Te quiero Euridice: «vorremmo raccontare storie d’amore come De Gregori»

Dopo averci fatto innamorare della loro musica e delle loro storie, Elena Brianzi e Pietro Malacarne, in arte Te quiero Euridice, hanno pubblicato, lo scorso 4 novembre per PeerMusic, il loro primo album “Sempre qui”.

La delicatezza di “Shhh”, la capacità di parlare con leggerezza di una storia d’amore complicata in “Lampadine”, il coraggio di spezzare un legame ormai dato per scontato in “Adelphi”, l’ottimismo di “Un segreto tra di noi” e le due anime di Elena e Pietro raccontate in “Mandorle” e “Casseforti” (NSGB)”. La musica dei Te quiero Euridice in “Sempre qui” è un album di fotografie, di quelli che solo i nostalgici tengono ancora, da sfogliare in segreto per sbirciare la vita di due ragazzi nel mezzo dei loro vent’anni. Gli amori, le prime delusioni, le feste, l’università, i viaggi con il vento in faccia, immagini intense che penetrano sotto la pelle e conquistano un posto nei nostri cuori.

Così recita il comunicato stampa circa il loro primo disco. Incuriositi, dopo averli sentiti lo scorso giugno in una Intervista Lampo (che puoi recuperare qui), abbiamo deciso di approfondire il loro lavoro di debutto con questa intervista approfondita a cura di Francesco Saverio Mongelli.

Te Quiero Euridice – Sempre Qui [Ascolta Qui]
Benvenuti su Le Rane. Comincerei dal fil rouge che lega queste nove canzoni: la vita a vent’anni. Ogni epoca della nostra storia democratica ha avuto delle caratteristiche dominanti. Quella contemporanea ha l’impronta della tecnologia e dei social network, quindi un ribaltamento sostanziale del modo di rapportarsi agli altri, delle abitudini di vita e di tutte le logiche, di mercato e non, che afferiscono anche al mondo della cultura e che, al contempo, permettono a chiunque di registrare, editare e stampare parole, ma allargano talmente tanto lo spettro di scelta che diventa impossibile, o quasi, riuscire ad essere neutralizzati dal grande pubblico. Alla luce di questo scenario, che significa oggi avere vent’anni e occuparsi di arte?

Conosciamo bene l’importanza dei social e l’enorme potenza che possono avere al giorno d’oggi. La democrazia assoluta che regna in questo mondo virtuale porta con sé grandi benefici e degenerazioni difficili da comprendere. Noi, in qualità di artisti, abbiamo bisogno dei social media per far sì che la nostra arte si diffonda, ma non ci dimentichiamo della vita reale, dove le nostre canzoni e, soprattutto, i nostri legami, prendono vita.

Tra le canzoni dell’album ce ne è una intitolata Adelphi. Il riferimento è quello alla raffinata casa editrice milanese, luogo che mi fa pensare a Roberto Calasso e Bobi Blazen, ma anche a Sciascia, Manganelli e Simenon. Qual è il vostro rapporto con i libri e con la letteratura? Credete che leggere sia un esercizio che aiuti anche a scrivere meglio?

La canzone è nata guardando alcuni libri della collana “Adelphi” sulla libreria in camera di Elena. Tra questi, il preferito è la piccola raccolta di poesie “La verità, vi prego, sull’amore” di W. H. Auden dove ci sono bellissimi versi sull’amore perduto, un po’ come nella canzone. Leggere aiuta a scrivere, e leggere cose belle aiuta a scrivere cose belle.

In merito a questo, mi piacerebbe ragionare con voi su un tema al quale tengo molto. Gli anni Settanta specialmente, con tutte le complicazioni causate dal terrorismo, furono densi di cultura, sperimentazione e di impegno sociale. Col passare del tempo ci sono stati dei cambiamenti, al passo con la società: la lingua si è semplificata, i contenuti sembrano essersi asciugati e ristretti, le modalità d’esecuzione si sono facilitate. Tutto questo, però, ha abbassato notevolmente il livello medio della qualità di ciò che fruiamo. Come si coniuga tutto questo con la vostra visione d’artista?

Confrontare diverse epoche storiche in ambito artistico non è una cosa che ci piace fare. Pensiamo che l’arte sia semplicemente lo specchio della realtà in cui nasce e crediamo molto nel presente delle nostre canzoni. Avere 20 anni oggi, non è come avere 20 anni 40 anni fa, ciò vale anche per la musica.

Una celebre frase di un brano di Battiato recita: “E il mio maestro mi insegnò com’è difficile trovare l’alba dentro l’imbrunire”. Chi sono i vostri maestri, in ambito musicale, artistico in generale, e cosa pensate di aver assorbito da loro?

Vorremmo raccontare le storie d’amore come De Gregori. Vorremmo cantare come Marco Mengoni. Vorremmo avere lo stile di Ghali. Ma la verità è che i nostri sono solo voli falliti, come i primi tentativi dei fratelli Wright.

“Two is better than one”. Condividete questo assunto? Quali sono i pro e i contro di lavorare in duo? Come avviene il processo creativo ed esecutivo nelle vostre canzoni?

Essere in due è una sfida, ma ci piace ritrovare nelle nostre canzoni idee che si contrappongono, si scontrano e si influenzano. Non ci poniamo limiti nel processo creativo, alcune canzoni nascono solo da Elena, altre insieme, altre solo da Pietro. L’importante è che siano belle.

Te Quiero Euridice
Avete intitolato una canzone shhh, onomatopea che simboleggia la richiesta al silenzio. Nel saggio intitolato “Rumore: un difetto del ragionamento umano”, gli autori scrivono «Spesso, nelle decisioni che prendiamo giorno per giorno, il tasso di rumore è scandalosamente alto». Forse è proprio l’intimità la chiave giusta per decifrarlo? Ovvero il silenzio, quella componente che per molti è la più importante nella musica.

Il silenzio per noi è un luogo dove stare nei momenti di riflessione, pensiamo sia necessario per ritrovarci e per riuscire a fare le scelte giuste. La nostra intimità è anche un po’ la nostra piccola verità.

Il nostro è un mondo turbolento, spesso invidioso e cattivo, che non risparmia critiche e che indossa vestiti sempre nuovi. Sempre qui, nonostante ne parli, pare quasi evaderlo, provando a sconfiggere le paure nascenti. Potrebbe essere questo uno dei pregi della musica: mettere tutto in stand-by per un po’?

La musica può avere un significato di evasione, ma per noi, più che una via di fuga, è solo un grande aiuto per riuscire a decifrare la contemporaneità.

Come molti artisti, anche voi, rispetto alla fase “in studio”, preferite i live e il contatto con il pubblico? Quali sono le emozioni del pre, durante e post concerto?

I live sono sicuramente bellissimi e qualsiasi sia la situazione non c’è mai stata una data senza quella tensione speciale che ci si palesa solo ai concerti. Il contatto con il pubblico è qualcosa di insostituibile. Nonostante questo, anche la fase in studio ci fa pensare a un periodo stupendo delle nostre vite.

Nell’augurarvi un forte in bocca al lupo per il vostro futuro, e nel ringraziarvi per questa conversazione, vi chiedo di raccontarci un po’ i vostri impegni e progetti a breve e lungo termine.

Crepi il lupo! Speriamo di suonare live presto, ma per ora non possiamo dire niente ☺

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