Intervista agli Emera

Il progetto Emera è la storia di una vita, quella di Marco Piccioni e Paolo Travaglini, cugini, fin da piccoli legati da quel vincolo magico che è la musica. L’anno scorso, dalle Marche, risalgono l’Italia fino ad arrivare a Milano e Torino, e decidono che è arrivata l’ora di mostrarsi al mondo. Consapevoli che proprio quel mondo – quello musicale – è difficile da districare, e nel quale ormai non c’è niente di meno originale della ricerca dell’originalità, che spesso si traduce in costrutti poco convincenti e artificiali. Proprio per questo il loro progetto punta all’identità, in particolare all’intreccio delle loro diversità, creando qualcosa di unico proprio perché nato dalla riformulazione di due soggettività. Grazie anche alla loro consapevolezza nei mezzi, il risultato – per ora udibile nei due singoli usciti Senza rischiare mai e L’immagine – è una musica piena di spunti e di stimoli, ricca, ma contemporaneamente fresca e di contenuto.

Siete cresciuti insieme, e da sempre fate musica insieme. Cosa è scattato che vi ha fatto decidere di realizzare e uscire con un progetto?

Il grande passo di cambiare città ci ha fatto venir voglia di fare il grande passo anche con la musica. La città del caso era Milano, un posto con tantissimi stimoli, che ci ha dato modo di tirare fuori idee e  canzoni che sarebbero state portanti. Direi che l’abbiamo anche scelta in principio un po’ per questo, ci sembrava il luogo adatto per realizzare qualcosa a cui lavoriamo praticamente da sempre.

Parlando di voi come Emera, come vi descrivereste?

Siamo due giovani che prima di essere musicisti sono innamorati della musica. Cerchiamo di dire la nostra, provando ad aggiungere quello che secondo noi manca alla musica italiana più pop, ovvero il contenuto. Grazie all’intreccio di sonorità tra l’elettronico e il cantautorato ci piacerebbe avvicinare proprio quelli della nostra età, che magari fino a ieri ascoltavano solo indie e ora hanno bisogno di qualcosa di nuovo.

Vi siete presentati al mondo mondo con due singoli: “Senza rischiare mai” e “L’immagine”. Come mai avete scelto proprio questi due brani?

Sono le nostre due canzoni manifesto, scritte proprio per presentarci. L’obiettivo quindi è stato quello di metterci dentro le nostre due facce, il nostro margine di identità musicale. Sono due brani in cui le nostre differenze e i nostri punti di incontro vengono ottimizzati. La capacità di introspezione dell’uno e l’energia dell’altro sono i due cardini principali. In questi due singoli si vede bene come ognuno sappia navigare nel mare dell’altro, anche grazie al fatto che lo facciamo da una vita.

Per “Senza rischiare mai” è uscito anche un videoclip molto particolare. Ce lo spiegate?

Il video è una metafora del significato della canzone. Si racconta quello che succede quando in una relazione scambi l’abitudine con la paura, e ti tappi gli occhi per non assumerti il rischio di muoverti dalla tua confort zone. È una condizione in cui non puoi percepire i pericoli, e nemmeno accorgerti di quello che intorno a te cambia. La mancanza del rischio, forzata dalla paura, è qualcosa che cambia la percezione che hai del mondo intorno a te.

Dovendo intrecciare due istinti e inclinazioni musicali differenti, come date vita ai vostri brani? Che tipo di lavoro cercate di fare e con quale obiettivo?

Non abbiamo schemi di riferimento, semplicemente c’è confronto costante. Siamo sempre giudici l’uno dell’altro, con positività e voglia di costruire. Entrambi, seppur in diverse percentuali da canzone a canzone, facciamo tutto. Spesso ci completiamo dove il pensiero dell’altro si interrompe, riformuliamo. Tutto si trasforma e nessuno fa niente in base a qualche vincolo. In questo modo abbiamo creato indirettamente un metodo di compromesso, che per fortuna funziona bene.

Cosa vi aspettate da questo 2020 e cosa avete intenzione di fare?

Di sicuro l’uscita a breve dell’album, e semplicemente suonare, suonare dal vivo, ai festival, e ovunque, fino a morire. Poi vogliamo trovare qualcuno che ci supporti e si interessi al progetto, perché l’obiettivo e la nostra speranza è di riuscire a fare di tutto questo un mestiere.

Foto di Alessio Panichi

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