Tutto Piange e la musica in punta di piedi

Era dicembre 2023 quando Tutto Piange rilasciò Non è divertente, il suo primo singolo. Da allora, ne sono usciti altri due, culminati poi in un EP di cinque pezzi. Dei giorni passati a guardare, questo il titolo, è arrivato a maggio del 2025, un anno e mezzo dalla pubblicazione del primo brano. Virginia Tepatti, questo il nome all’anagrafe, vive la musica così: in punta di piedi, senza fretta, senza ansia da prestazione.

Qualche giorno fa stavo ascoltando il primo EP di un collettivo di artisti emergenti, arrivato in blocco a un paio di mesi dalla traccia d’esordio. E pensavo che era un disco frettoloso, poco curato: pochi brani erano compiuti, ispirati, mancava la coesione, mancava un’identità riconoscibile. Ecco, Tutto Piange abita un universo che si colloca agli antipodi. Le canzoni regnano sovrane. Prima arrivano loro. Solo quando ci sono, e ci sono in un modo ben preciso, allora si pensa al resto.

La prima volta che scrissi di Tutto Piange era l’ottobre dello scorso anno, quando qua sulle Rane mi sbilanciai lanciando tre nomi che sarebbero diventati the next big thing della musica italiana.

È ancora presto per sentenziare se avessi o meno ragione. Al di là di questo, la cantautrice romana faceva in effetti parte della squadra. All’epoca, raccontavo della malinconia dei suoi brani. Una malinconia benigna, fatta non per sbilanciare stabilità emotive già appese a un filo, ma per favorire l’introspezione e in un certo senso schiarire i pensieri. Al tempo, Tutto Piange aveva all’attivo tre brani e qualche data in apertura ad Any Other e a Dente. Oggi, di pezzi, se ne sono aggiunti due, ed è anche arrivato il primo mini-tour da headliner, negli Ostello Bello italiani, dove oltre all’EP ha iniziato a presentare alcuni ulteriori inediti.

Tutto Piange Dei giorni passati a guardare ep
Tutto Piange – Dei giorni passati a guardare [ascolta qui]

Tutto Piange ha collaborato in tutti i pezzi con Any Other, che ne ha curato la produzione (e, in alcuni casi, le seconde voci).

Le due si conobbero un paio di anni fa, e scoprirono subito affinità emotive e musicali, tali da far sembrare naturale la scelta di Adele come produttrice delle canzoni. Tutte e cinque sono tracce minimali ma estremamente curate. Ci sono gli strumenti musicali classici, ma ci sono anche suoni meno consueti. Ad esempio in Bagno, dove l’apertura è affidata didascalicamente al rumore del mare. E proprio l’acqua è l’elemento più adatto a descrivere il disco. Il verso d’apertura del primo brano recita giustamente hai scelto una settimana di pioggia per lasciarmi bruciare. E la già citata Bagno è un racconto dell’acqua come panacea, un elemento carico di potenza che però richiede di esser capito fino in fondo e può mettere in luce differenze inconciliabili – chi sceglie di farsi un bagno ed immaginare il mare, chi invece di immergere solo i piedi.

L’acqua è mutevole, in Polo diventa neve. Non è però solo una questione di immagini testuali e scelte lessicali. I cinque brani, per scelte compositive ma soprattutto di arrangiamento, possiedono una naturale fluidità, una precisa amalgama tra le voce e quello che sta intorno, una leggerezza primaverile. Qualcosa che rimanda ai brani di stillness, stop: you have a night to remember, il terzo album in studio di Any Other. Sono canzoni foriere di calma, riflessione, che sembrano inventare la possibilità di avere tempo, e soprattutto di avere più tempo.

tutto piange
Tutto Piange

Ad aprire l’EP è “Non è divertente“, il primo singolo, un brano alla chitarra acustica.

I versi sono pochi, taglienti, e si ripetono spesso come dei mantra. Ripetere i versi fino a farli diventare una sorta di laica preghiera interiore è un espediente scaltro, che Tutto Piange adopera di frequente nei brani. La scelta di cantare in italiano di per sé rischia di minare la fluidità dei pezzi. È la lingua madre pressocché dell’interezza degli ascoltatori, e il rischio di soffermarsi su certe scelte lessicali, nel bene e nel male, è reale. Perdere di vista la melodia, l’armonia e focalizzarsi su frasi estrapolandole dal contesto. Con la ripetizione, l’artista romana crea quasi delle filostrocche. Che sono tutt’altro che infantili: sono profonde, ragionate, cariche di senso. Ma – come, appunto, nella natura delle filastrocche – vengono realmente comprese solo all’interno del tessuto compositivo entro cui sono inserite.

Il secondo brano del disco è Garageband, l’unica cartolina non analogica, dove l’incedere della batteria è protagonista.

Arrivano poi le ambientazioni marittime di Bagno, un inno all’incapacità di comunicazione e alla necessità di riflettere in silenzio, sott’acqua, senza interferenze. Polo, le cui seconde voci sono affidate ad Any Other, racconta di un lungo viaggio in macchina, ed è una cantilena che narra di com’è bello imparare dai punti di vista degli altri. Chiude l’album Una cosa da raccogliere, la cui produzione è scarna, minima. Ad esempio io soffro se butti le cose per terra, perché spesso poi penso che potrei essere io, che a volte mi sento una cosa da raccogliere. Inizia così: diretta, sincera. Senza timore di essere eccessivamente vulnerabile e anzi, andando proprio a cercare di esserlo il più possibile.

Tutto piange, più che un moniker, è una dichiarazione di intenti.

Che però non deriva dalla scelta di comporre canzoni strappalacrime; invece, sono brani commoventi. Nella loro semplicità, nella loro assenza di filtri, nel prestarsi a letture didascaliche e significati metaforici e più nascosti. È difficile che tutto pianga se ogni venerdì esce un pezzo nuovo. Quando sono le canzoni a dettare le regole, magari non si piange nemmeno qua, ma sicuramente c’è spazio per le emozioni. Che alla fine, le canzoni servono più o meno a questo.

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