Mahmood, quel che resta di una Gioventù Bruciata

Non c’è nessuno giovane, vecchio, bianco, nero, uomo, donna, amante del rap o della musica classica che in queste settimane non canti Soldi di Mahmood. Alessandro Mahmoud, classe 1992 da Gratosoglio nella periferia di Milano, si è preso il palco dell’Ariston, le radio, Spotify e la gente per strada.

Con quel singolo che ha suscitato tante polemiche, tanto da scomodare anche Salvini, da far intervenire Di Maio sul televoto, da far arrivare Ultimo secondo e non primo.

Troppe parole sono state spese per questo cantautore con alle spalle anni di gavetta e di studio. Ha all’attivo non solo partecipazioni a X Factor e Sanremo Giovani, ma anche collaborazioni con Michele Bravi, Elodie e Guè Pequeno. Mahmood vive e scrive a modo suo, da qui il suo nome d’arte che parte dal suo cognome. Scrive di tanta vita quotidiana e lo fa nella maniera più inaspettata che potesse esserci all’Ariston, ma che si dimostra la più giusta per i tempi che viviamo.

Con una produzione che da sola valeva la vittoria della kermesse, quella di Charlie Charles e Dardust e non di due nomi qualunque, Alessandro ha riportato su quel palco il piacere di una bella canzone pop al contempo impegnata.

Perché sotto il battimani più coinvolgente degli ultimi tempi c’è la storia di un padre e un figlio che perdono il proprio rapporto, ma che continua a esistere e bruciare sotto la cenere del ricordo. Le melodie che sanno di Egitto, le frasi ripetute con una ninna nanna lontana permeano tutto l’intero album. Gioventù Bruciata è uscito in anticipo, il 22 febbraio invece che il primo marzo, a causa del grande successo ottenuto dopo Sanremo a tutti i livelli di numeri e di pubblico.

Ascolta qui “Gioventù Bruciata”, album d’esordio di Mahmood

Mahmood ha inventato la sua formula, fatta di equilibri, di attualità, di verità e di suoni accurati e ricercati.

In questo disco c’è tutto quello che Alessandro vive ogni giorno e un po’ di quel passato che fatica ad andar via. Gioventù bruciata è il ponte immaginario che unisce Milano all’Egitto, dove è facile passeggiare con calma e ritrovarsi improvvisamente rapiti da un lavoro che scorre fluido, in cui nulla è fuori posto e un Uramaki si mescola perfettamente al Naviglio e al Nilo, con il risultato di creare solo Good Vibes.

Il punto di partenza è proprio quella Milano grande ma fatta di dettagli e di periferia. La Milano patria della contaminazione e della sperimentazione. La Milano dove Mahmood è nato e che ha deciso di cantare alla sua maniera. Anche se non tutti sanno che è la sua città e che lui ne conosce il profumo, gli odori e soprattutto i suoni. Perché forse alla luce di tutte le polemiche, le nazionalità sbagliate e i testi fraintesi è giunta davvero l’ora di far parlare solo la musica, ascoltare e capire. E per apprezzare Gioventù Bruciata forse non serve aggiungere altro.

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