Ascesa e caduta degli Ada Oda in uno schiocco di dita

La folle storia degli Ada Oda si è conclusa il 27 Gennaio, con un comunicato sul loro profilo Instagram. Si sa, quando compare un post di solo testo, lanciato così, senza caption né grafiche studiate, è perché c’è da dire qualcosa di urgente. E spesso, spiacevole.

Poche parole, concise. Victoria Barracato, la frontman, ha deciso di abbandonare la band per divergenze non meglio specificate, e gli altri membri non se la sentono di proseguire senza. Il tour è cancellato, ma il disco uscirà lo stesso, qualche settimana più tardi: l’ultimo capitolo della storia, una malinconica eredità.

Ada Oda – Pelle d’oca [Ascolta qui]

La genesi degli Ada Oda risale a quattro anni fa, quando César Laloux conobbe Victoria su Tinder, e attratto dal suo cognome, le propose di cantare le sue canzoni in italiano. In realtà, all’inizio la sua idea era quella di scrivere in olandese, e a questo la ricerca era volta. Le vie del Signore sono tuttavia infinite, e chiacchierando, Laloux scoprì le origine palermitane della sua controparte (figlia di emigrati negli anni ’50), e il cambio di rotta venne quasi da sé. Ah, un dettaglio che non avevo ancora specificato: ci troviamo a Bruxelles.

Le storpiature straniere della cultura italiana sono in grado di scatenare un sentimento patriottico e nazionalista senza pari.

L’esempio più ovvio è il cibo, naturalmente, ma non è solo questo. Quando qualcuno schernisce l’accento italiano mentre si parla inglese, quando viene nominato il mandolino come elemento portante della nostra cultura, quando gli americani pubblicano reel con rappresentazioni distorte della Costiera Amalfitana, viene immediatamente schierata un’artiglieria pesante che razzierebbe ogni terra emersa con bellico furore. A questo, c’è una sola eccezione: quando qualcuno, che italiano non è, prova a cantare in italiano.

Nel 2020, andò in onda un capodanno in Russia chiamato Ciao 2020, dove ci furono diverse esibizioni su canzoni (più o meno) in italiano. Piango al tecno divenne una hit, raccolse consensi unanimi. Una di quelle cose che nasce per il meme ma poi fa il giro e vuoi o non vuoi finisce che ti piace. Non importa se questo tentativo di fare musica in italiano è approssimativo, o se le parole non sono proprio corrette. Non è una storpiatura, non fa arrabbiare. Anzi, fa divertire.

E così, gli Ada Oda sono riusciti a entrare nel cuore degli italiani. La formazione, oltre ai due fondatori, dal vivo si arricchisce di altri tre membri. Clément Marion al basso, Alex De Bueger e Aurélien Gainetdinoff alla chitarra.

Ada Oda – Un amore debole [Ascolta qui]

Dopo qualche singolo esplorativo, nel 2022 uscì il loro primo album, Un amore debole.

Interamente cantato in italiano. Una serie di brani stralunati e decadenti, dove Laloux mette in musica la sua visione dell’amore, e la affida alla voce tagliente e punk di Victoria. Gli arrangiamenti sono nervosi, esaltati intorno alla voce della cantante, protagonista assoluta. Che urla, canta, parla, si affida a riflessioni profonde (nella title track, ad esempio, dove continua a chiedersi se è un amore debole o un’assenza di amore), traccia nitide consapevolezze di sé (Niente da offrire, Avevo torto) e si abbandona alla malinconia più pura, in brani come La maschera.

L’italiano degli Ada Oda è folle. La grammatica è errata, gli accenti sono posizionati nel posto sbagliato, serve ascoltare i pezzi più volte per cogliere il testo. Eppure, funziona. Quest’incrocio tra post punk belga e canzone d’autore italiana riesce a creare qualcosa che va oltre il trash, il kitsch o le prese in giro. Le canzoni degli Ada Oda sono credibili, al di là della lingua che scricchiola. E quindi, il pubblico inizia a prenderli sul serio. Tanto che all’inizio del video di Un amore debole, c’è una scena in cui un piatto di spaghetti al pomodoro viene tagliato con il coltello, e non c’è un singolo individuo che vi sia soffermato.

Non sono solo le cose belle che finiscono.

Ma anche quelle folli, inusuali, strambe. E così, proprio in mezzo al climax del lancio dei singoli che anticipavano un secondo episodio discografico, e con le date del tour in giro per l’Europa in parte già pubblicate, la storia degli Ada Oda si è interrotta. Per fortuna, però, l’album Pelle d’oca ha visto la luce.

È un album per certi versi profetico, con alcuni pezzi che letti a posteriori sembrano una reazione di sgomento alla fine di questa storia o un nostalgico testamento. Degli Ada Oda, in questo album, rimane l’attitudine punk e stralunata. In Immobile, la voce di Victoria racconta litigi in famiglia in un concitato crescendo che sfocia nelle urla a squarciagola dell’outro. Brani come In piazza o Sicurezza priorità sono lisergici, sconclusionati, anarchici nelle liriche e nella struttura compositiva.

Due aspetti, invece, rappresentano un elemento di evoluzione rispetto al disco precedente.

In Pelle d’oca, è presente una nota di malinconia assassina, ancor più se percepita con la lente di quello che è stato. Sotto la conchiglia, nonostante un arrangiamento uptempo e una voce che sembra a volte quasi ridere, racconta un tradimento nascosto (tenuto sotto la conchiglia) con una collega di lavoro. Settembre invece narra dello sgomento della fine di una relazione, colmo di dolore e nostalgia. Oggi mi stai lasciando, hai detto che non ne puoi più, eppure lo scorso settembre ci stavamo promettendo delle cose, guardavo al futuro, parlavi di vacanze. A volte, non padroneggiare le sfumature dei vocaboli di una lingua costringe ad essere molto più diretti. E in musica funziona.

Ada Oda

E poi c’è il brano conclusivo dell’album, “Ho amato tutto“.

Un pezzo lungo (quattro minuti e mezzo, rapportati alla durata media dei singoli della corrente discografia, sono tanti) in cui Victoria elenca tutto quello che ha amato in una relazione al capolinea, con gratitudine. I tuoi denti, la nostra prima notte in un hotel economico, il tuo modo di cucinare anche se era strano, il fatto che mi hai fatto conoscere scrittori e band, o il fatto che prendessi posizione su ogni cosa mentre io sono schiva. Al di là delle metafore e delle affinità con la storia degli Ada Oda, Ho amato tutto è un pezzo della madonna. Tagliente, cantato con una voce che sembra rotta dal pianto e che invece ogni volta resiste per dar voce a un pensiero in più, per non lasciare nulla di non detto. Uno di quei pezzi che penetra dentro – e quando si parla di grata nostalgia per ciò che è stato e non è più, potenzialmente ci si muore. E sinceramente, non poteva esistere coup de théâtre per l’epilogo di questa storia folle che sono stati gli Ada Oda.

L’altro elemento di evoluzione è l’italiano di Victoria. Tutto questo studio sulla lingua, alla fine, a cosa è servito? Se ci ripensi, Victoria, noi siamo qua.

1 Comment

  1. Michele P 06/04/2025 at 12:33 pm

    Uno dei gruppi più dirompenti degli ultimi 15 anni. Peccato si siano sciolti.

    Bravo Filippo, recensione perfetta.


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