Nel lontano giugno 2024, sotto l’ala protettiva di Futura Dischi, una band milanese pubblicava il suo primo album: Prendersi cura. Si trattava del Soft Boys Club che incideva nove tracce, per un totale di 30 minuti tondi tondi di ascolto, frutto della raccolta dei vari singoli pubblicati nei due anni precedenti e di brani inediti. Un intervallo temporale notevole, un tempo di latenza e di sovrapposizioni emotive lungo e complesso.
Ed è proprio da questa temporalità allargata che bisogna partire per comprendere anche il titolo: “Prendersi cura“. Ma di chi? Di cosa? Quando?
Nell’esperienza frenetica della routine quotidiana, il Soft Boys Club risponde alla prima domanda riappropriandosi di una sensibilità egocentrica ma intrisa di socialità. Il loro progetto narrativo è dall’uomo per l’uomo: le sovrastrutture (l’amore, il privato possesso, le esperienze) inglobano l’essere umano modificandone i rapporti sociali. Avrete capito che la risposta alla seconda domanda è legata a doppio filo alla prima: tutto sta nel prender(si) cura di una zattera in mezzo al mare. Peccato che questa zattera non era nei nostri progetti di navigazione, il mare è una palude stagnante, noi abbiamo creme solari acquistate al discount.
L’atmosfera del disco, musicalmente rumorosa e rarefatta, rappresenta un involucro perfetto per i personaggi narrati. Come bambole antropomorfe appaiono legati da involucri di plastica monouso che permette loro di mantenere intatte le loro funzioni vitali senza alcuna protesta fisica possibile. La rabbia è neuronale e la bambola accanto ci vede sempre perfettamente statici.

Le sonorità sono tributarie di un post punk rude, di un emo bradicardizzante, di un approccio garage curato a calli e ore piccole.
Odiamo il delivery ma ci permette di mangiare soli ed in mutande. Odiamo il nostro futuro poiché non riusciamo a gestire il presente. I cani per pisciare han bisogno di uscire la sera con noi.
È un mondo difficile dove galleggiare.
Superare il capitalismo optando per l’ipercapitalismo. Se siamo tutte bambole dagli occhi blu, accartocciarci una sopra l’altra ci permetterà di scavalcare il fosso e di vedere il cielo. Ma la bambola accanto a noi ne ha voglia? Perché dovrebbe aiutarci? La lotta di Mark Fisher nel disco è combattuta da partigiani ben vestiti che osservano impotenti crisi profonde. Essere parte del sistema è una protesta profonda?
I problemi sono di chi ce li ha: l’empatia richiede sforzo, energia. Per chiudere una porta c’è anche bisogno di spingere. L’energia va incanalata in un percorso di successo: dedicando la mia vita al calcio, potrei comunque sbagliare il rigore decisivo. A chi importerà del dolore dietro il mio flop?
Improbabile realizzarne un track by track: il disco appare più adatto ad essere considerato in toto come un concept album, come un romanzo industriale.
Live, la band milanese è concentrata, ruvida, sporca. Le tracce appaiono ancor più rarefatte. La strumentazione pesa, il sudore brucia la pelle, gli occhi si tengono bassi.
Ed è in quel momento che la polvere lascia traccia alla parola fondamentale del disco: sacrificio.
Il sacrificio dell’equilibrio. Restare in equilibrio poiché conosciamo entrambi i lati della bilancia. Lasciarsi avvolgere dalla modernità o rifugiarsi nella coperta del tempo che fu?
Il prossimo 22 Marzo 2025 suoneranno a Siena – info