X-Factor, Agnelli e la musica elettronica, internazionali, gender e LGBTIQ+, Sem&Stènn non si possono catalogare, etichettare o misurare, Sem&Stènn sono due persone che si nutrono d’amore e di musica. Si sono conosciuti nel 2007 attraverso un blog di musica, dove hanno condiviso passioni e desideri. Come le migliori storie d’amore nate online, decidono di incontrarsi quattro anni dopo.
L’anno seguente, la loro unione si trasforma in qualcosa che va oltre l’amore. Decidono di frequentare un corso di produzione di musica elettronica e per poi lavorare nei club milanesi per dedicarsi totalmente alle loro produzioni, contaminate dalle sonorità di artisti come Pet Shop Boys, Depeche Mode, MGMT, Goldfrapp e Justice. Il primo singolo poi due e un ep: un progetto interamente indipendente dove Sem&Stènn si occupano di ogni dettaglio, ogni sfumatura, dalla scrittura di testi e melodie, alla scelta degli arrangiamenti, fino alla sezione visuale, con photoshoot, direzione e regia dei videoclip. Si dedicano in seguito alla promozione del disco, organizzando un tour in giro per il mondo, tra Italia, Europa e Stati Uniti. Nell’estate 2017 arriva X Factor, e i progetti indipendenti vengono congelati.
Superate le varie fasi di selezione vengono infine selezionati tra i 12 finalisti in gara, sotto l’ala di Manuel Agnelli. Sem&Stènn divertono, disturbano, dividono, scuotono il pubblico, come si erano prefissati di fare, e si fanno portavoce della comunità LGBTIQ+, contro qualsiasi stereotipo di gender.
Oggi è uscito il videoclip di KO: nuovo singolo, nuove sonorità, per l’occasione li abbiamo intervistati.
Sappiamo che dopo OFFBEAT avete affrontato tour nei club di tutta Europa, qual è stata la risposta del pubblico estero?
In generale nel resto d’Europa c’è sempre una certa curiosità anche quando non si conosce l’artista ed è sicuramente stimolante per chi come noi non aveva pubblico all’estero.
KO è il vostro nuovo singolo cardiopalmo e ciò che salta subito all’orecchio, dopo i bpm incalzanti, è il testo in italiano (già assaggiato in Abramović), avete deciso di concentrarvi su un pubblico nostrano? Se sì perché?
Quella dell’italiano è stata più che altro una sfida, ci siamo chiesti: perché non provare a fare qualcosa di rivoluzionario qui? Possiamo dire che KO, così come tutti i nuovi pezzi, difficilmente sono associabili ad altri pezzi italiani. Ed era esattamente quello che avevamo in mente.
Manuel Agnelli e la carriera degli Afterhours hanno affrontato un movimento analogo, quanto hanno influenzato la vostra scelta?
In realtà si, ci abbiamo pensato. Le nostre vite e quella di Manuel crediamo si siano incrociate non per puro caso, ci accomunano tanti altri retroscena anche se molti ci penserebbero distanti. Il Background musicale, ad esempio, è molto simile così come la nostra idea di musica e di cosa significa stare sul palco.
Ci siamo innamorati della vostra attitude sensuale, che attinge direttamente da Dave Gahane i Depeche Mode, cosa dobbiamo aspettarci dal nuovo disco?
La Sensualità o meglio la sessualità è sempre parte della nostra attitudine. Il corpo è uno strumento meraviglioso ed è giusto metterlo in scena. L’esibizione senza corporeità è come cliccare play su Spotify, perde di senso. Nel nuovo progetto questo aspetto si intreccia con una parte più spirituale, come in KO ad esempio: la ricerca della felicità, di un senso di pace, di un mondo più bello del nostro. Spoiler: lo scoprirete nel video.
Quali stimoli e quali necessità vi hanno spinto a scrivere un disco a così poca distanza dal primo?
Post-talent, post-disco, post-tour, siamo caduti nel vuoto e crediamo sia nata da lì buona parte della creatività del nuovo disco, diviso tra il toccare il fondo e descrivere il momento in cui trovi le forze per risalire. Fortunatamente siamo persone dinamiche, ci definiamo grandi lavoratori, e questo ci aiuta in un mondo che non perdona pause o assenze troppo lunghe.
La prima parte di intervista a Sem&Stènn si concentra sull’aspetto musicale, per la seconda parte ho chiesto a una mia amica di Bari, scrittrice e lesbica, cosa vi avrebbe domandato se avesse avuto la possibilità di farvi delle domande (chi meglio di lei può manifestare interesse?). Questo è quello che ne è uscito fuori:
Viviamo in un mondo in cui da una parte c’è una forte spinta (persino da parte delle multinazionali) verso l’apertura completa al mondo LGBTQ+, dall’altra, invece c’è un tentativo sempre più pressante di spingere certi tratti sessuali sotto il tappeto, reprimerli in qualche modo. In questo contesto schierarsi apertamente o dichiararsi è sempre rischioso, perché da una parte ci sarà sempre qualcuno che ti accuserà di averlo fatto per “cavalcare un’onda trendy”, dall’altra chi ti accuserà di farti modello di devianza. Come mai avete scelto di essere fin dal primo momento così schietti su questo tema? E perché avete deciso di rendervi persino attivisti nelle battaglie per i diritti civili degli omosessuali (avete aperto il concerto del Pride di Parigi).
Quando nelle nostre camerette ci immaginavamo performer, in testa avevamo idoli come Madonna, David Bowie, Grace Jones, Pete Burns, Klaus Nomi. Ci ha sempre affascinato la loro libertà, la provocazione, gli outfit esagerati, la sfida alle convenzioni. Al momento di entrare in scena, per istinto di emulazione, abbiamo preso quello che ci piaceva e ce lo siamo cuciti addosso. Niente forzature. Ci sarà sempre qualcuno che dirà che abbiamo fatto male, che siamo troppo o troppo poco. Noi facciamo quello in cui crediamo. Non vogliamo essere esempi ma aprire nuove strade per il futuro.
A quanto pare anche Mahmood è gay, ma quando gli è stato chiesto ha detto che non avrebbe risposto perché in sostanza il coming out è un passo indietro e se viviamo in una società civile non abbiamo bisogno di sbandierare le nostre preferenze sessuali (il senso era più o meno questo), voi avete affrontato un percorso diametralmente opposto, cosa ne pensate?
Ognuno è libero di dire e fare ciò che crede. Il problema sostanziale di questo discorso è che L’Italia non è New York City, e che il coming out in un contesto simile resta ancora VITALE per molti ragazz* che vivono nelle province, in contesti difficili dove ci sono omofobia, misoginia, razzismo. Considerando il fatto che Mahmood non è l’unico a non esporsi, viene da chiedersi forse se siano decisioni prese direttamente da lui oppure da qualche piano alto.
In copertina uno scatto di Greta Tosoni per la campagna #LoveAsYouAre di Control