La nostra personalissima e privatissima risposta a tempi che tornano ad essere fascisti, disgreganti, la nostra lotta contro tempi che mirano a miniaturizzare e distruggere la briciola di impegno e voglia di immaginare un mondo migliore che ci è rimasta è forse questa: una strana, incoerente, imperfetta e litigiosa unità.
Giallorenzo su “Inni e Canti”
Con queste parole i Giallorenzo hanno presentato al pubblico il loro nuovo album, INNI E CANTI, uscito per La Tempesta Dischi lo scorso 25 aprile – festa di liberazione e librazione. Proprio così, librazione: quel gesto strano, incoerente ed imperfetto che sembra appropriarsi dell’immagine in copertina al disco, preludio di un progetto nuovo per la band lombarda.
Inneggiano e cantano, in questo lavoro, i Giallorenzo.
Ma soprattutto introducono nel loro modo di fare musica alcuni elementi inusuali, almeno per un album che sulla carta è ancora punk rock: la fisarmonica e la cornamusa, strumentazioni così poco convenzionali per il genere da dimostrarsi paradossalmente ben innestate nel paesaggio sonoro di una “cerimonia collettiva” come quella a cui viene data voce – e musica – nel disco.
Ecco allora che al punk e al rock cui i Giallorenzo ci hanno da sempre abituati si affianca ora, per certi versi, il pop. Un pop inteso nella sua accezione più letterale, non necessariamente come genere musicale. Pop significa infatti, e in prima battuta, musica popolare: musica di tutti e che ognuno può fare propria. Musica da ascoltare – prima che cantare – assieme. E alla quale inneggiare, anche da soli. Di fatto, questo album dei Giallorenzo è tanto più collettivo e politico, anche nei testi, quanto più affronta – come ben fa – la questione dell’identità individuale e della sua perturbazione. Una riflessione radicale e profonda sulla nostra epoca, sulla memoria, sul conflitto e sul riconoscimento di sé e dell’altro.
Ne abbiamo parlato con Pietro Raimondi, aka montag, 1/4 dei Giallorenzo.

Partirei dalle prime parole che avete usato per descrivere questo nuovo lavoro. “La nostra personalissima e privatissima risposta a tempi che tornano ad essere fascisti, disgreganti”. Mi ha molto colpito come un disco così politico, per quanto ancora molto intimo, venga definito personale e privato, addirittura al superlativo. Perché?
Perché in realtà non è esplicitamente politico. O meglio, non “tratta” di questioni di rilevanza collettiva, respira e si muove in esse come ogni persona fa. E poi semplicemente non abbiamo la pretesa di fornire una risposta che non sia innanzitutto privata a una situazione così complessa. Già tra noi quattro non c’è perfetta armonia su tutti i temi politici, figurati riuscire a formulare una proposta che vada bene per tutti! Si comincia sempre da ciò che succede nel personale!
L’album affronta, da un lato, la questione dell’identità e, dall’altro, quella dell’impianto ideologico collettivo che la connota anche a livello individuale, finendo per esplorare le modalità attraverso cui l’individuo diventa società e viceversa. Da musicisti quali siete, pensate che la musica parli più all’individuo o alla società? Oppure in egual misura ad entrambi?
La canzone è l’oggetto più intimo tra quelli politici, il più collettivo tra i dispositivi biografici. Ma, attenzione, non è “scissa”, tagliata come una torta con fette per il pubblico e fette per l’artista: la canzone è contemporaneamente, al massimo, entrambe le cose, e non è possibile dire dove iniziano gli affari propri e dove finisce la voce della società.
Sempre nella descrizione che avete dato del disco parlate della vostra “lotta contro tempi che mirano a miniaturizzare e distruggere la voglia di immaginare un mondo migliore”. Proprio poco ‘tempo’ dopo la pubblicazione dell’album è stato eletto un nuovo papa, che in uno dei suoi primi discorsi ha citato sant’Agostino – “Viviamo tempi cattivi, dicono gli uomini. Vivano bene, e i tempi saranno buoni. Noi siamo i tempi”. Che ne pensate? Siamo davvero noi i tempi oppure i tempi ci plasmano, ci cambiano, ci fanno diventare peggiori di come vorremmo essere?
Io, personalmente, penso di essere d’accordo. Ma occhio a non perdere la consapevolezza di essere influenzati irreversibilmente dal posto e dal momento in cui siamo. Come a dire: gli strumenti che hai sono questi – sono limitati, sono determinati, sono imperfetti: con questi puoi provare a vivere bene, e provandoci magari migliorerai la vita anche agli altri. Non pensare di essere più forte dei tempi in cui sei, ma non pensare nemmeno di essere più debole. Sei tu, lotta.

“PER UN’ALTRA”, uno dei brani contenuti nel disco, termina con un verso che mi ha molto incuriosito: “io… non significa nulla ormai”. Se l’io non significa più niente, la responsabilità – politica ma anche personale – dove va a finire? Forse dentro le urne vuote che abbiamo visto riempire i seggi di un referendum tanto importante quanto ignorato, qualche settimana fa?
Domanda difficilissima, facciamo così: “io” è la legge che guida la giornata di una persona qualunque in occidente, o almeno quello che ci si aspetta. Capisci cosa vuoi, ottienilo, realizza l’io. Ma cosa vuol dire “io”? Boh! Ci sono tante situazioni che ti fanno chiedere “ma alla fine io chi diamine sono”, e moltissime sono legate all’esperienza dell’amore, altre invece ad esperienze che ti ricordano quanto profondamente tu sia in relazione con gli altri, tipo andare a votare. Ho risposto? No, non credo.
Eppure, di fronte alla barbarie di un mondo che sembra decostruirsi, “vivere”, in tutte le sue declinazioni, è una parola che ritorna forte e chiara in tantissime canzoni dell’album – da “FINALMENTE ORSO” ad “AMICO”, passando per “SOLO” – e che viene accostata a modalità quali la solitudine e la libertà. Siamo davvero fatti per vivere soli e liberi? Oppure “nessuno è fatto per dormire tutta la vita da solo” e la libertà è qualcosa che a volte confondiamo con il disimpegno – sia a livello privato che politico?
In “PER QUALCOSA O QUALCUNO” e in “FINALMENTE ORSO” abbiamo messo tutta la problematica che stai analizzando ora tu. Nessuno vive per un solo destino, per sposare una persona o compiere una missione, ma allo stesso tempo nessuno è destinato alla solitudine come condizione definitiva.
Nessuno dei rapporti che stringiamo nel corso di tutta la nostra vita ci definisce, ma nemmeno la solitudine più lunga e profonda riesce a dire un accidenti di chi siamo. Al “vivi solo e libero” risponde un “voglio stare davanti a te”. In questo tira e molla tra soggettività e gruppo sta tutta la questione della libertà. Chi vuole essere libero deve giocare questa partita.
La guerra è uno dei temi centrali di questo lavoro, sia essa un conflitto bellico fisico che la burrascosa battaglia psicologica che anima ognuno di noi. In questa temperie, la pace – intesa letteralmente, come l’assenza di ogni conflitto – resterà sempre un’utopia? Oppure esiste un modo non violento di entrare in guerra e di affrontare gli inevitabili conflitti di ogni giorno?
I tempi che stiamo vivendo ci dimostrano che la violenza cieca e devastante che credevamo di aver sigillato dietro a organizzazioni sovranazionali e trattati di pace è invece sempre stata dietro l’angolo. Non si costruisce la pace senza in qualche modo passarci attraverso. Quanti richiami alla non-violenza sono modi di non prendere posizione su altre questioni? Ce ne si accorge anche nel privato: quanti conflitti fa esplodere l’evitamento sistematico del confitto? Tuttavia, ci si muove davvero attraverso la violenza quando si ha uno scopo che va oltre al proprio naso: questa è la differenza tra prevaricazione e resistenza.

La parte più squisitamente musicale e strumentale di questo lavoro ha subìto una trasformazione notevole, a partire da cornamuse e fisarmoniche, che siete riusciti a rendere più punk di quanto ricordassimo. Avete idea di dove potrebbe portarvi questa nuova versione di voi stessi?
Onesto: no! Intanto portiamo in giro questo disco per l’Italia, tutto il resto si vedrà!
Un’ultima domanda: a parte i brani contenuti nell’album, c’è un inno o un canto del passato che parla ancora, secondo voi, al nostro presente?
Poco prima di arrangiare il disco ascoltavo tutti i giorni Sul ponte di Bassano, un classico canto alpino che come molti canti di guerra è in realtà una canzone d’amore. È bellissima la seconda strofa: “Per un bacin d’amore successor tanti guai / non lo credevo mai doverti abbandonar”: non si capisce a che guai si riferisca, ma dalla nostra prospettiva sembrerebbero ben poca cosa rispetto a dover morire in trincea, e invece tutta la canzone parla con limpidezza e ironia di quell’amore, che diventa la vera misura della vita.
Prossime date del tour dei Giallorenzo
- 12 luglio PADERNO D’ADDA (LC) Pintupi Open Air
- 17 luglio BRESCIA Alchimie Festival
- 01 agosto PAESTUM (SA) Revolution Fest
- 02 agosto CREMONA Arci Festa
- 22 agosto CASTELLO DELL’ACQUA (SO) Perestrojka
- 27 agosto SONA (UR) Mag Festival
Altro sui Giallorenzo
No Comment! Be the first one.