Fuck Pop: fare musica in modo nuovo, o almeno provarci

Nella musica si riconoscono due soggetti fondamentali: l’artista e l’ascoltatore. Un binomio che negli anni ’20 forse ha stufato. I primi ad accorgersene sono coloro che la musica la fanno, ma non si parla solo degli artisti. Di fatto cantanti e musicisti sarebbero pressoché nulla senza qualcuno che li inserisca nel mare magnum del mercato discografico.

Esatto: sto parlando delle labels, o etichette discografiche che dir si voglia, quelle organizzazioni di persone che indirizzano il percorso artistico dei nostri idoli, ma di cui nessuno parla. Tranne noi che di musica scriviamo e – se abbiamo fortuna – viviamo.

Affermazione forte: gran parte della musica negli ultimi tempi è prevedibile e non dura nelle nostre cuffie per più di una settimana. Se ci riesce, siamo davanti ad un prodotto di valore.

Il segreto per uscire dalla melma? Pensare a nuovi approcci con cui fare musica. Facile a dirsi, quasi impossibile a farsi. Il problema è proprio il mercato, che spinge all’omologazione artisti e fruitori di conseguenza. Nulla di nuovo: singolo, singolo, singolo, album. Hit estiva. Replay.

In questa stasi artistica anche la più minima novità va guardata con meraviglia.

Per fortuna ci sono degli “artisti nella gestione di artisti” che le idee le hanno. È il caso di Pluggers, label di Oliver Marco Dawson, che nel suo roster vanta artisti del calibro di Massimo Pericolo e BigMama.

A inizio maggio lancia un progetto che va sold out in poche ore. Chi è veramente interessato alla musica sa che gli ascoltatori non sono entità passive, ma spesso contribuiscono alla narrazione di artisti affermati attraverso le pratiche più disparate. Quindi perché non coinvolgerli?

In linea con l’ideologia del Web 3, Capo Pluggers (come si fa chiamare nei social) propone Fuck Pop, una lettera aperta a cantanti, produttori, grafici e aspiranti A&R con il fine di creare da zero una canzone NFT. Sì perché, nonostante non sia più un giovine dalle grandi speranze, probabilmente Oliver conosce la blockchain molto più di te che stai leggendo questo articolo.

L’intento è stato quello di riunire fino a un massimo di 80 menti creative al fine di creare un prodotto che venisse dal basso, dal volgo di chi alla musica ci tiene a prescindere dal guadagno che riceve. Spoiler: per quelli come noi il guadagno è quasi sempre zero ed è per questo che al primo posto c’è il valore artistico e non quello economico.

Il tutto coordinato dal CEO di una label di fama nazionale attraverso un canale Discord. Ecco, se non conosci Discord, ad esempio, sei totalmente fuori target.

Cito il sito di Pluggers: “in un mese avremo realizzato un brano con tanto di copertina e distribuiremo un NFT che vi permetterà di guadagnare dagli streaming della canzone, proporzionalmente a quanta della vostra creatività sarà stata utilizzata”. Alla fine deve essere andata meglio del previsto perché le canzoni uscite sono tre.

Prima di parlarne però voglio soffermarmi sul perno del progetto, ovvero la blockchain.

Senza entrare nel dettaglio, la blockchain è un registro web decentralizzato che permette la circolazione di non-fungible-token (NFT), stringhe di metadati non replicabili che costituiscono il prodotto in questione (musica, arte, documenti). La blockchain è un sistema reticolare, cioè non gerarchico: artista e consumatore sono utenti alla pari. Non appena acquistati, i prodotti nella blockchain vengono trasferiti nel cosiddetto wallet del compratore. (Per approfondire il tema, lascio qui un sito utile).

Il vantaggio risiede nel fatto che non c’è alcuna intermediazione – spesso scomode e onerose – tra autore-artista e fan-fruitore. Il denaro investito nell’NFT va interamente nelle casse dell’artista. Per alcuni questo suona come “il futuro”.

Parlare nel dettaglio dell’Ep di Fuck Pop onestamente mi sembra inutile. Ucciderei la meraviglia a cui tanto ci siamo disabituati, quindi il mio invito è quello di farne esperienza da soli. Di seguito mi limiterò a inquadrarlo in generale.

Fuck Pop – Fuck Pop [Ascolta qui]
Immagino la fase di produzione dei brani come qualcosa di simile alle Factory newyorkesi di Andy Warhol e i Velvet Underground, ma online e in videocall per la maggior parte del tempo. Mi auguro però che questa marea di creativi abbia avuto l’occasione di incontrarsi IRL, altrimenti sarebbe un peccato.

Ad ogni modo: lungi da me listare gli esecutori di McRione, Funko e Wello, vi farei perdere tempo, ma vista la mancanza di merito in questo paese, direi che è obbligatorio cercarli nelle piattaforme streaming. Altrimenti io che scrivo a fare?

Ora, sguardo alle sensazioni di Fuck Pop. Il titolo persuade a pensare che quello che si sta per ascoltare sia tutto tranne che pop, e invece. Il cortocircuito sta nel mezzo, nella seconda canzone che è Funko, brano indiscutibilmente pop (lo dicono gli ascolti).

Si nota tuttavia una tendenza che descriverei così: l’utilizzo di quanti più elementi pop per distruggere il pop stesso. Come il nostro caro amico capitalismo: un uroboro che si alimenta e si consuma da solo, perennemente orientato al caos.

In ultima istanza si riconoscono alcune affinità con l’hyperpop, non tanto a livello sonoro quanto nell’intenzione. Suoni e temi cambiano rapidamente tenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore che si sente coinvolto, in base alle proprie inclinazioni, ora nel ruolo di agente, ora nel ruolo di vittima.

Fuck Pop fa luce su alcune pratiche di oggi così meccaniche da non restituire un barlume di senso a noi che le compiamo “perché si fa così”.

Fuck Pop non sarà un diamante, ma è sicuramente da recuperare. Magari in veste live il 24 novembre a Milano (qui tutte le info). Quanto meno è un tentativo di fare musica in modo diverso. E a me chi si mette in gioco piace.

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