Daniele Silvestri, il presidente che non ci meritiamo

È giovedì sera, la fine di una giornata movimentata e infinitamente asfissiante, non solo per il caldo. A quasi duemila chilometri di distanza la comandante di una nave veniva arrestata per aver fatto sbarcare dei migranti. “Bisogna essere ottimisti, fino in fondo” urlava un eversivo, salendo su un palchetto non troppo grande, in fondo a un piccolo anfiteatro nel pieno centro di Milano. Suonando e cantando di ideali rivoluzionari, quasi da renderlo un rivoltoso.

“Diceva che poi rinfrescava a un certo punto…”. Ed effettivamente il tempo in questo non è stato clemente, ma a rinfrescare l’ardore dei gradoni bollenti di Piazza Liberty, quel 27 giugno, c’ha pensato Daniele Silvestri. Che in un’oretta piena zeppa di buona musica, di messaggi vitali e di diritti è riuscito a rendere l’estate milanese molto più tollerabile per le centinaia di persone presenti. Ha sciorinato una scaletta che potrebbe riassumere un perfetto programma (non contratto, sia ben chiaro) di governo, che trascende dalla politica ma si sofferma sui valori, i diritti e l’umanità.

Cose che al giorno d’oggi sembrano diventate campo di battaglia per chi quotidianamente si impegna a vendere una propaganda vuota di idee e piena di odio. Da “Prima di essere un uomo” a “Le cose che abbiamo in comune”, fino ad arrivare a “La mia casa” e “Le Navi”, senza dimenticare la famosa agenda rossa de “L’appello” e il suo ultimo successo sanremese “Argentovivo”, senza Rancore (letteralmente).

Nell’ep live che Apple Music ha rilasciato qualche giorno fa, c’è tutto questo e anche due dei suoi più grandi successi come “Gino e l’Alfetta” e “Salirò”.

25 anni di carriera, 9 dischi in studio e un ritorno in grande stile. Il suo ultimo lavoro, uscito a maggio, si intitola La terra sotto i piedi” e raccoglie 14 pezzi di vita egregiamente usciti dalla penna del cantautore romano. Un disco completo, che certifica la caparbia destrezza di Silvestri nel palleggiare tra diversi generi, senza perdere la lucidità, il sarcasmo e la profondità dei suoi testi. E non è un caso che “Argentovivo”, portata all’ultimo Festival di Sanremo assieme a Rancore e a Manuel Agnelli, abbia vinto tutti i premi della critica della rassegna, e ora anche la Targa Tenco come miglior singolo dell’anno.

In “Tutti matti”, il suo ultimo singolo, dipinge come il migliore dei veristi la cruda realtà che ci circonda, dentro una cornice di cartone colorata degna del peggiore dei filtri instagram. Il surreale inizio del pezzo è un raro off the records che descrive alla perfezione la maniacalità e la raffinatezza musicale del cantautore romano.

“Cioè, se proprio prendi più l’aspetto della quinta, dell’accordo sulla quinta, è molto meglio che ci leghiamo da… usciamo un po’ dalla Bossanova pur avendone la settima più, capito?”.

Il video è ambientato sull’isola di Favignana, luogo molto caro sia a Corrado Fortuna, regista del video, che a Daniele Silvestri, entrambi frequentatori abituali delle Egadi. Un lavoro “pensato, scritto, girato e finalizzato…a tempi record”, così come raccontato da Silvestri sulla sua pagina Facebook, che ricalca l’esperienza precedente avuta sul set di “Scusate se non piango”, diretto da Valerio Mastandrea.

“Corrado, ma non è che devi venire a Favignana in questi giorni?”
“Ciao Dani, sì mercoledì scendo ma sto solo un giorno”
“Non puoi fare 2?”
“Forse. Perché?
“Ci sarebbe da girare un video”
(4 secondi di silenzio) “Ok, lo facciamo”.

“Tutti matti” è una radiografia accurata che si incastona come una gemma tra i vari “pack” che hanno lanciato precedentemente il disco.

Prima de “La terra sotto i piedi” Silvestri, infatti, ha lanciato tre 45 giri contenenti ognuno due canzoni ed un genere diverso. Dal primo Dance pack sono usciti “Complimenti ignoranti” e “Tempi modesti” con Davide Shorty. Dal Rap pack il successo sanremese “Argentovivo”, in trio con Rancore e Manuel Agnelli, e “Blitz gerontoiatrico”. Nel Love pack, infine, “Prima che” e “L’ultimo desiderio”.

Daniele Silvestri si manifesta come l’impavida voce della nostra realtà, mostrata in tutta la sua durezza e senza abbellimenti. La fotografia nitida del Paese che siamo diventati. Ma anche il seme di una nuova speranza, una rassicurante figura che ci indica silenziosamente una strada impervia da seguire per redimere i nostri peccati in terra. “La terra sotto i piedi” è il suggello di 25 anni di carriera pieni e meritati, che urlano chiaro e tondo che ce ne saranno (almeno) altri 25 carichi in egual modo, se non superiori per intensità. 25 anni che varrebbero come curriculum di una sua candidatura a presidente del Consiglio, che questo Paese non meriterebbe. Per il semplice motivo che prima dei partiti, prima delle ideologie, esistono dei valori elementari, dei piedi da poggiare su una terra (per l’appunto), delle basi da cui partire e crescere.

Troppe volte invece veniamo incitati a dover identificare un nemico, a chiudere le porte o i porti allo straniero, capro espiatorio del momento.

A chiudere un occhio di fronte agli atteggiamenti mafiosi, a restare “A bocca chiusa”, ignorando il sacrosanto diritto di amare chi si vuole. Tutte queste strategie non sono altro che armi di distrazione di massa, volte a farci distogliere lo sguardo dalla vera bomba a orologeria che minaccia il pianeta: l’essere umani. Daniele Silvestri per tutta la sua carriera musicale ha rappresentato la voce del megafono contro l’ipocrisia, con il coraggio e l’autorevolezza del “Presidente”, così come viene chiamato dal suo fan club “I Testardi”. Come tutti gli artisti rivoluzionari, il sentimento che trasmette non è ancora per tutti. Forse perché la stagione dei diritti e della compassione non sembra andare di moda al momento. Ma il cambiamento richiede tempo e dedizione: serve lavorare la terra da buoni contadini, seminare e attendere che arrivino tempi migliori, senza far rumore.

Di Mark Karaci x @casabaggio

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