Golden Years e la sua corsa al futuro: un’era spaziale di sinergie creative

“A mio padre che non vuole andare sulla Luna perché sulla Luna non ci sono fiori né pesci né uccelli. A Theodore Freeman che morì ucciso da un’oca mentre volava per andare sulla Luna. Ai miei amici astronauti che vogliono andar sulla Luna perché il Sole potrebbe morire”.

Inizia con questa dedica il libro Se il Sole muore, pubblicato da Oriana Fallaci nel 1965, un anno chiave per la corsa allo spazio degli Stati Uniti. Un anno narrato dalla scrittrice e giornalista italiana con ironia, irriverenza e drammaticità al tempo stesso.

ERA SPAZIALE – racconta oggi Golden Years (aka Pietro Paroletti, uscito lo scorso 6 ottobre con un EP che di quel periodo d’oro porta il nome) – sta a significare l’epoca aurea del ‘900 che coincide con le prime esplorazioni spaziali, oltre che il loro forte impatto sulla cultura di massa”.

Un periodo che entrò presto nell’immaginario collettivo, influenzando cinema, arte e design, con opere sempre più futuristiche. Così come futuristico è oggi il lavoro di Pietro, a partire dalle accoppiate ideali che compongono i quattro featuring dell’album, ma arrivando anche al nome d’arte che Paroletti stesso ha scelto di adottare per il suo progetto artistico: quei Golden Years che, prima d’essere un brano di Bowie, sembrano indicare davvero un immaginario nuovo, dorato e spaziale. Ce lo siamo fatti raccontare da lui.

Golden Years, “ERA SPAZIALE” [Ascolta qui]
Personalmente, il primo ricordo musicale che lego al tuo nome è quello della produzione di Italian Touch, disco di Antonio Frisino uscito nel 2020, a ridosso della pandemia. Che cosa è cambiato da allora? Come ha fatto Pietro Paroletti a diventare Golden Years?

La pandemia ha cambiato molto il mio modo di fare musica. La noia delle giornate passate a casa è stata un incredibile motore creativo: ritrovarmi a fare musica per me stesso, per necessità e divertimento, mi ha fatto trovare un nuovo entusiasmo nel lavoro di produttore. CASEMATTE, il mio primo mixtape, è la fotografia di quel periodo.

Franco126, Golden Years e Nayt
Hai scelto di dare al tuo progetto il nome di un brano di David Bowie, che viene descritto da Wikipedia come una canzone immersa in un’aura “di rimpianto per occasioni mancate e ricordi malinconici di piaceri trascorsi”. Quanto questa descrizione caratterizza il tuo modo di fare musica e il contenuto di ciò che esprimi?

Sono abbastanza ossessionato dal pensiero del passare del tempo, non tanto con riferimento al passato e alla nostalgia, quanto piuttosto al presente e al futuro. Non vorrei mai tornare indietro nel tempo, ma mi piacerebbe poterlo rallentare in alcuni momenti, estenderlo a mio piacimento quando sto bene con le persone a cui voglio bene. Quando ho scelto il nome Golden Years quindi non volevo far riferimento a chissà quale tempo passato, ma agli anni che speravo sarebbero iniziati a partire da quel momento: è un auspicio, non un rimpianto.

Hai debuttato con l’album CASEMATTE nel 2021 e adesso torni con ERA SPAZIALE, un EP che spaziale lo è davvero, di nome e di fatto, a partire dalle freschissime collaborazioni di cui si nutre. La cosa pazzesca è come si siano creati all’interno del progetto dei veri e propri duetti inediti: da Bais che canta insieme a Laila Al Habash fino a Giorgio Poi con Drast. Come hai composto questo puzzle di voci e di suoni?

Ho ragionato molto sulle coppie di nomi che compongono ogni pezzo. Nella maggior parte dei casi si tratta di featuring inediti, fedelmente a uno dei presupposti dell’EP: valorizzare le personalità delle artiste e artisti coinvolti, ma al tempo stesso portarli a fare qualcosa che non avrebbero mai pensato di fare nei loro progetti individuali. La scelta dei nomi in sé è stata semplice: ho contattato solo artisti/e che stimo e di cui sono fan prima che amico o collaboratore. Mi sono poi divertito a mischiarli nei vari “duetti”, cercando sempre di valorizzare al massimo le canzoni.

Continui a produrre tantissimi progetti di valore, preferendo in qualche modo le retrovie alla ribalta. Nel tuo ultimo lavoro, ovvero il contributo al disco “Lovebars” di Frah Quintale e Coez, hai potuto contribuire alla loro collaborazione, altrettanto inedita: quanto ti ha influenzato questa commistione di voci e di stili nel scegliere qualcosa di analogo per il tuo EP?

Ho lavorato al loro disco e al mio EP più o meno nello stesso periodo, ma non saprei dirti quale lavoro ha influenzato l’altro. Sicuramente cerco di imparare qualcosa da ogni esperienza in studio, soprattutto da quelle che comprendono più di un artista. Credo molto nel valore della sinergia creativa, sparigliare le carte per dare origine a qualcosa di inedito e inaspettato. Con Frah e Silvano è stato un lavoro bellissimo, i pezzi sono nati spontaneamente, spesso in poche ore. In questo, il processo creativo di ERA SPAZIALE è stato simile. Non mi piace quando le canzoni richiedono troppo tempo per venire fuori: subentrano il cervello, i ripensamenti, le sovrastrutture. Mi piace quando le cose vengono fuori d’istinto.

Coez, Golden Years e Frah Quintale
A chiudere l’EP una voce solitaria, quella di Angelica in Flash. È forse la canzone che mi piace di più, perché trasmette il senso di pace dopo un lieto fine tanto agognato: “tutto al posto giusto, niente da rincorrere”. Declinandola alla tua carriera, ti senti nel posto giusto? C’è ancora qualcosa che rincorri con la tua musica?

Mi sento al posto giusto e non mi sento di rincorrere nulla, cerco solo ogni giorno di lavorare a musica nuova che mi stimoli e mi diverta, avendo intorno persone con cui sto bene. Faccio un lavoro che farei anche gratis per quanto lo amo, non vorrei mai finisse subordinato ai numeri e ai risultati.

*Fun fact: il Theodore Freeman che Oriana Fallaci citava nel suo libro è morto davvero per colpa di un’oca, durante un’esercitazione di volo. Il volatile si era infatti schiantato contro il vetro dell’abitacolo del suo aereo, mentre quest’ultimo si trovava già in fase di atterraggio. I pezzi di plexiglas entrarono nei congegni di propulsione causando l’immediato spegnimento degli stessi. L’era spaziale di Freeman finì lì. Oppure cominciò, proprio in quel momento.

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