Chi può celebrare il funerale della trap se non Margherita Vicario?

Margherita Vicario con il suo ultimo singolo ci ha dato un pugno nello stomaco, una canzone piena di conflitto e che fa sorgere molte domande. Abbiamo scoperto che lei non odia la trap ma semplicemente ama l’arte. “Abauè” è una canzone che parla della musica.

Con il tuo ultimo singolo hai mandato un po’ in confusione il web, non tutti hanno capito le tue intenzioni. Ma per te come è andata?

Per me in realtà è andata bene bene. È sempre molto difficile decidere cosa buttare fuori, io scrivo tantissimo e poi sono molto selettiva. In questo momento questo pezzo mi sembrava un ottimo punto di partenza.

Nel brano parli della morte di un genere musicale, come ti hanno risposto gli amanti del genere?

Si, nella mia immaginazione sono partita da un suicidio di una persona che non sta bene, per poi arrivare al funerale della trap. Non ho avuto dei feedback diretti, ma stesso io ascolto la trap, forse quella italiana un po’ di meno perché le parole delle volte mi intristiscono troppo. So che qualcuno si è sentito provocato ma secondo me non aveva capito la canzone.

Allora dicci un po’ tu, partiamo dal titolo cosa vuole dire “Abaué”?

È un modo di dire africano, è un rafforzativo per dire che va tutto bene. Diciamo che è più un suono che un significato.

Tu d’autrice lo definiresti un brano di denuncia?

No non proprio la definirei più un’opera d’arte (ride), ma non per poca modestia. Ritengo che anche il più piccolo dei bambini possa realizzare un’opera d’arte, basti che abbia un contenuto ed un significato. Questo brano per me è proprio questo.

Le parole sono scelte oculatamente.

In questa canzone ho provato a dare molta importanza al testo, c’è un intreccio tra parole pesate e parole messe a caso che però acquisiscono un significato in questo contesto. Per me è essenziale che ci sia un messaggio nell’arte, il problema della musica è l’emulazione. Dobbiamo puntare alla ricerca, allo studio a cose nuove.

Foto di Alessandro Rabboni
Questo è il primo passo che ci porta ad un album?

Ci stiamo lavorando con molta calma ma giuro che ci stiamo lavorando. Piano piano vi farò ascoltare qualcosa e poi vediamo quando uscirà, ma è ancora presto.

La Margherita Vicario di oggi è diversa da quella di ieri?

Sicuramente nella forma sì, grazie al confronto con il mio produttore, ma non nei contenuti perché certamente sono cresciuta, ma la mia direzione è sempre quella.

“Abaué” è una canzone che crea conflitto, possiamo dire che è come un “pugno nello stomaco” anche l’album sarà così?

Io sono sempre molto gioiosa, non riesco a scrivere cose tristi, anche se inizio in quella direzione poi pian piano, gli dono colore. Spero che vi arrivi un pugno nello stomaco o diciamo almeno una padellata in testa.

Non è paradossale che il funerale della trap sia celebrato da una donna?

Appunto! Mi sono detta chi può fare un funerale alla trap se non una giovane donna? La mia è stata una provocazione, ho voluto stuzzicare le persone per vedere che ne pensavano di questo maschilismo che sta emergendo. Ma il maschilismo non è solo un ragionamento che appartiene solo al mondo della musica, è una questione culturale. Dovremmo analizzare l’idea della donna nel nostro paese, è una questione complicata. Io cerco di farmi strada.

Il videoclip è di impatto e cammina di pari passo con la canzone. Come è nata questa idea?

Solitamente quando scrivo mi immagino già il video e mentre ero in sala di registrazione il ritornello, per me, evocava quella scena. Poi in questo video mi sono affidata a Francesco Coppola che ha voluto realizzare qualcosa che mettesse al centro le parole. Per me era molto importante, perché consente alla canzone di prendere vita.

La trap l’hai saluta con “Abaué” ai nostri lettori come li saluti?

À la prochaine.

Foto in copertina di Ruben Quaranta

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