Chiara Monaldi: quanto è difficile proiettarsi nel futuro?

Chiara Monaldi è nata a Roma 27 anni fa e ha sempre vissuto nella sua città natale, prima a Garbatella e ora a Tor Pignattara.

Specializzanda in psicologia, insegna canto e scrive delle sue emozioni.

Nel 2016 ha pubblicato il suo EP di debutto, Una settimana difficile: un’opera prima alle prese con i vent’anni, il rapporto con la crescita, il futuro e la sua città.

Nell’estate del 2017 è uscito un nuovo brano, Ogni giorno come agosto, raccordo tra i suoi primi passi e le sue nuove certezze, con un video realizzato a mo’ di Instagram Stories.

Futuri Qualcosa, prodotto da Fabio Grande presso la Sala Tre de Gli Artigiani Studio e in uscita il 14 dicembre 2018 per Bravo Dischi, è il suo disco d’esordio e ne rappresenta la maturazione artistica e musicale. Il tema dell’album è la parabola di un amore: l’incontro, la leggerezza, la distanza, le incomprensioni e poi il saluto. Le fasi dell’amore diventano il pretesto per capire a che punto si è nella propria vita rispetto a ciò che si desidera.

Chi è Chiara Monaldi e cosa vuole raccontare al mondo?

Sono una cantautrice di Roma, ho appena compiuto 28 anni e mi sento in un’ età di passaggio. Racconto di questo, degli incontri che ho fatto e di come attraverso di loro ho scoperto delle cose di me.

Nel 2016 hai pubblicato il tuo primo EP dal titolo “Una settimana difficile”, cosa è cambiato in questi due anni e cosa invece è rimasto uguale?

Il primo EP è stato come uno sfogo, mi ricordo l’urgenza con il quale l’ho registrato in casa cantando di getto e suonando la chitarra elettrica senza troppi effetti. In quel momento ero la voce di altre formazioni, ma avevo scritto delle canzoni molto intime sulla mia insofferenza, la mia rabbia e anche sull’amore profondo che stavo vivendo. Sono meno inquieta oggi, ho meno fretta nella vita e nel modo in cui scrivo e mi rapporto alla musica, forse proprio perché mi sono data lo spazio per esprimerli.

Nel video di “Compleanni” c’è una mini te e ci sono filmati originali custoditi dalla tua famiglia. Ecco, che rapporto hai con la tua famiglia e con gli anni che passano?

La mia famiglia, il modo in cui è cambiata rimanendo in vicina, fa parte della mia visione del mondo e degli affetti. Ci sono conflitti, ci sono stati anni impossibili da sostenere, poi però ci sono stati anche momenti di svolta, mattine con la musica a palla in cui si balla tutti insieme, abbracci quando finisce l’ennesima storia d’amore, giornate di sole all’orto e tanto altro. Siamo un po’ come un materiale delicato che a volte si incrina ma non si spacca. Credo che sia per questo che mantengo sempre una speranza rispetto al tempo e a quello che deve ancora venire.

“Ora pura” è un altro brano che ha anticipato l’uscita del tuo nuovo album per Bravo Dischi. Come si fa a credere di nuovo nella bellezza dopo un periodo difficile?

Ogni volta mi sorprendo quando arriva il giorno in cui mi sento meglio dopo mesi di grigio. È una sensazione netta, come la luce che entra improvvisamente quando apri le finestre. Credo che la chiave sia continuare a voler guardare, anche quando abbiamo tenuto le serrande abbassate per giorni.

Futuri Qualcosa è il titolo della tua nuova creatura, da cosa nasce il titolo?

Futuri Qualcosa è il titolo di una delle canzoni presenti nel disco che parla della fine di un amore. Dopo aver chiuso l’album mi è sembrato che questa espressione riguardasse in modo più ampio la condizione incerta in cui io e molti miei coetanei ci troviamo. L’amore vissuto senza la fantasia di un futuro, ma anche le case piccole in cui viviamo per anni dicendoci che sono transitorie, i lavori sempre rinnovati di sei mesi in sei mesi. È come se attraverso il racconto di una storia d’amore volessi parlare anche della difficoltà di proiettarsi avanti nel tempo.

Che rapporto hai con i live? Ti senti a tuo agio sul palco?

Quando ho iniziato a cantare avevo due tipi di esperienze distinte sul palco: a volte provavo una specie di stato dissociativo, quando l’emozione era troppa cantavo quasi senza rendermene conto; in altri casi invece sentivo di controllare tutto, ogni parola, ogni nota, ma l’emozione sembrava non affiorare. Ricordo molto bene la prima volta che il controllo si è messo a servizio dell’emozione, cantavo emozionata ma ero proprio lì, non mi serviva fuggire. Credo che ogni volta durante i live ricerco questa esperienza integrata, è come se ogni concerto fosse la possibilità per vivere questa unione.

Saprai bene che negli ultimi tempi sono uscite numerose polemiche e denunce da parte di donne che hanno subito insulti, corteggiamenti indesiderati, pressioni di ogni tipo all’interno del mondo musicale. Ti va di dirmi un tuo pensiero, di raccontarmi la tua esperienza personale o semplicemente di lanciare un messaggio a tal proposito?

Credo che i rapporti di potere siano molto complessi e che se non stiamo sul singolo che commette abusi (chiaramente da denunciare), dobbiamo un po’ interrogarci sul perché c’è una disparità così consistente nel mondo della musica indipendente tra uomini e donne. Il mio pensiero sui problemi cerca sempre modi per poterli cambiare nel mio piccolo e allora penso che insegnare musica, sostenere tante ragazze nella loro ricerca di una voce, sperimentare insieme diventando delle competenti musiciste, sia la mia risposta. La violenza che più mi preoccupa è la svalutazione. Il commento sessuale, per quanto orribile e fastidiosissimo, mi sembra solo un livello del problema.

Da qualche parte ho letto che sei molto brava su Instagram, che rapporto hai con i social? E in particolare il video di “Ogni giorno come agosto” è realizzato con le storie di Instagram?

Quando mi hanno citata come artista brava sui social, ho riso. La verità è che utilizzo i social molto di impulso e poco, quando sento veramente di volere comunicare qualcosa. Così credo che questa spontaneità sia passata. Per realizzare il video di “Ogni giorno come agosto” avevamo scarsità di risorse e allora ci siamo detti “andiamo al lago e filmiamo la nostra giornata proprio per come ce la raccontiamo, senza troppe sovrastrutture”. Le stories erano il mezzo più aderente al contenuto.

Ho scelto un brano del tuo nuovo album che si intitola “Sul confine”. Mi racconti come è nato?

Sul confine parla della difficoltà di toccarsi nei rapporti con delicatezza e alla giusta distanza. Il limite del corpo è diventato per me un confine rispetto al quale chiedersi come lasciamo entrare gli altri. Ho avuto in passato delle esperienze problematiche rispetto a questo. Oggi sono una psicologa e insegnante di canto e attraverso il mio lavoro mi accorgo di quanto sia importante non “scavare” nell’altro, non estorcere un segreto o una voce, ma accompagnarla ad emergere lentamente.

Un saluto per i lettori di Le Rane

Grazie per aver letto queste riflessioni, spero che aggiungeranno all’ascolto della musica altre immagini.

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