“V” di Mannarino, la ritualità della Natura e la bellezza dei corpi contro il sistema

In un’era consumista dove c’è troppa logica e in cui siamo sempre più controllati dal sistema, far del male al pianeta, seppur nolente, risulta essere sempre più una cosa inevitabile. Possiamo però, seguire il ritmo della natura per curare quel posto in cui più ci rifugiamo e più stiamo meglio. Non sono sicuramente le popolazioni più sviluppate a potercelo insegnare, ma sono quelle più lontane dal consumismo e che vivono in rituali ancestrali che ci possono indicare un modo per vivere la natura ad un altro ritmo.

Perché se la banca di New York è andata a fondo, io sto ancora a galla in questo mondo.

Lo scorso Settembre è uscito l’ultimo progetto di Mannarino, “V” (Universal) e io credo che, proprio perché ci fa immergere totalmente nei suoni ancestrali della natura, sia uno dei dischi più belli degli ultimi tempi.

“V” è il titolo di un concept album che non è altro che una metafora musicale di trasporto dell’anima.

Tratta di temi attualissimi resi ancora più importanti dai visual loop con cui propone le tracce; si parla di politica, di ribellione, di colonialismo, di amore, di lotta al patriarcato e ruolo della donna, il tutto in un’atmosfera surreale, onirica, ancestrale, di suoni che ti conducono in una foresta, vicino a un fiume, in una tribù. Definirlo evocativo sarebbe un eufemismo: quello che è certo è che porta a compimento i primi accenni di atmosfere latine che abbiamo sentito in “Apriti cielo” (2016) e che è, quindi, sicuramente distante dalle note di “Me so ‘mbriacato.

Questa vita che grida da sola mentre canta in un coro.

In “V” c’è un po’ di blues americano; nel brano Vagabunda riecheggiano tratti di Paolo Conte, con cui lo stesso Alessandro sogna di voler duettare. C’è ribellione, resistenza ma anche musica elettronica mixata all’ancestralità. L’alternarsi della voce a cori di donne unisce ancor di più l’anima con la musica, e sprofonda in una completa razionalizzazione del viaggio in Paura. In questo brano una chitarra nuda e cruda con delle note di pianoforte, che giocano il ruolo di alleviare il dolore, esortano a trovare in se stessi il cambiamento, proprio davanti allo specchio, in cui si riflettono bellezza e tormento, perché in fondo siamo tutti come “le mongolfiere, che c’hanno er vuoto dentro”.

“V” è un disco frutto di un lavoro lungo due anni (in collaborazione con Joey Waronker, Mauro Refosco, Bobby Wooten al basso, e anche con Camillo Lara e con Tony Canto). Alessandro c’ha detto “ora capisco quando parlano di sforzo discografico”, ma ne è risultato un disco maturo, necessario, che non smettevo mai di farmi raccontare. Fantasia e l’irrazionalità sono il suo antidoto alla guerra, affiancate dalla natura che è una maestra di vita.

Tutto il mondo sta marciando Auf Wiedersehen / Guarderò la luna, quando avrai paura, guardala anche tu.

Coincidenza ha voluto che la nostra intervista su Zoom sia avvenuta solo pochi giorni dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia e discutere di resistenza, bellezza e inclusione è stato ancora più emozionante. Così è come abbiamo iniziato a parlare del suo ultimo progetto.

Mannarino – V [Ascolta qui]
Ascolto il tuo disco da mesi, mi sono fatta un’idea iniziale e delle canzoni che preferivo, poi ora, ogni volta che l’ascolto ci sento qualcosa di nuovo, di ancora più profondo e mi fisso con altre tracce. Ma qual è il messaggio intrinseco universale che vuoi trasmettere?

Questo mi fa molto piacere. I dischi cambiano a seconda del periodo storico e di come stai te. In “V” ci sono tante cose più o meno nascoste, in primis senti un’impalcatura sonora, poi più l’ascolti e più senti suggestioni oniriche nascoste nei suoni del disco. La mia idea era fare un album che evocasse, un vagheggiamento di una primitività che potrebbe salvare l’umanità nel futuro. Il tutto incarnato dall’ immagine della donna che appare in tutte le canzoni e rappresenta l’irrazionale e la parte fantasiosa dell’esistenza.

Anche il titolo, “V”, è un simbolo, un volto.

Non volevo dir niente di senso compiuto. La bellezza sussiste infatti non nei concetti, ma in qualcosa che non va spiegato. Avevo delle immagini, colori, volti, natura e sicuramente il rapporto con l’irrazionale e primitivo ci apre più porte. La musica pop al contrario è molto ragionata e tutto è molto incasellato. Io avevo invece in mente un percorso sul suono che parlasse a livello inconscio, che fosse meno legato alla realtà ma con più sensazioni e immagini che volevo trasmettere con i suoni. Il tutto è un risultato di uno spirito di ricerca, di non somigliarmi, di scappare da quello che uno si aspetta e che io mi aspetto da me stesso. Una ricerca che servirà per arrivare a qualcos’altro e che mi faccia mettere in discussione.

Dalle scene Romane all’Africa e al Sud America. C’è un filo conduttore?

“Ballare è una mossa politica” rappresenta l’intero disco. Nei miei 5 dischi ho detto tante cose, partito dal bar (Bar della Rabbia, 2009) in cui sembrava impossibile far partire una rivoluzione. I personaggi di quel bar, che sono tutte proiezioni di me stesso ridevano e piangevano dei propri mali e stavano lì dentro.

Poi sono uscito dal bar con Supersantos (2011) che è il mio secondo disco ed è nella strada. “Chi per strada va, per strada more”, inizia il disco, quindi facciamoci forza e mettiamoci per strada; quindi la prostituta, l’ubriacone, lo squattrinato, il pagliaccio escono fuori e fanno questa lotta sgangherata, il pascià, la tangenziale…poi escono fuori questi immagini di donne positive come Maddalena e Mary Lou e quel disco finisce dicendo “Andando per le strade si nasce e si muore, io ti ho amata per sempre e ti ho avuta per due ore”.

Al monte (2014) siamo scappati dalla città perché tutte queste icone che ogni canzone rappresenta sono come carte dei tarocchi. “Qui si nasce senza fiato ed è già la prima punizione, uno schiaffo sopra al culo per la respirazione”, parla di un soldato in città, un popolo in cerca di Dio, il carcerato, il fantasma di un carcerato fino alla canzone Al Monte che parla della storia dell’umanità su due binari, una verso il futuro e l’altra sul binario che tratta della stessa storia ma vede solo l’amore, poi in Le Stelle un uomo e una donna nudi sotto un cielo stellato. “Solo il cielo stellato sopra di me” come diceva Kant.

La fuga dalla città era quello che cercavo, non potendo combattere con il Pascià, solo allontanandomi vedevo cosa siamo. In “Apriti cielo” (2016) faccio poi la mia preghiera laica da cui lancio l’ultima freccia dell’indiano, che sono io, rispetto alla storia e dico “fammi vedere cosa c’è dall’altra parte”.

In “V” Ho trovato un mondo nuovo e avevo l’obiettivo di non parlare più di quello che non va, ma scappare in un mondo che costruisco io, che ho nel DNA, che è dentro di me ed è antichissimo. ma è già futuro, è la parte tribale, animista, libera e irrazionale dell’essere umano.

L’evasione dal mondo di cui non bisogna aver paura è quindi implicitamente anche un riparo nella natura?

No, non è un rifugio, perché quando ti mancano parametri sei dentro la tempesta, ma val la pena essere vissuta perché fa parte della ricerca . Io dovevo togliermi quello che non era mio. Sono scappato da Roma, che mi aveva in un certo senso “ghettizzato”, santificato in una sorta di Romanità. Magari ci tornerò ma in un modo diverso. Non volevo rimanere legato a qualcosa che mi avrebbe messo una maschera e dato un vestito, col coraggio anche di non piacere più o perdere il seguito.

L’ancestralità è complementare e un tutt’uno con la religione o può essere distinta?

Il sentimento del metafisico è qualcosa di umano, la religione è una cosa terrena. La Religione è sempre stata usata per giustificare potere se si pensa alle Crociate, per uccidere gli Indios nel Nuovo Mondo. Anche adesso legittima guerra o atrocità. È un sistema che ti mette della polvere in testa che annebbia tutto.

Poi c’è il tema della Donna, con i suoi vari lati: ancestrale, indigena, giungla, attratta dalla città, guerriera al comando che va contro il patriarcato dello Stato, donna creatrice e forza eterna e la duplice visone della cover..

Quella che è nella cover di “V” è una guerriera con passamontagna homemade; quando scattavamo le foto mi è venuta l’idea di scegliere una foto in cui non si capisse se si stesse calando o togliendo. Questo per me è il simbolo della donna oggi che si mostra per quello che è, se la vuoi vedere e si riesce a vedere. Se le neghi l’identità come è stato per secoli, se l’abbassa e diventa una guerriera, qualcosa che terrorizza e va in guerra. Le cose stanno cambiando un po’ da questo punto di vista in quanto le situazioni geopolitiche lo stanno permettendo e le donne possono fare cose.

E “Bandida”?

Bandida parla di una bambina, ragazza che cresce e si ribella alla violenza degli uomini e all’educazione dello “Star al posto tuo”. Ragazzina che correndo tra i vicoli cresce e diventa regina della favela. Non a caso, “¿Educar a una chica? Desarmar a una mujer”

Quindi in tema di inclusione siamo abbastanza avanti?

Credo che la cosa giusta sia riconoscere la disuguaglianza nell’uguaglianza, riconoscersi diversi ma uguali. Io ho sempre subito come uomo la violenza del patriarcato. Siamo portati a vivere in una quasi fabbrica degli uomini che li fa diventare misogini e a sviluppare un pensiero che siamo meglio delle donne; l’ uomo genio, quello delle statue, quello che ha fatto la storia. “V” non è un disco di appropriazione culturale ma è un disco che parla della nascita comune dell’essere umano. È entrato tutto dentro di me, che ho sentito e che ho vissuto. Già sto lavorando a cose nuove, anche diverse. Le canzoni nascono senza che te lo aspetti.

Mi ha sorpreso molto che tratti di politiche anti-indigene. Perché non se ne parla?

Son cose troppo lontane, se ne parla in luoghi circoscritti per poche persone. È difficile portare avanti certi discorsi quando si parla di gossip. Io porto avanti la mia cosa, ma non posso pensare o pretendere che venga condivisa da tutti. il livello è bassissimo mi rendo conto. Pensiamo a quello che è stato fatto con le televisioni, i tagli all’educazione che poi son tagli al pensiero.

Quanto a “Paura”: è la canzone più diversa del disco ma forse quella più apprezzata, o no?!

Il mio è un disco concettuale. Volevo lavorare su suono e ritualità. Paura era il ritorno a casa dal viaggio; quella potenza di mondi in cui sei passato, apri gli occhi e sei a casa tua sul divano. Apri gli occhi e finisce il sogno. Volevo che il sogno finisse con la frase “Non avere paura”, che ti rimane sulla pelle, come fosse realtà. Il grande tema di questi anni è la solitudine, più ci sono i social e più siamo soli. Non abbiamo la visione di comunità, ma una visione di disgregazione, di individualità. Non telefoniamo ma mandiamo vocali, ci siamo attaccati alle macchine, ai delivery… Paura è una canzone che parla della solitudine, della disperazione, però si risolve con il rapporto.

Parli di resistenza e ribellione.. Sono sinonimi?

Ribellione è far qualcosa per sopperire a una situazione. Resistenza è resistere e necessita di vitalità, che è data dal pensiero e dai rapporti. Il problema della fiacca delle persone è data dal sistema. E da lì si ritorna a una delle prime tracce del disco, Cantarè, che mi immagino suonarla per strada con tanta gente con chitarre e strumenti, tutti insieme.

Pensi di diffondere la musica di “V” anche in Sud America? Dove ti piacerebbe suonare?

Dopo il tour in Italia da Aprile, abbiamo in piano anche il tour Europeo. È piaciuto poi anche in Sud America sì, e negli Stati Uniti. C’è di bello che la musica ti porta lontano anche dentro a un club ma portare Agua dentro a un bosco o una grotta mi piacerebbe tanto.

Quanto alle tue influenze musicali, non riesco molto a fissarle essendo i progetti uno diverso dall’altro.

Ci sono due tipi di musica, bella e brutta. Bella fa parte delle mie influenze musicali, dal soul al cantautorato, al folk; c’è l’estetica che deve trasmettere una verità e il cuore e l’armonia musicale. Quella fa musica buona. Tutto ciò che è “piacionico”, ammiccante e falso fa musica brutta.

Le grandi canzoni sono quelle che assumono un senso diverso e nuovo in base al momento storico, a dove sei e a quello che vivi.

Cantarono addosso al muro davanti a un fucile//Colpo su colpo vedrete questo muro cadere

Guarda l’intervista completa

Le date del tour:

27 Aprile – Fabrique – MILANO

03 Maggio – Fabrique – MILANO

04 Maggio – Fabrique – MILANO

09 Maggio – Teatro Concordia – TORINO

10 Maggio – Teatro Concordia – TORINO

12 Maggio – Tuscany Hall – FIRENZE

17 Maggio – Casa della Musica – NAPOLI

18 Maggio – Casa della Musica – NAPOLI

22 Maggio – Atlantico – ROMA

24 Maggio – Atlantico – ROMA

25 Maggio – Atlantico – ROMA

30 Maggio – Tuscany Hall – FIRENZE

31 Maggio – Tuscany Hall – FIRENZE

11 Agosto – Locus Festival – BARI

03 Settembre – Villa Bellini – CATANIA

28 Settembre – Arena di Verona

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