“Turismo sentimentale” è il nuovo quaderno di appunti musicali ed umani del Solito Dandy. A distanza di quattro anni da “Buona felicità”, il percorso di crescita metropolitano si fa più convinto ed elaborato, senza però perdere la capacità di ridere ed osservare spiazzati un mondo che gira veloce. Musicalmente si presenta come un colorato bazar, uno street food musicale appagante e con annesso ruttino finale. Il pop urbano meticcio e a strati del Solito Dandy non è però avaro di metafore e perifrasi colte e pungenti, inserendosi in maniera insolita in quel grande calderone che fu la scena romana e che ha adesso gemmato una nuvola multicolor e multisound di figli (anche) illegittimi. Roma ha per il Solito Dandy il profumo del punto di partenza e della stazione intermedia. È milia di una autostrada da e verso Torino che arricchisce di significati e porzioni di kebab.
Nel titolo c’è la meraviglia negli occhi del turista improvvisato e del sabato pomeriggio. Il suo turismo sentimentale è un taccuino di viaggio e una narrazione senza tempo. Roma si scopre adorata, spogliata e mangiata con gli occhi. Un disco che racconta e si racconta all’infinito: ogni storia prosegue e può essere riscritta senza paura di sbagliare.
Abbiamo indossato un casco virtuale: otto tracce, otto piccoli viaggi attraverso la città della Grande Bellezza. Saliamo in sella e scopriamo meglio il disco.
Il disco si apre con “Mastroianni”, icona transgenerazionale. Simbolo di una Roma edonista e patinata, rappresenta il centro di una città eternamente intenta a specchiarsi nella sua grande bellezza. È la prima tappa del nostro virtuale viaggio insieme, il Centro. Nella traccia diviene presenza fisica, collante di una storia in agrodolce. È davvero un lusso mortale essere nostalgici a Roma, in mezzo a tanta grazia?
Non credo, o almeno, è una cosa talmente tanto accessibile a tutti che definirla un lusso mi viene difficile. Quando da ragazzino ho visitato Roma per la prima volta mi son domandato come facessero a vivere tutte quelle persone in così tanta bellezza. Alla fine andandoci a vivere mi sono risposto che è tutto normale, a parte il fatto di avere uno scenario, a tratti, così difficile da immaginare, in cui ambientare questa vita che pare sempre un film. Sicuramente mi ritengo molto fortunato a vivere tra questi tramonti sconfinati che s’affacciano tra rovine gigantesche e gabbiani che fanno continuamente il verso, però alla fine i sentimenti penso siano sempre un qualcosa di unico, che tu viva a Roma, Torino, Borghetto Santo Spirito o chissà dove, c’è sempre tempo per sorprendersi o commuoversi.
“Boh” è la frenesia della vita moderna, di vite che assomigliano a tante piccole trottole dalle mille sfaccettature. Adesso facciamo tappa a San Lorenzo, grande contenitore di storie, sogni ed amori che nascono come lucciole splendenti. Questo senso di profondo e rapido usa e getta lo hai avvertito anche a livello musicale? La musica si adatta in maniera così plastica alle dinamiche amorose?
Io ci vivo a San Lorenzo, che cosa bella! E, in effetti, sì. La sensazione è proprio questa, quella di vivere, più che intorno a lucciole, a mille stelle cadenti che brillano e poi chissà dove vanno a spegnersi. L’usa e getta in ambito artistico (se si può ancora definire artistico) o musicale forse meglio, è una scelta che però non sento di criticare. È un mondo talmente bello e variopinto che perché non scoprire tutto quello che ci si muove attorno. La musica penso sia un bene di tutti e per tutti, mi sembra sciocco limitarsi a doverla fare solo per raggiungere il tormentone o forse ancora peggio mirare per forza al capolavoro pesante ammirato da tutti. L’importante è sentirsi sempre liberi e felici con sé stessi, che può sembrare una cosa un po’ banale, ma è molto difficile da raggiungere.
Mi piace pensare all’arte, alla musica come liberazione, come un qualcosa che ricordi i momenti in cui da bambino correvi per i prati o i pranzi a casa dei nonni, qualcosa che ti faccia star bene e che si muova dentro come i nostri pensieri felici. Questa è un po’ la mia idea di libertà, o almeno, faccio quello che faccio per questo. Ma è un mio punto di vista. E in ambito amoroso penso sia un po’ lo stesso, a forza di rincorrere mode o ideali di perfezione passeggeri negli altri, un giorno ci sveglieremo e saremo manichini e non più esseri umani.
“Pozzanghere” riprende la micronizzazione delle emozioni della traccia precedente. È il mare in una pozzanghera, quella paura di fare il passo decisivo. Essere fragili è un punto di forza, come se cercassimo le ultime briciole di un pane appena sfornato. Pozzanghere è il mondo dei contrasti del litorale romano, selvaggio ma di storica bellezza. Immersi in un mondo di filtri e di capelli sempre perfetti tu che hai cambiato città hai imparato ad addomesticare il tempo e la fragilità delle distanze?
Ho imparato a colmarle soprattutto accettando il vuoto di alcuni momenti. Mi sembra umano potersi dedicare del tempo ed ammettere che non siamo esseri invincibili fatti d’oro e plastica eterna, ma, come i paguri, esiste una grande fragilità dentro il guscio. Ed è quando ce ne rendiamo conto che tante situazioni diventano speciali. La distanza da Torino mi ha insegnato a vivere tante cose in maniera differente e, come tutti, non ti nego mi manchino mia mamma, mia sorella e tutti quanti, però il ritorno, ogni volta è sempre un qualcosa di incredibile.
Ti dico questa cosa che mi fa sempre un po’ commuovere. Il primo Natale che non sono riuscito a passare con la mia famiglia, perché lavoravo a Roma, mia madre mi ha detto per telefono “Non è importante che tu sia qui a Natale, perché per me è Natale ogni volta che tu sei qui”. E niente, mi sento una persona tanto fortunata e felice.
“Real time” è la vita di borgata tra serie tv e ventilatori. È la Roma quotidiana, lontana dal glamour del centro o dal mare. I tuoi testi sono immersi nella vita di tutti i giorni: come nascono le tue tracce? Turismo sentimentale può essere letto anche come te che fai la spesa comprando i prodotti migliori e le foto per le tue tracce? Sei un giapponese che invece di fotografare monumenti cerchi lo scatto giusto sui volti delle persone?
Ma sai che forse sì. Alla fine ho una buona memoria fotografica anche se non credo nello scatto “giusto” o nei prodotti migliori al supermercato, è sempre tutto un punto di vista. Solitamente cammino un sacco e nella testa arrivano tantissime immagini, un po’ come la parata di cianfrusaglie del film Paprika. Di tutte queste, qualcosa si salva, qualcuna me la perdo per strada, un’altra, magari, viene a farmi capolino mesi dopo. In generale, comunque, è un mega flusso di pensieri che parte dal concreto ma poi mi trasporta in mille fantasie. E tutto questo mi fa ridere davvero un sacco.
“Commesse” si lega a doppio filo con la traccia precedente. È un intermezzo pieno di vita, di voci e vita; una sorta di filo spinato che separa l’universalità delle prime tracce con la seconda parte più intima del disco? È come la metro che sbuca sul Tevere e poi ritorna sotto terra?
“Commesse” è quell’eterno vociare e rumore che non t’abbandona mai se vivi in una città come Roma. Ho sempre voluto fare una traccia che rappresentasse questo. Il gossip, la chiacchiera, il frastuono che un po’ disturba la poesia e la sovrasta. Come guardare un tramonto sul Pincio ma ritrovarti circondato da gabbiani e spazzatura, a tratti è disturbante, ma lo accetti per com’è, anzi vieni quasi ad apprezzare l’assurdità del momento. Inoltre volevo rimanesse anche l’aspetto della mia vita da commesso d’abbigliamento, quindi un giorno ho preso ed ho registrato le mie colleghe e colleghi, per poi farci suonare su un’orchestra italiana da cinema coi mandolini. Mi sembrava l’intermezzo perfetto, quasi un momento di distrazione in mezzo a così tanti pensieri.
“Madonna l’amore” ed il suo giardino di spine. Un poeta maledetto che cammina lungo il Tevere sotto la pioggia. La narrazione diviene soggettiva, l’altra metà del cielo è per la prima volta oggettivamente lontana. Scappare, invecchiare lontano. Hai mai pensato di tornare indietro. Quanto devasta la paura di fallire? “Madonna l’amore” è mai stato “Madonna la vita”?
Sì, forse a pensarci è più “Madonna la vita” con la sua imprevedibilità e quei momenti dove non riesci a capire cosa stia succedendo o dove andrai a finire. “Madonna l’Amore” è uno status, il ritrovarsi fradici dentro un temporale di sentimenti, pensieri ed emozioni, un po’ come quando pensi di aver toccato il fondo ma comunque ti viene da ridere perché sai che, in qualche maniera, si può sempre rinascere.
Per quanto riguarda il fallimento o l’idea di tornare indietro, sinceramente, non ci ho mai pensato, ma immagino che la vita non sia una gara fatta di numeri o competizioni, ma più tipo un mare gigantesco da scoprire e che nel tragitto sia anche normale, ogni tanto, perdere qualche remo o bucare la vela, poi nel caso affondasse la nave si può sempre nuotare o magari diventare subacquei e scoprire, per caso, che i veri tesori erano proprio sul fondale. Sai che sorpresa!
“Thailandia” è affresco semi serio della classica pariolina, vero? Si inserisce in un filone narrativo che da Niccolò Contessa arriva a Tommaso Paradiso. Mille anime, mille storie spesso a compartimenti stagni ma simili: la scena romana. La prossima rivoluzione musicale che riguarderà Roma quale sarà?
Esattamente, “Thailandia” parla proprio del buttarsi in scatole pur di appartenere a qualcosa, rinunciando a quello che poi è la nostra vera natura, ma non ci rendiamo conto che così rischiamo di perderci per strada e non ritrovarci mai più, o almeno, a dimenticarci del bambino che abbiamo dentro. È un discorso che mi sta tanto a cuore e mi lascia un po’ con l’amaro in bocca. Il Maestro blu ne è la rappresentazione e nel video (guardalo qui) si vede tutto. No, non tutto come puoi pensare tu! Siamo pur sempre in fascia protetta! Poi quel giorno pioveva un sacco a Villa Borghese, sono anche finito in un buco sotto una fontana ma, per fortuna, non mi sono fatto nulla.
Comunque non so quale sarà la prossima rivoluzione musicale, ma mi piace pensare che ci saranno tanti colori e sfumature, come un carnevale, ma senza maschere. Tipo hey, quanto vola alto quell’uomo pellicano! Oppure, l’ho sempre saputo che eri un tipo senape!
“Estetica e Solarium” chiude il disco. Mi ha ricordato l’incertezza dei volti che passeggiano nella zona universitaria, sospesi tra impegni e voglia di libertà. Hai presente? Un pezzo di pizza al volo e libro sotto braccio. Turismo sentimentale come suonerà tra dieci anni? Anche lui avrà spiccato il volo e rimpiangerà i bei tempi andati?
In questo caso mi piace solo immaginare, sorridere, e dirti chissà…