“FEMINA” di Ginevra, un manifesto che dà voce a una collettività
FEMINA: così si intitola il nuovo album di Ginevra, disponibile dal 24 gennaio su tutte le piattaforme musicali. Un album che si discosta volutamente dall’ultimo lavoro più etereo e pop, Diamanti, uscito nel 2022. FEMINA è il manifesto che Ginevra consegna al mondo, presentandosi nella sua interezza: il sé, sé con gli altri, l’io della battaglia.
Mi sono affezionata a Diamanti dal primo ascolto e così sono andata a ritroso con i primi EP di Ginevra, scoprendo una cantante intima e allo stesso tempo molto prorompente nella scrittura. Ricordo il suo concerto a Milano, una luce piccolissima a illuminarla e una voce che si prendeva lo spazio di tutte le anime.
Il primo ascolto di FEMINA è stato perciò spiazzante: ero lì a immaginarmi una continuazione elettro pop, con rimandi a Tame Impala e universi di senso simili. Invece ho trovato nuove melodie, un suono più energico e una scrittura che si fa portatrice di molte più battaglie comuni.
Il disco della collettività
Se Diamanti è un disco più intimo, un disco dell’io, in FEMINA troviamo un’artista che amplifica la sua voce perché sia voce di una collettività. Ginevra scrive e canta per una moltitudine di persone, pensando a una moltitudine di persone. Non soltanto perché ci si può riconoscere nei testi, ma perché Ginevra decide di farsi voce per più istanze – come già ci suggerisce il titolo dell’album.
Otto sono le tracce che compongono FEMINA, in un viaggio che tocca la femminilità, la riappropriazione della propria storia e delle proprie radici.
In un panorama musicale che quasi ha paura di prendere posizione, c’era bisogno di un disco così.
Lo dico da persona queer di quasi trent’anni, donna e meridionale. C’era bisogno di un manifesto in cui potersi ritrovare alla fine di una settimana lunga, mentre il capitalismo ci abbatte e fatichiamo a trovare un motivo per uscire di casa.
Ginevra ha prima di tutto il merito di saper scrivere: i testi di questo nuovo album riflettono una grande capacità di maneggiare le parole, con cui disegna scenari comuni e noti che restano impressi nella nostra testa. Succede così con 30 anni, il brano più toccante e più intimo in cui la musicista si rivolge alla nonna e canta di cosa significa avere trent’anni, alternare giornate migliori a giornate peggiori e accettare di stare nel flusso. La musica acuisce e accompagna il climax di racconto del brano, rendendolo davvero un inno di chi si trova ad avere trent’anni e non sa come.
C’è poi la title track dell’album, FEMINA, volutamente scritto in caps lock rispetto agli altri brani: è una canzone con una storia interessante, che citando le parole dell’autrice:
Nasce da un libro omonimo di Janina Ramirez, letto durante la fase di scrittura dell’album; un libro che racconta il Medioevo attraverso le protagonisti femminili che sono state cancellate dalla storia in quanto donne. I loro nomi venivano infatti cancellati e al loro posto veniva scritta una f: la f di Femina.
Questa traccia è una denuncia contro il machismo, il patriarcato che ancora tiene strette le storie di molte donne attraverso violenza e sopraffazione. Una traccia in cui Ginevra non ha paura di prendere posizione contro i soprusi, le vessazioni e le dinamiche patriarcali che le donne ancora sono costrette a subire.

Un album di acqua
Il vocabolario di FEMINA ruota attorno alla femminilità e all’elemento dell’acqua: con ragazza di fiume ascoltiamo la storia di una donna che cresce. Il vocabolario dell’acqua (la corrente, le sirene, le squame) sembrano quasi una TORINO più adulta e con sonorità diversa, che racconta però la storia di una ragazza che ritrova e ritorna alle sue radici, al fiume e a tutto ciò che gli ruota attorno.
Con l’acqua ancora si chiude l’album, attraverso fonte: una sintesi perfetta, una chiusura dell’album che ci riporta all’inizio, al punto da dove tutto scorre. Si chiude l’album ma siamo alla fonte, siamo solo all’inizio di questo meraviglioso nuovo cammino di Ginevra.
Così mi ritrovo a scrivere di questo album che aspettavo e che è andato oltre le mie aspettative. Difficile abbandonare le sonorità a cui ti affezioni, ma un’artista è votata anche a questo: sperimentare, capirsi e rinnovarsi. Questo rinnovamento, questo manifesto è condiviso da chi ne ha abbastanza di un’unica narrazione musicale, stereotipata e arcigna; vogliamo album che raccontano le donne, scritti da donne.
Ginevra ce ne ha fatto dono. In questo gennaio arrivato al suo n-esimo giorno, possiamo dire: per fortuna c’è FEMINA.

Com’è nata l’idea di dedicare un intero disco alla condizione femminile, trasversalmente intesa?
La mia volontà, da quando faccio questo mestiere, è quella di inserire in ogni progetto me stessa al cento per cento. Non soltanto dunque la Ginevra cantautrice ma anche – e soprattutto – la Ginevra donna. Ho allora voluto ricercare ed esplorare in questo lavoro la mia identità femminile, la mia idea di femminilità, in tutte le sue sfaccettature, anche attraverso l’immaginario estetico. Si tratta dunque di una rappresentazione estremamente personale dell’essere donna e conseguenza ne è come in questo disco la vera protagonista non sia soltanto una ma tante Ginevra: ogni brano dà spazio ad ognuna di loro. D’altronde sono donna ma anche figlia, sorella ma anche nipote, futura madre ma anche compagna, zia, bambina ribelle, ragazza di fiume.
“Ragazza di fiume“: proprio in questo brano dai una connotazione ben precisa – anche geografica –all’intero lavoro. Il fiume forse, oltre alle mille Ginevra, è un po’ co-protagonista del disco.
Senza dubbio. Il fiume per me rappresenta casa, quel luogo dove torno quando devo ricentrarmi. Molti vedono nelle acque sempre mosse e mai uguali di un corso d’acqua qualcosa che richiama la confusione o un movimento cangiante. Per me si tratta invece della quiete propria di un saper lasciar andare, ritrovando se stesse. È un processo che accomuna molte donne, “schiave” come siamo di un sistema reo molto spesso di imbrigliarci, limitandoci.
Vi è dunque anche un’idea di emancipazione in questo fiume. Un po’ come nel romanzo di Mark Twain, “Le avventure di Huckleberry Finn“, dove il Mississippi diventa una via di liberazione per il co-protagonista della narrazione, lo schiavo Jim.
Direi di sì e citerei un altro libro che mi è stato di grande ispirazione nella stesura del brano e nell’impostazione dell’album in generale. Si tratta de La profezia della Curandera di Hernàn Huarache Mamani, regalatomi da una fan alla fine di un concerto. L’idea di affrontare molteplici sfide per riuscire ad emanciparsi e a raggiungere la libertà è ben presente anche in quest’opera e incarna il messaggio che vorrei veicolare pure io e che ho accompagnato da un cambio stilistico nelle sonorità generali del disco.
Sonorità che sono infatti meno elettroniche rispetto al precedente lavoro, Diamanti, con anche un’incursione nel folk e soprattutto una sperimentazione più rock.
Si tratta di una trasformazione di cui avevo bisogno: in realtà inizialmente avevo in mente un disco diverso, ma poi ho assecondato le canzoni e il ragionamento in merito alla femminilità è arrivato a posteriori. Sentivo comunque, già da principio, l’esigenza di non restare vincolata ad un genere. Necessità che peraltro mi accompagna da sempre e che ho portato avanti dapprima con le sperimentazioni elettroniche e poi con questo lavoro qui. Alcuni brani, come Verità e My baby!, sarebbero stati pronti già per il disco precedente, ma ho voluto lasciarli decantare e penso di aver fatto bene. Credo vi sia quasi un ritorno alle origini con Femina: un ritorno a Ruins, il mio primo EP, dove la mia verve compositiva si faceva onirica, forte ed intima al contempo.

Forza ed intimismo aleggiano infatti nel nuovo disco, che peraltro presenti come un lavoro di squadra, sia per la parte di produzione che per il concept visuale.
Sì, diciamo che ho anche i miei momenti da lupo solitario, soprattutto quando si tratta di scrivere. In questo album, rispetto a Diamanti, ho scritto molto da sola, anche se lavorare in team è da sempre cifra del mio lavoro. Dunque, in sede di post-scrittura, la produzione del disco è stata interamente seguita da Francesco e Marco Fugazza, entrambi miei collaboratori sin dagli esordi e figure fondamentali nel mio percorso artistico. Poi c’è Domenico Finizio dei Tropea, amico prezioso e musicista sensibile. In questo particolare progetto anche le immagini hanno una loro intrinseca rilevanza: per raccontare al meglio il mondo del disco, ho scelto di tradurre la musica attraverso una lente completamente femminile.
Insieme ad Aurora Rossa Manni, abbiamo deciso di coinvolgere la fotografa Giulia Gatti, abituata a scattare fotografie di donne che incontra nei suoi viaggi in giro per il mondo e che per la prima volta si approcciava ad un progetto musicale. Abbiamo coinvolto donne e oggetti simbolo della mia vita al femminile: i vestiti di mia nonna, il mio diario da adolescente, i gioielli di mia madre e di mia sorella. Questo ha senz’altro dato genuinità al progetto, così come la presenza di alcune fra le mie più grandi amiche: Erica Vitulano nella cover del disco, Amanda Facoetti e Cecilia Perotti, che è stata anche set designer.
Ci sono insomma tante donne in questo disco, che parla di donne e alle donne. A tal proposito, ricordo ancora il concerto per i 10 anni di Levante, con Gesù Cristo sono io cantata a squarciagola proprio da Claudia insieme a te, Erica Mou, Emma Nolde e Veronica Lucchesi de La Rappresentante di Lista. Come queste – e altre – artiste ti hanno influenzata negli anni?
Posso dire che quello per il decennale di Levante è stato un autentico “momento Femina”, che rispecchia cioè l’intenzione del mio nuovo disco. Levante è stata un punto di riferimento per la mia crescita artistica: lei e Maria Antonietta erano le uniche cantautrici donne che si affermavano nel panorama, in un periodo in cui la musica indie era ancora parecchio dominata dalla sua componente più maschile. In tempi recenti ammiro molto Joan Thiele, Lamante, La Niña. Quand’ero più piccola penso anche di essere stata parecchio influenzata da Mina, che ascoltavo per osmosi fra le stanze di casa.
In conclusione, che cosa auguri a questo disco? Sei già pronta per qualche data primaverile?
Il mio augurio più grande è che l’evoluzione sonora che ho abbracciato venga compresa dal pubblico che già mi segue, perché, come dicevo, per me è stata necessaria. E poi – perché no? – che magari avvicini anche nuove persone alla mia musica. Stiamo lavorando a definire le date dei live proprio in questi giorni: per me è sempre l’obiettivo principale di ogni mio lavoro.
L'approfondimento sul disco è a cura di Virginia Ciambriello, l'intervista a cura di Monica Malfatti
Virginia Ciambriello
24 anni, nella vita mi perdo tra le strade di Bologna e scrivo tutto il giorno. "Chitarra e voce" sono le mie parole preferite.