Intervista agli Astenia

Gli Astenia, gruppo romano con all’attivo due EP e tanta gavetta, tornano con un nuovo singolo, Due. Canzone intima e dolorosa, narra con assoluta dolcezza lo smarrimento e le incertezze di due persone che provano a costruire un ponte per avvicinarsi. È la dimensione amorosa di una stanza d’albergo, di parole centellinate, di ombre che opacizzano il cuore. Ritratto attuale di una generazione impaurita da passi e slanci, poggia su una struttura musicale vellutata e ritmata, capace di analizzare bene la vocalità di Gianluca Gabrieli. Si inserisce in un discorso più ampio, in una riscrittura dei sentimenti quotidiani e soggettivi a cui il gruppo ci aveva parzialmente abituato riascoltando i lavori precedenti. Li abbiamo incontrati per qualche domanda.

Un accento può fare. Raccontateci come è nato il progetto Astenia e perché avete scelto questo nome. 

Gli Astenia nascono a Roma durante un inverno molto freddo e sono del Capricorno. Abbiamo scelto questo nome prendendolo in prestito da un termine medico e cambiando un accento. L’astenìa consiste nella riduzione della forza muscolare al punto che i movimenti sono eseguiti con lentezza e poca energia.  Negli Astènia, invece, non c’è nulla di tutto ciò. Cambiando un accento ci piace sottolineare come le sfumature siano in grado di cambiare prospettive e punti di vista.

Astenia è un concetto legato alla forza, ad un’energia vitale. Riascoltando tutta la vostra produzione spesso si sente la necessità di andare oltre il significato, oltre le logiche prestabilite. Siete sempre in uno stato di non quiete?

È nella nostra natura essere irrequieti. Tutti i nostri brani nascono da una situazione che ci ha segnati e pensiamo che questo status sia alla base di ogni opera d’arte e di ogni cambiamento. Scrivere è la nostra personale terapia gratuita e ci serve per affrontare e interiorizzare tutto quello che viviamo e sentiamo. È un processo che avviene regolarmente, un’esigenza che ci consente di guardare oltre ed avere tutto più chiaro.

Siete insieme da un po’, avete avuto cambiamenti di formazione e di espressione musicale. Come avete vissuto lo scorrere del tempo? Siete fedeli all’idea di base o vi state adattando ai capelli bianchi?

Fino a quando c’è la voglia di salire su un palco per suonare vuol dire che va tutto bene e che il passare degli anni non ha inciso poi molto. Rimanere fedeli a se stessi è alla base del progetto, non siamo cambiati… ci mettiamo solo un po’ di più a recuperare dall’hangover.

Nel 2012 pubblicavate “Fa’ che tutto sia diverso”, come risposta ad un disagio interiore, ad un disordine fibrillante. Poi c’è stato “Quello che non ho” (2015) e poi “Sento solo me” (2018). C’è un bisogno di raccontare il proprio disagio da una visione privilegiata, intimistica. Sembra quasi che ci sia stata una crescita inibente lo sviluppo dei rapporti sociali, una sorta di perdita di fiducia. Siamo sempre più soli. Come vivete questo disagio, questa solitudine?

Nelle nostre canzoni abbiamo sempre raccontato le opportunità che si nascondono dietro le decisioni sbagliate e le strade senza uscita. Da queste, come dalla solitudine, può nascere sempre qualcosa di positivo. Da sempre l’uomo, in quanto animale sociale, soffre la solitudine e quella dei nostri giorni è più subdola; siamo perennemente connessi e riceviamo una quantità incredibile di input dandoci l’impressione di avere sempre qualcuno accanto. Manca però l’interazione, quella vera, manca il guardarsi negli occhi e stringersi le mani. È diventato tutto un po’ più freddo e l’unico rimedio che ci rimane oggi è quello di fidarci e di concentrarci sulla persona che abbiamo davanti nell’ottica di ascoltarla e viverla pienamente.

Il 3310 è simbolo di un’epoca. Meno comunicativa e più sincera. Abbiamo dimenticato le emozioni, lo stare insieme. Collegandoci alla domanda precedente: è paradossalmente più difficile per un artista, una band tramettere un messaggio? Eppure siamo nell’epoca delle iperconnessioni, del 5G.

C’è molta più offerta; escono singoli ogni giorno e catturare l’attenzione del pubblico per poi trasmettere un messaggio è diventato sempre più difficile perché quello che tu suoni e proponi si può perdere facilmente nell’oceano delle uscite settimanali. Pensiamo però che l’autenticità alla lunga paghi e, soprattutto, pensiamo che oggi il palco faccia ancora la differenza. Lì è il momento giusto per scavalcare i social e stabilire un contatto diretto e vero con il pubblico.

“Due” è il vostro nuovo singolo. È una storia di luci ed ombre, un amore che non ha mai pace, se non per qualche attimo. È una storia intima e in cui tutto il resto è sfondo. Meno comunicazioni ma molta spettacolarizzazione. Abbiamo perso molta intimità ma la spiattelliamo via social. Quale è il vostro rapporto con le nuove tecnologie? È una vita che va vissuta necessariamente in diretta Instagram?

Noi siamo di quella generazione che giocava sotto casa. Siamo passati dal mondo fatto di telefonate dal fisso a casa del compagno di scuola, dal citofono ai social e abbiamo vissuto in prima persona questa rivoluzione della comunicazione. C’è da dire che per chi come noi comunica è impossibile restare fuori dai social ma cerchiamo il più possibile di non vivere in diretta Instagram scegliendo di mostrare alcune parti di noi solo a chi davvero lo merita e necessariamente offline. Dovremmo prendere anche l’abitudine di staccare la spina qualche volta, soprattutto quando siamo con le persone alle quali vogliamo bene.

Due mi ha colpito per la delicatezza con cui vengono descritte le dinamiche di coppia, specialmente per la realistica descrizione di quel punto in cui ogni parola sembra scontata e non al giusto posto. Come è nato il testo?

Questo testo è nato una sera d’inverno dopo l’ennesima litigata. DUE è la dichiarazione di un armistizio personale e, come in ogni dichiarazione ufficiale che si rispetti, abbiamo scelto le parole con cura in modo da poter descrivere al meglio la fotografia di quei momenti che ogni coppia vive in un periodo di crisi. Rimane il punto interrogativo di cosa sia successo dopo e se effettivamente la nostra coppia abbia fatto pace o se la guerra sia ricominciata o finita.

Immaginare un featuring per Due. Chi scegliereste?

Sceglieremmo Levante. Siamo totalmente innamorati di lei e della sua voce.

Nuovi progetti. Ci saranno nuove sonorità, nuovi territori inesplorati? Descrivete la vostra rotta in tre parole.

NPL, non porsi limiti. Pensiamo che ogni canzone scritta possa rappresentare un nuovo inizio nonché un’occasione per sperimentare qualcosa di nuovo. Non ci piace seguire un tracciato definito e siamo alla continua ricerca di stimoli e di nuove sensazioni in grado di spostare i nostri limiti e abbandonare la nostra comfort zone.

Che rapporto avete con i live? Siete sempre stati animali da palcoscenico. È un’energia speciale quella che vi lega al vostro pubblico. Come immaginate il vostro pubblico? Fateci una dichiarazione d’amore e d’intenti per i vostri fan. 

Il nostro pubblico ce lo immaginiamo simile a noi, persone sensibili che si emozionano continuamente e che cercano le parole da dire nei testi delle canzoni. Il nostro obiettivo è sempre stato quello di essere una band che dal vivo ti “sbatte al muro”. Vogliamo essere quel tipo di gruppo che ricordi la mattina dopo del live e che ti è piaciuto talmente tanto che una volta sveglio non puoi far altro che mettere repeat alle canzoni.

Ultimo concerto a cui avete assistito tutti insieme.

Quello degli Editors, un live davvero carico di energia.

Consigliateci un disco e un libro.

Amori Ridicoli di Kundera e, per quanto riguarda un disco, vi consigliamo quello che sta girando sul piatto del giradischi in questo momento, The Queen Is Dead degli Smiths.

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