Qualche tempo fa, su Spotify c’era un bug. Ascoltando le canzoni di Uomo donna, l’album di Andrea Laszlo De Simone, comparivano i testi di alcune brani di Colapesce – e viceversa. Scrissi questa cosa sul mio profilo Instagram, chiedendomi, per ridere, se fosse un modo originale di annunciare una collaborazione. Mi rispose proprio Andrea Laszlo De Simone (ancora mi sembra surreale!), e iniziammo a parlare. Mi disse che no, non lo era, e che non aveva intenzione, in senso più lato, di aprirsi a featuring. Un po’ perché ha sempre cercato di essere schivo, e i duetti sono un modo alternativo per chiamare a sé i riflettori. Un po’ perché per lui, la musica, è libertà assoluta. Un universo parallelo dove il compromesso non è concepito. Compromesso che è accettabile e anzi è bello nella vita (ad esempio nella paternità), ma non nella musica, che è l’unico pianeta dove l’esercizio assoluto della libertà individuale non arreca dolore agli altri.
Una lunghissima ombra, il nuovo disco del cantautore torinese, è un album di libertà incondizionata.
Del resto, la musica di Andrea Laszlo De Simone è così. Arriva senza annunci o proclami. Magari è un singolo che esce all’improvviso, da custodire. O magari, come in questo caso, è un disco. Una lunghissima ombra spariglia diverse carte del mercato discografico. È lungo (17 brani, più di un’ora di durata), è interdisciplinare, e si regge interamente su una metafora, la formazione delle ombre. Ogni brano possiede una componente visiva, delle inquadrature fisse della realtà, che rappresentano i punti di luce. I testi sono gli oggetti, e la musica, al solito analogica e psichedelica, con reminiscenze folk e di canzoni d’autore francesi, è l’ombra.

Il De Simone di Uomo donna, l’ultimo album rilasciato che risale al 2017, narrava di un amore carnale, della relazione fisica e terrena con l’altra metà.
L’amore di Una lunghissima ombra assume connotati differenti, anche se i brani di quel disco non sono dimenticati o superati. In altre parole, Laszlo è sempre Laszlo. Le atmosfere oniriche e sospese che lo caratterizzano animano anche il nuovo disco. Tuttavia, ci sono delle differenze che se viste distrattamente possono apparire minimali, ma nella realtà sono quasi delle rivoluzioni copernicane. I brani di questo nuovo album sono le canzoni di un padre, che proprio nella paternità ha scoperto una nuova forma d’amore, e nuovi modi di pensare a sé. I pensieri intrusivi sono narrati alla lettera, senza edulcorazioni, nel tentativo di ascendere alla luce suprema. Rispetto al precedente, Una lunghissima ombra è molto più vulnerabile, intimo e mistico allo stesso tempo. Senza mai essere inaccessibile, nichilista o pessimista.
E poi ci sono delle differenze nella registrazione. Se in Uomo donna la strumentazione era essenziale, con una scheda audio semplicissima e un microfono 58, con il tempo il cantautore è riuscito a creare uno studio un po’ più elaborato, che rimane tuttavia nella dimensione domestica.
Una lunghissima ombra inizia con calma, senza correre, accompagnando dentro le canzoni con estrema cautela.
C’è un prologo strumentale, un primo brano molto sospeso e con poche parole, e un intermezzo. E poi, finalmente, si comincia ad entrare in quest’universo di luci, ombre, pensieri.
Quattro intermezzi si alternano alle narrazioni del disco. C’è Quando, uno dei singoli che erano stati rilasciati, che con la sua lunga e magnifica outro nel disco trova un’ottima collocazione. Per arrivare alla strumentale Diffrazione, c’è il trittico più introspettivo e fragile del disco. La meravigliosa Aspetterò, con la consapevolezza che la vita è una lunga attesa. Per te, una lettera d’amore incondizionato per un figlio. E Un momento migliore, con la lacerante ammissione che non voglio pensare al futuro, perché sono quasi sicuro che sbaglierò per sempre.

Tra i due intermezzi Diffrazione e Spiragli, l’album raggiunge il culmine.
Pienamente è il raggiungimento di una luce che rappresenta una specie di nirvana. La presa di coscienza che chi vive morirà viene accompagnata da un’orchestrazione commovente, fino a confluire senza soluzione di continuità nelle chitarre della traccia successiva, Planando sui raggi del sole. È di nuovo mattina e inizi già a sentire un uragano nel petto al posto del cuore. Forse non era il nirvana. Era solo sonno, o riposo, o una qualche forma di luce transitoria. Vuoi o non vuoi, le ombre rimangono, e anzi sono le proprio queste ombre a darci forma.
Una lunghissima ombra, alla fine, è un disco da contemplare.
E che è difficile descrivere. C’è il rischio di un’eccessiva retorica, nel tentativo di scegliere parole adeguate alla mistica di certi brani. E che la recensione diventi una scusa per tirare fuori vocaboli reconditi e artifici stucchevoli. C’è una pubblicità che si sente spesso in radio che dice che in un mondo di gente che parla, c’è bisogno di gente che ascolta. Non credo avessero in mente questo disco quando l’hanno creata, però mi pare che ci si applichi abbastanza bene.
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