Anna Carol, essere “Principianti” in un mondo che sa già tutto

Se dovessi descrivere i tempi moderni con una frase probabilmente userei i versi del poeta turco Nazim Hikmet: “Sei la mia nostalgia, di saperti inaccessibile nel momento stesso in cui ti afferro.”

Certamente si tratta di versi d’amore ma ne prendo in prestito le parole per traslarle su questa modernità che corre, corre corre, insegue una meta e poi la meta è il panino del fast food. E noi corriamo su un tapis roulant che conta le calorie e definisce al tempo stesso quello che ci possiamo permettere.

Perdonerete questo cappello introduttivo che era propedeutico per introdurre quello che è l’aggettivo che forse ancor meglio riflette la sostanza di cui si compone questa liquida modernità, ovvero l’inafferrabilità.

Siamo inafferrabili, pieni di impegni, di cose da segnare sulle agende elettroniche, di caselle da spuntare, sappiamo fare un sacco di cose, abbiamo un sacco di interessi e nessuno o quasi avrebbe il coraggio di dire “Sono un principiante”. Eppure, come ci racconta Anna Carol, il principiante è colui che si approccia alle cose per la prima volta, colui che riesce a sorprendersi, che si meraviglia, che si diverte a comprendere il meccanismo che regola il funzionamento delle cose.

L’album di Anna Carol, “Principianti” è quell’attimo che si pone in mezzo tra lo stupore e quel salto nel vuoto che fai ogni volta che ti butti nell’ignoto per capire cosa c’è dentro.

Con un sound autentico e un processo creativo collettivo, il disco invita a riflettere su un amore più genuino, libero dalle pressioni del tempo. Influenzato dal cantautorato italiano e dalle sonorità del Nord Europa, Principianti è un’opera che richiede tempo, proprio come le relazioni più profonde.

L’abbiamo intervistata.

Anna Carol Principianti cover
Anna Carol – Principianti [Ascolta qui]
Il concetto di “Principianti” suggerisce un’accettazione dell’inesperienza come valore, in un’epoca in cui la performance e il controllo dominano. In cosa ti senti (e magari sei anche contenta di esserlo) una principiante?

Ad esempio mi piace non saper cucinare tutte le cose che vorrei. Sapere di essere principiante in qualcosa mi fa pensare che ci saranno ancora tantissime “prime volte”!

Hai vissuto e assorbito influenze musicali da diverse città europee. Se dovessi descrivere “Principianti” come una città, quale sarebbe e perché?

Sarebbe Rotterdam nel periodo in cui ho vissuto lì perché era una città che si stava riqualificando e aveva ancora molto da svelare.

Nel tuo album “Principianti” esplori la crisi delle relazioni in una società frenetica. Ti chiedo: oltre alla questione del tempo, quali pensi siano i fattori culturali in gioco che ci portano a vivere rapporti così… fugaci? C’è forse anche una componente di paura?

Sì, penso proprio di sì. C’è una certa paura nel mettersi davvero in gioco. Questa paura, secondo me, nasce dal fatto che viviamo in una società in costante cambiamento, e a volte non riusciamo a stare al passo con queste trasformazioni. È difficile conciliare, o far convivere, ciò che crediamo di sapere sulle relazioni – i “miti” dell’amore, diciamo – con una realtà sociale che sta cambiando profondamente, ma che fatica a riconoscere e accettare questo cambiamento. È lì che, secondo me, si crea una frattura, un’incertezza che si riflette nelle nostre relazioni.

E secondo te, cosa sta cambiando, concretamente, rispetto al passato?

Sta cambiando proprio il modo in cui viviamo le relazioni. Ovviamente dipende: se parliamo di relazioni amorose, o anche di amicizia – perché nel disco affronto entrambe – direi che in realtà sta cambiando tutto. Forse la vera domanda è: cosa non sta cambiando? È tutto talmente fluido, in trasformazione continua… Cambiano i ruoli, banalmente quello della donna rispetto all’uomo, ma anche il concetto stesso di identità. Il modo in cui riconosciamo e accettiamo le diverse identità è un cambiamento enorme.

Anna Carol
Hai scelto di registrare l’album attraverso un processo che hai definito “collettivo”, richiamando quasi una logica del passato. In che modo questa scelta ha influenzato il risultato finale rispetto a processi di produzione più moderni?

Sicuramente ha richiesto più tempo. Ma è stato anche il frutto di una scelta consapevole. Entrare in studio con cinque persone – cinque teste, ognuna con la propria sensibilità e dignità artistica – significa anche cercare insieme un suono, ed è un processo che richiede tempo e ascolto. Io credo però che, proprio grazie a questo, la personalità di ciascuno emerga nelle tracce. Il fatto di aver condiviso tempo, esperienze e scelte musicali in studio ha portato una ricchezza di vissuto che si sente nelle canzoni.

Non abbiamo escluso l’uso di tecniche contemporanee o dell’elettronica – anzi, le abbiamo usate – ma abbiamo scelto di porci dei limiti, dei paletti, per seguire un’idea precisa. Sapevo, fin dall’inizio, che per questo secondo album volevo un suono coerente, uniforme dall’inizio alla fine. Credo che questo sia stato l’obiettivo più importante, e sono convinta che lo abbiamo raggiunto.

Le sonorità del tuo disco si muovono tra il Nord Europa e il cantautorato italiano. Quanto le tue esperienze all’estero hanno influito sulla scrittura? E come pensi che il tuo modo di raccontare attraverso la musica sia cambiato rispetto al primo disco?

Sicuramente l’esperienza all’estero mi ha influenzata molto, sia nella scrittura che nella formazione personale. Tutto questo è poi confluito naturalmente nella musica. Come dicevi, ci sono due poli che convivono: il Nord Europa, con certe atmosfere sonore, e poi l’Italia, il mio Paese d’origine, con la sua fortissima tradizione cantautorale. Questi due elementi camminano insieme. E oggi sento che il mio modo di scrivere si è evoluto, è diventato più consapevole, forse più maturo. Scrivo non solo per raccontare, ma anche per capire.

Domande difficili in arrivo… C’è una canzone che mi piace molto, “Brutto modo di morire“. Ti faccio una provocazione: se dovessi morire adesso – come dici anche nel testo – quale sarebbe il tuo rimorso e quale il tuo rimpianto?

Avevi ragione… domanda tosta, ma coerente con i temi che affronto. Il mio rimorso, credo, sarebbe legato proprio alle relazioni. Ho spesso paura di non riuscire a godermi davvero il tempo con le persone a cui tengo. Per me è molto importante la famiglia, gli affetti più stretti, e a volte ho la sensazione di avere troppo poco tempo da dedicare a queste relazioni.

Nella canzone parlo proprio di questo: delle persone a cui vogliamo più bene e che, paradossalmente, sono anche quelle che finiamo per dare più per scontate. Ho paura di farlo anch’io, di darle per scontate. E questo sarebbe sicuramente un rimorso.

E invece, se parliamo di rimpianti, cioè di cose che non hai ancora fatto e ti dispiacerebbe non fare?

Tutto! Letteralmente tutto. Ci sono così tante cose che vorrei fare… anche le più banali, tipo imparare ad andare in skateboard. E poi un’infinità di altre che magari ancora non so nemmeno che vorrò fare. Credo che mi mancherebbe proprio il fare, in generale. L’azione, l’esperienza.

Altra domanda poco simpatica. C’è una canzone che si intitola “Diversi tipi di dolore“: quanti tipi di dolore conosci?

Penso un’infinità. Diversi tipi di dolore raccoglie tutti quei dolori per i quali non esiste una ferita visibile. Mi piace categorizzarli così: i dolori per cui c’è una ferita che si vede, e quelli per cui non c’è nulla di visibile ma si prova comunque un freddo, un vuoto. E spesso sono quelli che fanno più male.

Poi ci sono i dolori condivisi, collettivi, e quelli solitari. Se facessimo un piccolo brainstorming adesso, credo che ne verrebbero fuori tantissimi.

Quando parli di dolori “senza ferita visibile”, intendi quelli interiori, difficili da spiegare?

Esatto. Dolori interiori, invisibili, per i quali è difficile trovare empatia negli altri, perché non puoi mostrarli, non puoi renderli tangibili. Ecco perché penso che sia così importante avere sempre un po’ di empatia verso le persone: non si può mai sapere davvero cosa stanno attraversando. Magari dietro a un sorriso c’è un dolore enorme.

A parte questo, c’è una frase nella tua canzone che trovo divertente: “Il nervoso di certi clacson è come fare yoga sulla techno.” Ti chiedo: quali sono tre cose che proprio non sopporti? A pelle, senza pensarci troppo.

Sicuramente i motorini truccati. In generale, sono molto sensibile ai suoni, e ce ne sono alcuni che mi fanno davvero impazzire. Ad esempio: essere al ristorante e non riuscire a parlare con le persone al mio tavolo perché il tavolo accanto urla. Oppure quando sento strumenti musicali suonati malissimo. E poi sì, i clacson e i motori che rombano senza motivo. Insopportabili!

Torniamo alla musica. Qual è l’artista o l’album che stai ascoltando in questo momento? E cosa ascoltavi mentre scrivevi il tuo disco?

In questo momento mi viene in mente Charlotte Day Wilson. Ultimamente sto ascoltando anche Saya Grey. A quanto pare, ascolto artisti che sono sempre collegati al Canada. E poi Leonard Cohen, che mi piace molto – sto recuperando alcune sue cose che non conoscevo.

Anna Carol primo piano
Anna Corol
E un libro? Uno che stai leggendo ora, che ti ha cambiata, ispirata o che consiglieresti?

Proprio ieri pensavo che se qualcuno me lo avesse chiesto avrei voluto parlare di un libro che sto leggendo ora: “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia”.

Mi ha colpita tantissimo il modo in cui è scritto, perché sembra quasi un’architettura: ogni capitolo, ogni racconto ha una struttura che lo regge perfettamente, come un edificio. È incredibile come sta in piedi tutto.  L’autore è Michele Ruol

Ultima domanda, e anche questa non è facilissima. Se ti proponessero di usare questo disco come colonna sonora per un film, quale sceglieresti? E perché?

Direi subito un film di Woody Allen. Sì, sicuramente lui.

Hai in mente un film in particolare?

Ne avevo visto uno che mi era piaciuto tanto, ma ora non ricordo il titolo esatto. Era uno di quelli più leggeri, ma con quella malinconia sottile che resta sottotraccia. Sai, quel modo che ha lui di trattare la nostalgia, in modo delicato ma persistente. Ecco, credo che quella sensazione si legherebbe bene con l’atmosfera del disco.

Anna Carol l’avevamo già incontrata qui

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