Da cantautrice a cantautrice: Valentina Polinori intervista IRuna

Questa è la mia prima esperienza da intervistatrice, siate clementi. Sono una persona molto curiosa e tendenzialmente mi lancio nelle cose nuove con grande incoscienza, ma quando Le Rane mi hanno proposto di fare un’intervista a IRuna non ho avuto dubbi. Sia perché siamo grandi amiche e di base ogni cosa che facciamo insieme è divertente, sia perché “da cantautrice a cantautrice” conosco l’impegno e la cura che c’è dietro ad un progetto musicale (realmente) indipendente e volevo che questo emergesse dalle domande.

Blue è un disco molto onesto e a me la musica onesta piace, anzi, forse è l’unica che mi piace davvero.

Le canzoni oneste sono quelle che quando le ascolti ti fanno risuonare qualcosa dentro, come se quella persona ti stesse facendo leggere il suo diario e non semplicemente mostrando una maglietta luccicante per fare colpo. Il disco di IRuna è così e non lo dico soltanto perché è un’amica mia. IRuna ti parla dei sentimenti mentre ti legge il giornale; passa con facilità da temi contemporanei e sociali a quelli più personali e introspettivi, e con le ritmiche che lei e Matteo Domenichelli hanno scelto per le produzioni ti ritrovi a pensare che effettivamente anche il tuo cuore potrebbe star meglio, ma vabbè, ora balliamo.

IRuna – Blue [Ascolta Qui]

Hai scelto un colore per dare il titolo a un brano ed anche a tutto il disco: quanto sono importanti i colori nella tua vita?

I colori nella mia vita sono straimportanti, sono abbastanza fissata: li indosso, li penso, li porto. Non parlerei di sinestesia, perché non me la voglio tirare da psicopatica freakkettona. Fin da piccola ho sempre messo in ordine i libri per colore; oppure sono sempre stata fissata con la simbologia dell’arcobaleno. Non so perché.

Questo per dire che il “Blue” (titolo del disco n.d.r.) è un colore che mi piace tanto (lo indosso anche oggi). Fondamentalmente simboleggia, un po’ lo stato d’animo con cui sono nati questi pezzi e il periodo in cui li ho scritti. È anche forse il motivo per il quale mi sono permessa e concessa – perché ci vuole tanto coraggio per non autogiudicarsi quando si prova a fare dell’arte – un periodo per potermi esprimere liberamente attraverso la musica, cantando, scrivendo pezzi anche non convenzionali, esponendomi molto insomma. Questa cosa mi è stata concessa da una necessità di esprimermi molto forte: era proprio un’urgenza, poiché non stavo particolarmente bene.

E il “blu” rappresenta questa consapevolezza, un po’ un’ode non proprio alla tristezza ma alla malinconia che ti culla e che ti fa sentire quell’inquietudine che non ti sai ben spiegare. Un po’ il blu, un po’ la notte, ciò che non comprendiamo, non capiamo. E poi, vabè, c’entra anche con il Blues, col Jazz, con l’indie, con un sacco di cose. Non c’entra con Joni Mitchel, non voglio essere minimamente eretica, però sicuramente è una cosa che poi col tempo, avendo scritto quel pezzo, è diventata parte dell’immaginario del disco.

E quali colori abbineresti alle altre canzoni del disco?

“Selva” è sicuramente verde; “Amico mio” è giallo; “Solo parlare” è bordeaux; direi che “Morbido” è un misto tra un celeste e il rosa, dà quella sensazione tipo di marshmallow. Per altro è una bandiera lgbt, no? Poi che altro manca? “Il Palombaro” lo immagino, forse, marrone o grigio o un color metallo; “Lupi” sicuramente viola; e poi “Bentornata”, forse rosa antico; un color tramonto, un color di nuvole.

Fai musica in Italia, sei una cantautrice: quanto pensi sia importante prendersi sul serio e quanto o quando, se ti è capitato, invece, pensi che a volte può essere anche utile non prendersi troppo sul serio, facendo musica. Una domanda un po’ marzulliana forse…

Secondo me, nel fare questo tipo di musica – quindi non svegliarsi una mattina e dire “io voglio diventare una stella, o fare il prossimo tormentone dell’estate prossima”, ma fare un tipo di musica molto personale – aiuta a prendersi un pochino meno sul serio, perché toglie un po’ di pesantezza. Sdrammatizza, anche, quella vulnerabilità alla quale siamo disposti. Altrimenti diverrebbe un po’ una sorta di patibolo, nel senso che ci si espone tantissimo, ci si espone anche sul palco, dicendo per altro cose personali. L’ironia sia testuale che anche nell’atteggiamento secondo me aiuta sicuramente a sdrammatizzare questo aspetto.

D’altra parte però, bisogna farsi forza, bisogna crederci e secondo me, come artista donna indipendente italiana, bisogna, da un certo punto di vista, prendersi sul serio. Nel senso che bisogna dire “sto facendo una cosa di qualità, che ha un senso di esistere, che vale la pena e ha la sua fetta di interesse, di pubblico”. Credo che da quel punto di vista è come avere sì un apparenza di gioco, e quindi giocare anche sull’immagine e su quello che si sta facendo, ma sapendo nel profondo che lo si sta facendo principalmente per un determinato motivo. Bisogna ricordandosi perché si è iniziato e qual è l’esigenza primaria; e poi anche che lo si sta facendo bene, o comunque nel miglior modo possibile.

L’intervista a IRuna continua su You Tube, guardala qui!

Grazie per la disponibilità a Valentina Polinori, che ha vestito i panni dell’intervistatrice, e a IRuna.

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