Federico Fabi: non credevo di avere il coraggio di cantare la mia intimità

Non so suonare, la voce è quella che è, ma questo non impedisce di raccontare la mia storia.

È la frase con cui si presenta Federico Fabi, giovane cantautore romano approdato sulle coste della musica italiana nel 2017 con il suo  EP Io e me x sempre. Ci presenta a ottobre 2019, a due anni di distanza, il suo nuovo singolo Parka e pare che abbia in serbo qualcosa di più. Abbiamo provato ad avere qualche anticipazione per voi – e si è rivelata un’ottima scusa per un’intervista.

Ciao Federico, è da un po’ che non avevamo tue notizie. È uscito infatti da poco il tuo singolo Parka, a due anni di distanza dal tuo primo EP… bolle un album in pentola?

Il mio prossimo lavoro uscirà tra aprile e maggio. Sarà un EP da sei, sette inediti.

Quello che salta subito all’orecchio dei tuoi brani è la semplicità (sia dei testi che delle melodie), perché questa scelta?

Nella vita quotidiana non sono affatto una persona semplice, ma sono in particolar modo diretto e onesto e questo si riflette nella mia musica. La semplicità sta nel non pretendere troppo da sé stessi ed essere trasparente nei confronti dell’ascoltatore. Questa ricerca dell’essere il più chiaro possibile sarà presente anche nel prossimo EP.

Credi che il tuo prossimo EP/album seguirà la stessa scia di Io e me x sempre o ci saranno delle novità?

La novità sarà negli arrangiamenti che saranno più elaborati. Ci sarà la presenza di altri strumenti oltre la chitarra ma la formula della semplicità rimarrà, anche per restare coerenti con il lavoro precedente. Sarà evidente l’ evoluzione musicale metafora del passaggio dalla cantina allo studio professionale. Una cosa che non ho ancora detto è che il prossimo EP sarà il secondo di una trilogia che parte ovviamente dal mio primo lavoro Io e me x sempre.

Parliamo del tuo nuovo singolo. Perché il titolo Parka?

Ho visto Liam Gallagher sul palco con un Parka e così me ne sono comprato uno anche io. Poi da cosa nasce cosa, il Parka prima spopola nella cultura Mod, poi viene ripreso negli anni del Brit Pop fino ad arrivare alle nostre generazioni. E’ un simbolo di appartenenza a un certo tipo di immaginario che amo. In più se vogliamo trovare un significato più intimo e metaforico il giubbotto è la nuova armatura, con cui ti copri per affrontare la giornata, un luogo caldo e protetto dove potersi sentire al sicuro.

Come ti sei avvicinato la prima volta alla musica?

Grazie a mio padre. La prima canzone che mi ha insegnato a suonare è stata Wish You Were Here, di solito o è questa o La canzone del Sole, avevo 14 anni più o meno. Ho iniziato a scoprire il rock anni 60-70, poi ho avuto una lunga fissa per gli AC/DC tanto che mi ero comprato addirittura la Sg Diavoletta ma non sapevo neanche come cazzo suonarla. Verso i diciassette invece ho aperto le porte al cantautorato italiano, anche perché era l’unico modo per cantare dato che con l’inglese non vado molto d’accordo; ci sono state sere che solo per cantare un po’ prendevo la macchina con un mio amico e mi facevo il giro del GRA fino a che non finivo la benzina. Pensa invece che la fissa degli Oasis l’ho avuta relativamente tardi, più o meno tre anni fa, prima non li apprezzavo più di tanto.

Ti ricordi il momento in cui hai pensato di poter fare di voce e chitarra il tuo mestiere?

Mi ricordo quando a sedici anni al Liceo, io e altri due miei amici abbiamo formato una band per poi esibirci in un mini live al concerto di fine anno. Io suonavo l’elettrica, fu disastroso: qualche minuto prima di salire sul palco ebbi la grande idea di incastrare gli altri due amici a farci un “personale” nel bagno del piano di sopra. Siamo saliti sul palco tumefatti, non mi sono ricordato mezza parola ma è stato divertente. Non avrei mai pensato che quasi dieci anni dopo la musica sarebbe diventato il mio mestiere, non credevo di essere capace di scrivere una canzone o avere il coraggio di cantare la mia intimità davanti a un pubblico. Ma poi come vedi la vita è imprevedibile e ora mi ritrovo in balcone con la chitarra al mio fianco, a rispondere a un intervista sulla mia musica.

Coltivi delle altre passioni?

Si, sono un appassionato di oggetti, di cose inanimate: coltellini, orologi, lampade, penne, mobili, automobili, macchine fotografiche, vestiti. Non so descrivere bene questa mia passione, ma a volte mi fisso con qualche oggetto e finisco per affezionarmici, forse è perché so che non se ne andrà mai, non mi deluderà mai.

Qual è il tuo sogno, oggi?

Il mio sogno è far arrivare la mia musica a tutti. Ho scoperto quanto sia bello condividere e non voglio più smettere. Voglio continuare a scrivere, a fare concerti, a parlare di emozioni, di storie, di gioia e disperazione. Voglio semplicemente continuare a fare ciò che faccio con la stessa libertà e spensieratezza di sempre. Fare musica come lavoro è già un sogno.

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