Dal 1992 “In viaggio” con Fabio Concato

Son passati quasi sei lustri dall’uscita di In viaggio, ottavo album del cantautore milanese Fabio Concato, già famosissimo grazie a canzoni come: A Dean Martin, Zio Tom, Domenica bestiale, Fiore di maggio, Ti ricordo ancora, Sexy tango, Tienimi dentro te, La nave, Rosalina, Tornando a casa, Speriamo che piova, 051, Gigi. Un cantante e musicista umile, silenzioso, gentile, raffinato, poetico e assolutamente imprescindibile, da tenere come riferimento per chiunque volesse approcciarsi al mestiere del cantautore. “In viaggio” è forse il suo lavoro più bello, tra i più teneri. Gli arrangiamenti, gli archi e le tastiere di Vince Tempera lo hanno elevato ad opera d’arte.

Uno dei dischi più interessanti di fine Novecento.

Già dalla prima canzone La mia macchina si entra in una dimensione magica, con l’odore della plastica, la musica romantica, come se l’automobile fosse una casetta attrezzata per attraversare e scoprire il mondo.

«Ci sono due ragazzi ad un semaforo che si danno tanti baci che confondono».

Un viaggio fatto magari in compagnia di Giulia, verso l’incanto di Roma, in mezzo a tanta confusione, dove diventa complicato schiarire sentimenti ma necessario disegnare un cuore con le dita sul vetro appannato del finestrino dopo essersi scambiati l’amore.

Ed È festa, sempre sulle noti dolci di una chitarra, lungo un arpeggio di luci in un cielo che pare affogare in acqua con i raggi del sole (o della luna, a seconda dell’umore) che s’accendono come ricordi, motore di un’immaginazione che non vuole arrendersi.

«Tu cosa farai, metti una gonna che non te la metti mai e proprio adesso sento che mi stai pensando, davanti a quello specchio so che riderai».

In viaggio – Fabio Concato [Ascolta Qui]

Naturalmente, come fosse un lungo viaggio, durante una relazione crescono tante paure: l’incompatibilità, la noia, le incomprensioni. Quando non ci sarai è una fotografia dell’incertezza, fatta di istanti con l’esigenza di guardarsi il più possibile, nei dettagli, per ricordarsi poi nei tempi più bui.

«Bisognerebbe non pensare a niente, troppa gente già lo fa; ritornare a casa e chiudersi la porta per godersi l’intimità, ma anche dentro queste non va bene perché è fuori che non va, tutti ci portiamo dentro questo senso di impotenza così profonda e di sottile infelicità».

Siamo nell’esistenzialismo più profondo, in un nido di incertezze, un inferno muto i immutabile dal quale tutti vorremmo scappare ma senza provarci né riuscirci. Se hai voglia, Provaci tu.

La classica ironia di Fabio Concato, contornata spesso da punti amari e critici, è manifestata nella canzone Poveri noi.

Il protagonista è un uomo divenuto intollerante all’alcol e al fumo, che va in palestra, che vuol migliorarsi e che lavora sodo per fare i soldi. Ma ha i problemi comuni a molti: una famiglia da guidare e la resa nei confronti di una politica che mai cambierà, con il motto sempre nella tasca di “fare la roba e pensare poco”.

Quanti di noi hanno ancora il vizio di smarrirsi? Una condizione che ci costringe a rifugiarci in un posto più o meno famigliare, tipo In trattoria, col giornale, l’odore del mare a smuovere il cuore e con un cameriere al quale raccontarsi, “in uno di quei pochi giorni in cui sto bene anche con me”.

Al termine dei pasti è d’obbligo Il caffettino caldo, che ha sempre un po’ il sapore della solitudine, anche se sorseggiato in compagnia, con l’aroma della fine. In un’atmosfera cittadina, all’insegna della comodità, dove però tutto è illogico, frenetico, a rottura di quel raccoglimento che ci induce a volere rispetto e umanità.

Il caffè resta il simbolo della cultura partenopea – Eduardo docet! – ed è proprio in dialetto napoletano che si anima l’ultimo testo, Canzone di Laura, scritto da Pino Daniele. Una poesia d’amore e di vicinanza, componenti della vita di cui tutti abbiamo bisogno e che vorremmo sempre avere o ritrovare anche alla fine di un viaggio.

«Cammina fino a che nun ce ‘a faje cchiù, piccirella, cammina semp’ addò l’acqua è cchiu blu e si vuò ‘na mano ‘o ssaje ca sto ccà».

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