10 canzoni dei Baustelle che forse hai dimenticato
Quando ero bambino ero solito fare un gioco che, a pensarci ora, mi sembra abbastanza bizzarro: quando non avevo molto da fare mi mettevo a esplorare gli angoli di casa mia in cui passavo meno tempo. Camminavo su porzioni di pavimento che non calpestavo mai; mi sdraiavo per terra in punti insoliti della casa per guardare da angolazioni diverse anche le stanze che conoscevo a occhi chiusi. E visto che ho sempre considerato la discografia dei Baustelle come casa, questo articolo sarà un po’ come tornarci ripercorrendo strade secondarie.
Attraversando sterrati di campagna per raggiungere le colline più alte da cui fermarsi e osservare, sono andato alla ricerca di tutte quelle tracce un po’ nascoste della band, un po’ dimenticate per cambiare prospettiva e fare il punto prima dell’uscita del nuovo disco, El Galactico. È stato come aprire una scatola di ricordi, sepolta in soffitta da cumuli di cianfrusaglie, che sopravvivono imperiture negli archivi digitali ma che i fan più devoti conservano nella propria memoria emotiva come talismani.

10 – “I ragazzi venuti dallo spazio”, i demo tape del 95 e del 96 e il Sussidiario
Cominciamo dagli albori. Nel primo disco dei Baustelle, “Sussidiario illustrato della giovinezza”, non confluirono tutti i brani che la band aveva nel cassetto: “I ragazzi venuti dallo spazio” era uno di quelli. Nel 1995 e nel 1996, infatti, la band toscana autoprodusse due audiocassette su cui erano incise le tracce a cui stavano lavorando all’epoca.
La demo del 95 conteneva sul lato A i brani “Oggi”, “Ignorami. Decomposizione”, “Asia Argento”, “Non fermarti mai”; sul lato B invece “Tokyo”, “Aurelia”, “Unter den linden” e “Urli la bufera”. Nessuno di questi confluì nel Sussidiario, come invece accadde per alcune tracce della demo del 96. Questa cassetta conteneva i brani “I ragazzi venuti dallo spazio”, “Martina”, “Nouvelle Vogue”, “Gomma” e “Musichiere 996”. Quest’ultimo divenuto poi “Musichiere 999” insieme a “Gomma” e “Martina” finirono in quell’ormai leggendario disco d’esordio.
Gli altri due brani esclusi, visto che iniziarono anni dopo a circolare su YouTube, non sono rimasti inediti. Infatti, nel 2010 per il decennale del Sussidiario fu pubblicato il “Cofanetto Illustrato della Giovinezza”, in cui oltre ad esserci il disco d’esordio dei Baustelle fu inserito il demotape del 96 e le reinterpretazioni dei brani “Gomma” (con tanto di videoclip) e “La canzone del parco”.
I Baustelle di questi brani sono in uno stato embrionale: giovanissimi, acerbi, in cerca di un focus e in balìa delle loro stesse influenze.
E sono, forse, questi aspetti che ci hanno fatto amare tanto visceralmente il Sussidiario. Di questo disco spesso vengono ricordate le tracce più iconiche come “Gomma“, “Le vacanze dell’83” (unica traccia di cui fu realizzato un videoclip all’epoca), “La canzone del riformatorio”, “La canzone del parco” col suo andamento singhiozzante. Ma altri brani avrebbero meritato più luce. “Cinecittà“, ad esempio, che ci porta in una stanza in cui sta avvenendo un provino per un film porno, è tra quei brani che custodisco più gelosamente e consiglio soltanto a persone fidate; come dimenticare poi la coda strumentale di “Sadik“, tra i brani del disco con meno stream su Spotify.
Sul Sussidiario, nel 2022 pubblicammo un articolo che vi consiglio di leggere.
9 – “Kate Moss” e “La Malavita”
Quando si parla degli inediti dei Baustelle non si può non parlare di “Kate Moss”. Della traccia ci sono pochissime notizie in giro: come abbiamo visto non era presente nei demotape degli anni Novanta, eppure sul web si trova sia una registrazione audio, sia la trascrizione del testo. Sul sito Genius però una nota recita: “Kate Moss” è un inedito dei Baustelle risalente ai tempi delle registrazioni dell’album La Malavita. Il brano è ispirato alla figura della modella inglese Kate Moss”. Eppure, il sound sembra molto lontano da quello del terzo disco della band.
Nel 2005, in una intervista della webzione Il Cibicida, a Francesco Bianconi viene posta una domanda su “I Provinciali”. Il brano, a detta del giornalista, stentava a integrarsi coi primi due dischi ma secondo Bianconi «per la sua semplicità e per il suo testo mi sembrava potesse stare bene in un disco come questo [La Malavita]». Nella stessa domanda gli viene chiesto di “Kate Moss” e lui: «per quanto riguarda “Kate Moss” è una canzone che mi ha stancato quasi subito e il testo lo trovavo una specie di scherzo».
Insomma, il brano negli anni grazie alle pubblicazioni clandestine è stato anche apprezzato ma, nonostante ciò, il suo destino non è cambiato.
Non che La Malavita avesse bisogno di “Kate Moss“, diciamocelo. In questo disco fin troppi brani vengono oscurati dalla notorietà di brani come “La Guerra è finita” e “Un Romantico a Milano“. Mi vengono in mente tracce come “Il nulla“, in cui da ragazzo sentii probabilmente parlare per la prima volta di trans e di Van Gogh; oppure “Sergio” che raccontava la storia terribile e tragica di quello che in letteratura potremmo chiamare “scemo del villaggio”; o ancora “A vita bassa” che mi iniziava alla caducità del tempo e alla vanità delle cose.
8 – “Un Graffio” (2006)
Nella lunga storia dei Baustelle, la band non ha disdegnato certamente l’interpretazione di brani altrui. Le scelte sono state sempre oculate e i risultati molte volte sorprendenti. Nel 2006 l’etichetta Photographic, per omaggiare l’artista new wave sperimentale milanese Garbo, riunì alcuni artisti che in qualche modo ne erano stati influenzati. Fu pubblicata così “Con Garbo“, una compilation che vide artisti come i Delta V, Mauro Ermanno Giovanardi, gli Zu con Meg, Boosta e tanti altri reinterpretare i brani più iconici di Garbo. Tra loro c’erano anche i Baustelle che proposero una loro versione di “Un Graffio“.
Si tratta di un brano dark e intimistico, in cui dubbi e domande lacerano un amore ormai infettato dalla solitudine. La versione originale è di per sé un gioiello, ma quella dei Baustelle ha un quid in più, quel qualcosa che solo una voce come quella di Rachele Bastreghi poteva darle. Infatti, diventando un duetto, la versione dei Nostri dona al brano una certa tridimensionalità, trasformandola in un dialogo finemente struggente. Impossibile non innamorarsene.
7 – “Latte70” (2012)
Nel 2012, artisti del calibro di Lucio Dalla, Nada, Franco Battiato, Samuele Bersani, Patti Smith, ecc, resero omaggio a Giorgio Gaber, anche in questo caso attraverso una compilation di brani reinterpretati dal titolo “Per Gaber… io ci sono“.
I Baustelle si cimentarono in “Latte 70“. Il brano ha tutta la verve tragicomica di Gaber e, a ripensarci, difficilmente l’avremmo accostato al temperamento e allo stile di Francesco Bianconi. Fatto sta che l’interpretazione fu più che valida: forse per i cori di Rachele sul finale, forse perché Francesco colse in pieno la doppia faccia del brano. A distanza di tanti anni, se non l’avete mai ascoltata, vale la pena rimediare.
6 & 5 – Te le ricordi le ghost tracks?
Forse un retaggio dell’epoca pre-streaming, le tracce nascoste erano brani alla stregua di veri e proprio easter eggs. Non apparivano nella tracklist dei dischi, né c’erano info a riguardo nel booklet: bastava lasciare andare (di solito) l’ultima traccia di un disco e dopo alcuni secondi di silenzio partiva a sorpresa un brano inaspettato. I Baustelle nella loro discografia ne hanno inserite ben tre. Una la potete ascoltare ne “La Moda del lento“, in coda all’ultimo brano della tracklist “Arrivederci” (infatti, su Spotify se notate, “Arrivederci” dura 10 min); e le altre due sono contenute alla fine di “Amen” (su Spotify in questo caso vengono inserite come tracce a sé stanti).
6 – “Beethoven o Chopin?” e “La Moda del lento”
Mentre “Arrivederci” chiude, a mio avviso, uno dei dischi più belli dei Baustelle, “Beethoven o Chopin?” sottende un dubbio, un indecisione. Ma solo apparente. La storia è finita, il caso è archiviato: è di un addio quello di cui stiamo parlando. Ma come reagire agli addi? Dovrei assumere quintali di droghe.
Un disco ipnotico e seducente, a tratti manieristico ma anche spregiudicato, in modo diverso dal Sussidiario. Un lavoro per troppo tempo “rinnegato” che meritava, a mio avviso, qualcosa in più della ristampa, magari un tour celebrativo come per il suo predecessore. Ma forse sono troppo di parte: brani come “Bouquet” hanno segnato in maniera indelebile la mia adolescenza, per non parlare di “Reclame” che mettevo spessissimo in loop. Sono stato molto felice, negli ultimi tour, di poter cantare a squarciagola anche semplicemente la title track, sintomo che in qualche modo pace era stata fatta col passato.
5 – “Spaghetti Western”, “No steinway” e “Amen”
“No steinway” è una traccia strumentale, perfetta in ottica easter egg cinematografico perché quando si parla di “Amen” si parla di un disco nei suoni fortemente influenzato dal cinema, come del resto il suo predecessore “La Malavita“. Infatti, “Spaghetti Western“, come si intuisce dal titolo, è come un divertissement che ci porta all’interno di un film di Sergio Leone, attualizzandolo. Il Far West moderno si sposta nei campi di pomodori a Foggia, dove gli imprenditori pistoleri del capitalismo sono pronti a far la cresta sulle disgrazie altrui. Un brano che rende omaggio sì a un certo tipo di cinema ma cogliendo l’occasione per fare una critica della società.
Se volessimo fare lo stesso discorso fatto per “La Malavita“, e cioè parlare di quei brani che sono stati irrimediabilmente oscurati, in questo caso, dal fama eccessiva di “Charlie fa surf“, vi citerei tracce come “Panico“, “Dark Room” ma anche “Baudelaire” (versione album però, che dura 6 minuti e non quella ridotta del videoclip). Vi parlerei di quanto “Amen” sia ricco di sfaccettature, di spigoli, di imperfezioni. Di quanto sia una sorta di collage e di come proprio per questa caratteristica, per questa sua eterogeneità sia tra i lavori più rappresentativi della band.
4 – “Piangi Roma”
Continuando a parlare di cinema, per chi non lo sapesse, i Baustelle nel 2009 scrissero la colonna sonora del film “Giulia non esce la sera“, diretto da Giuseppe Piccioni, con Valeria Golino e Valerio Mastandrea. L’opera della band ricevette una candidatura ai David di Donatello e vinse un Nastro D’Argento per la miglior canzone originale. Si trattava del brano “Piangi Roma“.
In questo brano, Francesco Bianconi duetta non con Rachele Bastreghi, ma con la stessa Valeria Golino, già attrice protagonista del film. Il brano è, probabilmente, tra i più intensi e poetici della loro produzione. Misurare l’ampiezza di una mancanza, elencarne spasmodicamente i tratti, gli elementi, Battisti e Mina, restare ad aspettare, ripetere le stesse azioni sperando che qualcosa cambi. Una struttura semplice, quanto efficace: “Piangi Roma” è uno di quei brani che, se riesce a trafiggerti, resta attaccato al cuore per sempre.
3 – “L’ultima notte felice del mondo (duetto)” e “I Mistici dell’occidente”
“I Mistici dell’occidente” è forse il disco più sottovalutato dei Baustelle. In realtà si tratta di una transizione necessaria, un collante che ha in sé tratti di “Amen” e già qualche elemento che sarà poi sviluppato in “Fantasma“. Brani come “Indaco“, “San Francesco“, “Follonica” non sono adatti a un ascolto leggero e distratto. Sebbene alcune tracce abbiano melodie catchy, la critica sociale si inasprisce, temi che già aleggiavano nei lavori precedenti trovano un ulteriore sviluppo e consapevolezza. I testi sembrano scrollarsi di dosso il peso dell’eccessiva citazione. Si guarda in faccia alla realtà e al degrado che lascia dietro di sé l’avanzata della cultura capitalistica, si osservano le sue vittime e il segno indelebile del tempo.
Questo lavoro complesso e sfaccettato si chiude con “L’ultima notte felice del mondo“, una lettera nostalgica e commovente. Ricordi l’ultima volta in cui sei stato davvero felice? Il brano contenuto nel disco è interamente cantato da Rachele Bastreghi ma, non so in quanti ricorderanno, qualche tempo dopo l’uscita del disco ne fu pubblicata una versione “duetto”. In questa versione, sul finale, Francesco Bianconi entra con la sua voce bassa come a prendere per mano Rachele. Sembra di trovarsi nel finale di Fight Club: ma a crollare sono i palazzi del sacro, del dogma, delle certezze.
2 – “Col tempo” e “Roma Live!”
Nel 2015, ovvero nell’intervallo tra “Fantasma” e “L’amore e la violenza“, fu pubblicato “Roma Live!”. Si tratta del primo e, ad oggi, unico album live dei Baustelle. Fu registrato durante tre concerti a Roma, in tre luoghi diversi e con tre formazioni diverse, cioè con orchestra sinfonica, sezione fiati e quartetto d’archi. Oltre ai brani più rappresentativi della band, questo lavoro contiene anche due cover: “Signora ricca di una certa età” e “Col tempo“.
Il primo brano è una versione tradotta in italiano del brano dei Divine Comedy “A Lady of a Certain Age“; mentre “Col tempo“, o meglio “Avec le temp“, è un brano in francese scritto dal cantautore e poeta Leo Ferrè nel 1969. Arrivò tradotto in Italia nel 1972 per opera dello stesso Ferrè, poi reinterpretato da grandi nomi della nostra musica come Gino Paoli, Franco Battiato, Dalida e Alice.
Entrambi i brani sono perfettamente in tono con l’attitudine, i temi e i personaggi baustelliani. Lo scorrere del tempo, le cose andate che non ritornano più, l’estetica bohémien: ritornano i cognac, il rimpianto, il lasciare e il lasciarsi andare. Il segno del tempo che rimane de “Le rane“, qui trascina tutto con sé: travolge amori e ricordi, nulla trova scampo, tutto disillude.
1 – Ricordi il brano in romanesco pubblicato in “Fantasma”?
Sì, hai letto bene. Nel disco più chiacchierato della discografia dei Baustelle, il disco per certi versi più sperimentale, in cui la band si cimentò in una vera e propria opera mastodontica e solenne, c’è un brano in cui Francesco Bianconi canta in romanesco (o almeno prova a farlo). Si tratta di “Contà l’inverni“, un brano che al primo ascolto sembra una nota stridente rispetto a tutto il resto, ma raccontando una storia noir di amore e morte, tematicamente rientra nel concept del disco e anzi gli dona un tocco di colore.
Francesco all’epoca in una intervista ne parlò così: «È uno degli ultimi testi che ho scritto. Ho cominciato a trovare parole tronche, che sono sempre un problema perché la scelta è molto limitata. Allora ho provato a cantare in romanesco e dopo la prima frase il resto è nato da sé. Non ho radici romane, ma per questa storia di amore e morte avevo un riferimento: una vecchia canzone di Edoardo de Angelis, “Lella”».
Bonus
Non ho dimenticato “Lili Marleen“, un brano uscito nel 2016 in modo estemporaneo, completamente scollegato da dischi e pubblicazioni di altro tipo: un brano che in qualche modo omaggia l’attrice e cantante Marlene Dietrich e la canzone tedesca degli anni ’30. Di certo ricordo benissimo di quando i Baustelle cantarono una cover di “Eyes Whitout a Face“, hit di Billy Idol del 1984, per uno spot Gucci del 2017.
Particolare il caso de “Il disco dei Replacements“, brano dei Diaframma reinterpretato dai Baustelle. La traccia avrebbe dovuto essere inclusa nella raccolta “Il Dono – Tributo ai Diaframma”, ma la Warner non concesse il lascia passare.
Oppure non posso non citare – ma qui il ricordo è fresco e vivido – I CANI BAUSTELLE, una collaborazione incredibile quanto inaspettata.
La storia dei Baustelle è così densa di riferimenti, excursus, citazioni, che anche prendendo strade secondarie lo spazio di un articolo non ci basta per renderle giustizia.
Raffaele Nembo Annunziata
Sono Raffaele Nembo Annunziata, direttore e fondatore de Le Rane, spero che sia stato di tuo gradimento ciò che hai trovato da queste parti. Torna presto!