. È il primo capitolo di una trilogia che esplorerà le tre forze che da sempre la attraversano — la radice mediterranea, il rock, il cantautorato — ma qui la “cantantessa” sceglie di partire dall’inizio, da quella matrice linguistica e mitica che precede ogni confine, dove la parola è ancora materia viva, ferita pulsante, che pretende e richiama attenzione

“Amuri Luci” è un titolo che è già una presa di posizione.
Due parole, “amore” e “luce”, che cambiano senso a seconda di chi le pronuncia, di chi le custodisce. In questo disco Carmen Consoli canta in siciliano – e persino in greco antico – come se volesse riportare la lingua al suo stato primigenio, al momento in cui dire significava creare. Dentro queste canzoni si intrecciano i versi di Ignazio Buttitta, poeta della dignità e della rabbia contadina, e le ombre di Peppino Impastato, martire di una terra che non smette di parlare attraverso chi ha il coraggio di ascoltarla.
Ma ci sono anche le figure meno note — e per questo preziose
C’è Nina da Messina, poetessa del XV secolo che scriveva in volgare siciliano con una libertà che anticipava il Rinascimento; e Graziosa Casella, voce settecentesca che cantava la malinconia e il desiderio in una lingua che era già corpo, già canto. E poi Ibn Hamdis, poeta arabo di Noto, esule in Andalusia, che trasformava la nostalgia in paesaggio e la lontananza in eternità. Carmen Consoli li rievoca non come reliquie, ma come presenze vive: li riporta nel presente, li fa respirare nella musica, li veste di corde e di elettronica sottile, come se li salvasse dall’oblio con una carezza.
«Il dialetto tira fuori il mio lato blues… perché è una lingua di terra, fondamentalmente. I canti popolari nascono dalla necessità di esprimere un disagio, e il blues, in fondo, è proprio questo: l’espressione di un dolore, di una mancanza. Di solito questi canti popolari venivano eseguiti senza gli strumenti di amplificazione che ci sono oggi. Penso a Rosa — doveva cantare facendosi sentire, e pare che la sua voce fosse talmente potente da essere udita da tantissime persone nelle piazze. In siciliano si dice “vanniu”, cioè “urla”, “imposta la voce”. È quasi un gridare, un urlare il proprio disappunto. E oggi, di motivi per urlare il nostro disappunto, ce ne sarebbero parecchi.
Avete ascoltato “Parru cu tia”: purtroppo non l’ho scritto io il testo, ma il poeta Ignazio Buttitta.
In quel testo lui accusa proprio “te” “parlo con te” con la gente che si nutre di indifferenza — quella che, in mezzo alla folla, resta nascosta dietro una nuvola di fumo che esce dalla pipa, dietro la visiera del cappello. Quelli che si lamentano, si lamentano sempre, ma poi non fanno niente per cambiare le cose. La mia idea di politica non è tanto “partecipare attivamente” in senso partitico o istituzionale. È vivere come esempio. Io vivo e faccio parte di questa polis, di questa comunità, e voglio esserne utile. Come? Vivendo in modo virtuoso — nel senso più profondo, anche platonico, della virtù — e creando valore. Per me, il fatto stesso di vivere e fare quello che faccio è già un atto politico»
La Consoli che ascoltiamo in “Amuri Luci” non è più quella che raccontava la confusione o la felicità
È un’archeologa del suono e della parola. Ogni brano è una piccola epifania linguistica, dove il dialetto è una forma di resistenza autentica che risponde ad un richiamo atavico, e il mito diventa contemporaneo. C’è il mare, ma anche la terra; c’è l’amore, ma come forza originaria, cosmica, non sentimentale. C’è la luce, ma anche la ferita che da cui entra.

«Sono una donna e parlo da un punto di vista femminile. Ciò che cerco di trasmettere è la mia lotta contro questa pseudo-cultura che autorizzerebbe il forte a sovrastare il più debole. Chi è più forte pensa di poter sopraffare chi è più fragile: Polifemo che uccide Ulisse, in fondo.
Oggi è importante contrastare questa subcultura del “pesce grosso che mangia il pesce piccolo”, perché è ciò che accade intorno a noi: chi ha più potere impone sé stesso su chi ne ha meno. Io, naturalmente, parlo da donna, da persona che ha subito — come molte altre — soprusi e ingiustizie che le donne hanno dovuto sopportare nel tempo.
In quest’ultimo disco ho voluto mettere in risalto figure femminili particolari.
Nina da Messina, ad esempio, fu la prima donna a poetare in volgare e la prima a usare l’“io” mettendolo al centro, in tempi non sospetti. All’epoca venne perfino messa in dubbio la sua esistenza, perché si pensava che una donna non potesse conoscere così bene la letteratura, non potesse essere così colta. E invece arriva questa signorina che dice: “Io voglio questa cosa, la impongo, e la impongo come voglio io”, mettendo al centro un “io” forte e consapevole.
L’altra figura è Graziosa Casella, una donna molto ostacolata proprio perché era libera, perché esprimeva ciò che pensava e andava contro tutti.
Queste donne sono individui che si ribellano al sopruso, perché non deve esistere un “più forte” che sovrasta il “più debole”: in questo non ci sarebbe giustizia. È vero che, a volte, la donna può apparire più debole — ma solo fisicamente — perché in realtà esercita un’altra forma di forza, quella psicologica. Per questo è importante abbattere questa cultura fascista che dobbiamo contrastare con fermezza. Le donne di questo disco sono belle emancipate, anche se vivono in periodi distanti tra loro»
Ad ascoltare Carmen ci chiediamo perché non conduca programmi televisivi, è irriverente e divertente per il suo modo semplice di coinvolgerti, di farti entrare nelle storie che ha studiato, che la appassionano tanto da farla alzare in piedi quasi a volerci venire incontro.
Dal punto di vista sonoro, si percepisce un lavoro di cesello.
Le trame acustiche si intrecciano con orchestrazioni discrete, mentre inserti elettronici si insinuano come presenze contemporanee in un impianto profondamente arcaico.
Eppure tutto resta coerente, perché al centro c’è la parola – la parola che consola, scuote, chiarisce, illumina. Carmen Consoli la pronuncia con la forza e con la convinzione di chi conosce la potenza del verbo e la sua capacità di rievocare mondi e di risvegliare il nostro spirito critico. “Amuri Luci” è un disco colto, ma mai pretenzioso. Spirituale, ma profondamente terreno, una liturgia laica sulla necessità di ricordare chi siamo stati per non smarrirci nel rumore del presente. Ascoltarlo è come ascoltare in una lingua che non capisci del tutto ma che senti tua, nel corpo, nello stomaco.
E allora sì — Carmen Consoli non fa solo musica, fa luce.
“Amuri Luci” tour nei teatri
18 Ottobre 2025 – Assisi (PG) – Teatro Lyrick22 Ottobre 2025 – Torino – Teatro Colosseo- 23 Ottobre 2025 – Torino – Teatro Colosseo
- 24 Ottobre 2025 – Genova – Verdi Teatro
- 25 Ottobre 2025 – Lugano – LAC
- 28 Ottobre 2025 – Trento – Auditorium Santa Chiara
- 29 Ottobre 2025 – Bologna – Teatro Duse –
- 30 Ottobre 2025 – Bologna – Teatro Duse
- 3 Novembre 2025 – Firenze – Teatro Verdi
- 4 Novembre 2025 – Firenze – Teatro Verdi
- 6 Novembre 2025 – Milano – Teatro Arcimboldi
- 7 Novembre 2025 – Milano – Teatro Arcimboldi
- 8 Novembre 2025 – Milano – Teatro Arcimboldi
- 11 Novembre 2025 – Parma – Teatro Regio
- 12 Novembre 2025 – Padova – Gran Teatro Geox
- 13 Novembre 2025 – Udine – Teatro Nuovo G. da Udine
- 16 Novembre 2025 – Palermo – Teatro Politeama Garibaldi
- 17 Novembre 2025 – Palermo – Teatro Politeama Garibaldi
- 19 Novembre 2025 – Catania – Teatro Metropolitan
- 20 Novembre 2025 – Catania – Teatro Metropolitan
- 27 Novembre 2025 – Forlì – Teatro Diego Fabbri
- 28 Novembre 2025 – Ascoli Piceno – Teatro Ventidio Basso
- 29 Novembre 2025 – Pescara – Teatro Massimo
- 1 Dicembre 2025 – Napoli – Teatro Augusteo
- 5 Dicembre 2025 – Cosenza – Teatro Rendano
- 6 Dicembre 2025 – Bari – Teatro Team
- 13 Dicembre 2025 – Aosta – Teatro Splendor
- 18 Dicembre 2025 – Cagliari – Teatro Massimo
- 19 Dicembre 2025 – Cagliari – Teatro Massimo
- 20 Dicembre 2025 – Cagliari Teatro Massimo – Ore 18.30
- 28 Dicembre 2025 – Roma – Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone
- 29 Dicembre 2025 – Roma – Auditorium Parco della Musica Ennio Morricone
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