5 Momenti decisamente cringe della storia del Festival di Sanremo

Da Peter Gabriel che si lancia rovinosamente con un liana verso il parterre nel 1983, a Rocco Papaleo che cerca di sfidare impropriamente, munito di canottiera, Martin Solveig, che offeso se ne va dal palco. Sanremo in 71 edizioni ha regalato momenti di inestimabile imbarazzo, episodi che rimangono impressi negli anni. Ogni festival presenta almeno un episodio, che milioni di persone ricorderanno negli anni a venire. Quando abbiamo deciso di raccogliere i migliori momenti cringe della storia del Festival di Sanremo, una sensazione di piacere e di dispiacere si è mischiata nei nostri stomaci. Piacere nel ricordo di quegli istanti, alcuni visti in diretta. Quei secondi che ogni volta rimembriamo con nostalgia, asciugando la lacrimuccia che scende sulle gote. Dispiacere perché 5 posizioni non bastano. Come si fa ad escludere Crozza con la secchezza delle fauci per 5 minuti, contestato dal pubblico dell’Ariston, oppure la sigla di Pippo Franco del Festival del 1983, quando cantava «Ma quanto è fico quello lì/Ma guarda che maglietta e che jeans/Mi piace un frego quello lì». Non si può escludere cotanta avanguardia.

Ma è il Paese che ce lo ha chiesto e noi abbiamo dovuto farlo. Ci siamo presi le nostre responsabilità e abbiamo incasellato 5 posizioni preziose come gemme. Che vi strapperanno un sorriso, vi faranno imbarazzare, vi faranno riconsiderare la concezione massima del “cringe”. Insomma, una classifica davvero “molto italiana”, come direbbe il buon Stanis.

“Tu con la mia amica” Maria Grazia Imperio (1993)

Sanremo è un po’ come un matrimonio: anche se vivi in felpa e sei per rutto libero e bestemmia, ti presenti tutto in tiro ed in chiesa reciti pure quelle quattro preghiere che ti ricordi dal catechismo. Anche a Sanremo accade questo, è come se ci fosse un “sing code” e gli artisti, complice l’opportunità dell’orchestra e le aspettative dei fedelissimi della kermesse, lo rispettano o lo sfruttano per cercare di diventare un punto di rottura e trarne visibilità. Ammettetelo: la prima volta in cui il coro Sanremese ha cantato: “Elettra, Elettra Lamborghini” siete rimasti basiti ma poi magari vi ha fomentati. Nel 1993, invece, Maria Grazia Imperio sale sul palco di Sanremo con un brano scartato da Loredana Bertè scritto da Enrico Riccardi e si sente un coro cringe: “Hula hula hoop, hula hula hoop”.

Ha 24 anni, è la vincitrice di “Sanremo Famosi”, sale sul palco vestita da cowgirl stridendo così tanto già all’occhio con il contesto che perfino Baudo dopo averla salutata le dice: “Bel completino” e aggiunge, date le sue influenze musicali, di aspettarsi un pezzo rock.

“Tu con la mia amica” parla di una ragazza che è stata tradita dal suo ragazzo con una sua amica come espresso nel titolo: e forse sarebbe bastato così. L’esibizione, degna di Billy Ballo, è talmente imbarazzante che verrà dalla Imperio stessa rinnegata: “Io mi vergogno di quell’esibizione perché non mi riconosco nella rabbia che mi è stata imposta nel look scelto dalla Ricordi e nella canzone che non ha senso di niente […] La canzone che avrei dovuto interpretare al festival si intitolava “Se ci fosse Dio” di Roby Facchinetti”.

Che dire, se ci fosse un Dio, almeno della musica, un Dio che la protegga e non che la produca o la esegua, forse non ci troveremmo sempre più spesso davanti a forzature e provocazioni atte solo ad aumentare la mitomania e meno la musicofilia. Questa esibizione sia un monito: a Sanremo non si dovrebbe fare scalpore ma fare musica.

Francesco Salvi, “Esatto!” (1989)

C’è un periodo in Italia in cui tutte le cose sembrano possibili e anche quelle cose che non sembrano sto granché riescono ad avere successo. Un decennio fantastico in cui, non lo nascondo, avrei voluto vivere. In chiusura di quest’epoca irripetibile anche Sanremo, ovviamente, non può farsi mancare nulla. Nel 1989 al Teatro Ariston va in scena una delle edizioni più brutte e mal condotte di sempre. Al timone ci sono Rosita Celentano, Paola Dominguin, Danny Quinn e Gianmarco Tognazzi, soprannominati “i figli d’arte”. Tutti imparentati con personaggi immensi del mondo dello spettacolo, ma che con la conduzione della kermesse più importante d’Italia non avevano una cosa, ma davvero che sia una, in comune.

Tra i partecipanti in gara c’è un Giovani(-ssimo) Jovanotti, c’è Raf, Enzo Jannacci, Ornella Vanoni, Albano e Romina, Toto Cutugno e persino Fausto Leali con Anna Oxa. C’è persino Marisa Laurito che canta “Il babà è una cosa seria” (come darle torto). Ma soprattutto c’è un attore e comico, che è diventato popolare grazie a Drive In.

Francesco Salvi porta sul palco di Sanremo una canzone che rimarrà negli annali, per la sua satira in punta di fioretto, per il testo, per la sinfonia, che riesce a racchiudere in 3 minuti e passa di esibizione tutta l’essenza degli anni 80. “Esatto!” è una sorta di riedizione della vecchia fattoria: c’è Salvi, vestito con un impermeabile giallo, scortato da 4 ballerini con la testa di un cane, di un cavallo, di un maiale e di un gallo. Le parole, però, rimangono dentro. «One, two, three, quattro! Avete spostato la macchina?».

E giù di entusiasmo, di versi animaleschi, di slogan conditi poi dall’unisono grido: «Esatto!».

Una pittoresca presa per il culo ai cantanti che si alternavano su quel palco, derisi per la scarsa qualità con ancora meno qualità. Il ritornello rimane dentro: «Facciamo tutti dei versi/Siamo una grande tribù/Non siamo tanti diversi/Dai prova a farlo anche tu». Dissacrante per gli aficionados dell’epoca, abbastanza imbarazzante rivisto dopo un po’ di anni. Soprattutto vedendo la classifica finale. Stavolta sì, ha vinto Fausto Leali in coppia con Anna Oxa, ma è nella top 10 che succede la magia. Francesco Salvi arriva settimo, staccando di due posizioni la stessa cantante di cui parlavamo prima, al nono posto. La canzone in questione si chiamava “Almeno tu nell’universo”. «Perché a noi la qualità c’ha rotto er cazzo».

Fischi per Anna Tatangelo (2008)

Sicuramente tutti avrete memoria dei fischi alla povera Anna Tatangelo sul palco dell’Ariston. Correva il 2008 e l’artista ciociara era in gara con il brano “Il mio amico” che già di per sé aveva attirato futili polemiche. Il clou è stato raggiunto quando, dopo essersi classificata seconda, la Tatangelo dichiara sul palco: “Vorrei dire Gigi ti amo, è la prima volta che lo dico in televisione”. Non l’avesse mai fatto, pioggia di fischi e urla da parte dell’Ariston. Momento di grande imbarazzo. La Tatangelo prova ad uscirne replicando: “Ma sono gelosi?”.

Da poco la cantante aveva dichiarato ufficialmente la sua relazione con Gigi D’Alessio, dopo le infinite polemiche e critiche sollevate sulla loro relazione. Di sicuro un bel gesto d’amore, ancora oggi non capisco come mai abbia attirato tanta cattiveria da parte del pubblico. Fatto sta che da allora la Tatangelo non ha più rilasciato pubbliche dimostrazioni di affetto verso il suo (ormai) ex compagno.

Gli agghiaccianti interventi di Diletta Leotta (2020)

Se è vero che le esibizioni di Achille Lauro e il litigio tra Bugo e Morgan hanno inciso significativamente sul nostro immaginario comune, durante la scorsa edizione di Sanremo qualcos’altro ha lasciato un segno – tipo un trauma – nella memoria collettiva nazionale: gli agghiaccianti interventi di Diletta Leotta, veri e propri apostrofi rosa tra le parole “cringe” e “trash”. La leggenda narra, infatti, che l’iconica citazione di Morgan (“Che succede?”) che ha echeggiato tra le pareti dell’Ariston dopo l’abbandono del palco da parte di Bugo sia in realtà stata bisbigliata per la prima volta dalla nonna della Leotta dopo i sei imbarazzanti minuti di monologo della nipote durante la serata d’apertura del Festival.

La nota conduttrice sportiva ha stordito i telespettatori con un infinito e contraddittorio monologo sulla bellezza, sulla bellezza e – pensate un po’? – sulla bellezza, dote che lei, per una fortuita botta di culo, ha ereditato dalla nascita e senza la quale non avrebbe potuto né presenziare alla 70°esima edizione di Sanremo – parole sue, la nonna può testimoniarlo! -, né tanto meno ergere il festival al “genere di spettacolo televisivo che il mondo ci invidia” (semi-cit.). E come se tutto ciò non fosse abbastanza, la Leotta, insospettabile, poliedrico talento, ha voluto ulteriormente provare noi poveri telespettatori con una versione squisitamente tamarra di “Ciuri Ciuri” interpretata/asfaltata dalla stessa Diletta su una base strumentale di Eminem. “La pandemia – spiega il noto rapper – a confronto è stata quasi una piacevole carezza”.

Cavallo Pazzo e Pippo Baudo (1992)

Mario Appignani è cresciuto in un orfanotrofio, passando un’infanzia non molto tranquilla. Negli anni 70 fu leader del movimento giovanile “Indiani Metropolitani” e dagli indiani Sioux ha preso in prestito il soprannome di “Cavallo Pazzo”. A un personaggio televisivo è particolarmente affezionato. Quello più noto di tutti, che in quegli anni conduceva i programmi più visti della televisione: Pippo Baudo. Lo incontra in due momenti precisi, che passeranno alla storia. Nel 1991, in una Piazza San Marco gremita, Pippo Baudo si appresta a introdurre la cerimonia di premiazione della 48° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. «Buonasera signori e signori, benvenuti alla serata conclusiv…».

Nemmeno il tempo di finire la prima frase della serata, che un uomo con gli occhiali corre dritto su Baudo e cerca di sfilargli il microfono, ripetendo: «Sono Cavallo Pazzo, ho bisogno di parlarti». Beh, effettivamente è il momento giusto per una bella chiacchierata. A nulla sono servite le preghiere di Appignani che nel giro di 10 secondi viene assalito da una decina di persone che lo portano via, sotto il grido di preghiera di Cavallo Pazzo.

Finita qui? Ma manco per scherzo.

Nel 1992 va in scena un Festival di Sanremo molto discusso. Il direttore artistico Aragozzini riceve avvisi di garanzia per presunte tangenti ricevute nelle precedenti edizioni, l’aurea di un festival truccato è nell’aria. Ma Sanremo must go on. Chi conduce? Non c’è nemmeno da chiederlo: Super Pippo Baudo da Militello. Il copione è sempre lo stesso. Sigla, Baudo entra e non fa in tempo a terminare i saluti, quando dalla sinistra spunta a tutta velocità un uomo visibilmente agitato. Il marchio di fabbrica è lo stesso: «Sono Cavallo Pazzo». Ci risiamo, non si ferma più: «Questo festival è truccato, questo festival è truccato, e lo vince, e lo vince…». Quella pausa crea suspense, gli spettatori pendevano dalle labbra di Appignani col sogno di potersi risparmiare 5 serate sane sane e spegnere il televisore in quel momento.

L’assistente di studio corre per braccare inutilmente Cavallo Pazzo, Baudo cerca di spostarlo, altre due figure entrano per metterlo a tacere, anche a costo di tappargli la bocca con la mano. Ma non serve a nulla, la verità vince sempre. Cavallo Pazzo omnia vincit. «Lo vince Fausto Leali!». Ci piacerebbe dire anche che Fausto Leali omnia vincit, ma no, finì nono. Quel festival lo vinse Luca Barbarossa, con al secondo posto una donna che cantava queste parole: «Gli uomini non cambiano/Prima parlano d’amore/E poi ti lasciano da sola». Era Mia Martini, alla sua penultima partecipazione al Festivàl.

A cura di Mark Karaci, Annalisa Senatore, Sara Di Iacovo e Giulia Perna

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