“Auguri”, gli Ex-Otago ritraggono il presente tra speranza e disillusione

Il gruppo genovese, Ex-Otago, è tornato lo scorso 12 aprile con un nuovo progetto discografico dopo cinque anni, “Auguri“.  Tutto un secondo le previsioni, considerando che il nome della band è una squadra di rugby della Nuova Zelanda che vinse il campionato contro i pronostici. Se non che, dopo cinque minuti quel nome non gli piaceva più quindi subito hanno deciso di diventare ex. E poi lo sono rimasti per vent’anni.

Dopo il disco da solista di Maurizio, “Respiro”, avevo perso un po’ le speranze.

Quando lo ascoltavo era come se mi mancasse qualcosa. Non riuscivo più a trovarci quella capacità di vedermi dentro che mi ha accompagnata nel periodo in cui ero una studentessa fuori-sede e ascoltavo “Marassi – Deluxe Edition”. Tra l’altro, manco a farlo apposta sono appena tornata da Genova e ho soggiornato in un appartamento da cui si vede (e si sente) lo stadio.

Quel disco l’ho consumato, letteralmente: modalità aereo e cominciavo la mia catarsi di pianti mentre Maurizio mi diceva che ci vuole coraggio, mi faceva pensare a quando da bambina non sognavo di fare l’indiano ma mi chiudevo nel mobile della cucina che mia madre aveva adibito come spazio per i giochi e sognavo di poter camminare.

Poi prima dell’uscita del disco è arrivata “La puzza della città”.

E mi sono immersa in quell’odore, nel tempo che passa, nel senso di solitudine che ci attanaglia tutti, mentre cerchiamo di consolarci bevendo una birra o ascoltando una canzone. Che poi finisce.

Dunque coi loro Auguri gli Ex-Otago si arrogano nuovamente il diritto di raccontare i nostri giorni, imbrigliando il loro modo di guardare la contemporaneità come se sbirciassero nelle nostre vite ogni giorno per dirci: è davvero questo quello che vuoi?

Ex-Otago – Auguri [Ascolta qui]
Auguri” degli Ex-Otago è un disco che si manifesta come una invettiva alla vita, intricata ma irresistibilmente vibrante, con le sue contraddizioni.

Dopo cinque anni di silenzio, la band genovese torna con un album che non solo celebra la loro rinascita artistica, ma si immerge profondamente nelle complessità emotive e sociali che definiscono la nostra era.

Questa dualità è riflessa nell’intera struttura dell’album, che alterna toni di speranza e di disillusione, rivelando una maturità artistica arricchita da anni di esperienza artistica e personale.

La tracklist si svolge come un’analisi delle diverse sfaccettature dell’esistenza umana, con un’attenzione particolare alla quotidianità e alle piccole gioie e tragedie che essa comporta. Il tutto condito da un’atmosfera decisamente pop che contribuisce a rendere l’esperienza godibile e sincera.

Non a caso, in questo periodo sto leggendo un libro che si intitola “Il bisogno di introversione”.

Il paradosso è che l’ho comprato perché mi sembra sempre di non riuscire a mettere un confine tra me e gli altri, di concedere troppo facilmente quello che mi riguarda per poi sentirmi continuamente esposta. È come se avessi bisogno di vomitare tutto addosso al prossimo per mettere le mani avanti e dire, sono questo, tienine conto, quando mi parli.

Davanti ad una realtà esteriore che ci appare sempre più in disordine, ripiegarci su noi stessi ci sembra l’unica via di fuga. Tornare dentro mentre tutto fuori ci sfugge. Eppure, quando sono da sola mi piace far caso alle persone, ai dettagli, cogliere i particolari, scrutarne l’apparente

Le band possono prendersi una pausa e poi tornare, un po’ come l’umanità che continua a cercare la propria unicità, accartocciandosi. Alla fine, però, ci ritroviamo tutti a tornare alle nostre radici, a cancellare foto dal telefono in modalità aereo e a scattarne di nuove che forse non riguarderemo mai. Vogliamo essere tutti Esseri Speciali, “deboli arroganti, estremamente normali.”

Ex-Otago – Auguri
Mi chiedo, che senso ha passare la vita a battere su una tastiera?

“Mi stavo domandando se è davvero il caso di svegliarsi presto e farsi sempre il culo […] e poi è sicuro che finisce tutto come un concerto all’ultimo pezzo, i tuoi occhi prima del buio.”

Che ne sarà di noi quando non ci saremo più? Delle pagine che abbiamo scritto a mano. Saremo ricordati come l’unica specie che si autodistrugge, che si allontana dalla propria natura in cerca di un dio sempre più elusivo, nei circuiti cibernetici di un iperuranio digitale? Viviamo nella speranza di creare qualcosa che lavori per noi, ma anche nel terrore che possa farlo meglio. 

Per paura che, se dovesse imparare a farlo meglio di noi, cosa ci resterebbe? Se ci togliessero la possibilità di lamentarci delle monotone attività ripetitive a cui ci siamo assoggettati?

“Mi tocco quasi come se fossi un estraneo, un amico, un coetaneo. Prima dei numeri, delle statistiche.

Prima dei saldi e dei convegni, dei lunedì e delle ferie”

Ascolto “Stronzate” e penso a cosa ne sarà di quel bicchiere di vino che abbiamo bevuto con sorpresa? Di cosa ci lamenteremo? Per cosa ci commuoveremo? Abbiamo sprecato l’adolescenza anelando l’approvazione altrui, e basta un salto all’indietro per realizzare quanto fossimo ingenui solo un anno fa, preoccupandoci di ciò che sarebbe potuto essere, del posto fisso e di tutte quelle altre meravigliose sciocchezze da adulti.

E ora, cosa è cambiato? Le priorità rimangono sempre urgenti, e dobbiamo essere sempre all’erta. 

“Mangi merda o li hai mandati a fanculo? Cerchi sempre di non cadere ma questo è un mondo panico.”

In un mondo ideale, tutti i posti a sedere sarebbero lato finestrino, e nessuno si siederebbe accanto a noi. Per lasciare spazio al nostro bagaglio di cianfrusaglie. 

La gente passa e guarda il posto vuoto alla tua destra come se potesse vedere il tuo amico immaginario. E poi, solo quando non ha scelta, ci si siede sopra, stando attendo a non sfiorare neppure un angolo di tessuti che proteggono la tua pelle. Ma in ogni caso, nel momento stesso in cui sta per sedersi, tu stai già sbuffando: ti senti violato. Perché in fondo, anche quando siamo vicini, attaccati agli altri e connessi, la prima certezza che ci smuove per istinto di sopravvivenza è che siamo soli.

Camilla si è trasferita da Catania a Bergamo, non sa mai cosa rispondere quando per congedarsi le dicono “Auguri”. Ho riflettuto un attimo e le ho suggerito di dire semplicemente ‘Grazie’. 

Abbiamo due opzioni: essere come i passanti che sorridono o come quelli che, in fila, tengono a marcato il confine tra sé e gli altri.

Nel frattempo, l’aereo decolla e le turbolenze mi inducono all’apnea. Il mio vicino insiste che devo stare tranquilla e chiudere il finestrino. Vorrei spiegargli che non è questione di scelta; che possibilmente voglio guardare. 

Poi, la sconosciuta davanti a me, si gira e mi sorride e con sguardo benevolo mi suggerisce di prendere fiato. Respiro, nonostante il brusco sobbalzo verso il basso. E penso che forse il senso di tutto questo è che, tra le nuvole, c’è sempre qualcuno che ti dice semplicemente di prendere fiato. Di attaccarti all’unica tua certezza, il tuo esistere, almeno per ora. Decido di seguire il consiglio di Maurizio: “ascolto musica, forse mi aiuterà.”

Ex-Otago

La parola “auguri” deriva dal latino “augurium”, che significa presagio o pronostico.

Questo termine latino è collegato al verbo “augēre”, che significa “aumentare” o “prosperare”. Gli auguri erano antiche figure romane, sacerdoti incaricati di interpretare i segni inviati dagli dei attraverso il comportamento degli uccelli o altri fenomeni naturali, per determinare se un’azione proposta avesse il favore divino.

Nella nostra vita quotidiana, non cerchiamo forse anche noi dei segni, dei piccoli presagi che ci guidino o ci rassicurino nelle nostre scelte e nei nostri percorsi?

Siamo atterrati. È ancora giorno. La serata sta per cominciare e le notifiche cominciano ad arrivare a riportarci in vita. Ma per un’ora e quaranta eravamo tutti in modalità aereo, a tracciare le nostre traiettorie, a passare in rassegna le cose che abbiamo lasciato.

Quando la ruota tocca l’asfalto, tiriamo tutti un sospiro, di sollievo o il contrario. La ragazza di prima mi saluta con lo sguardo e io, con la testa piena di pensieri, le rispondo sottovoce: “Auguri”.

“Mi stavo domandando se è davvero il caso di svegliarsi presto e farsi sempre il culo, anche se è apparentemente tutto scritto e poi è sicuro che finisce tutto. Come un concerto all’ultimo pezzo, i tuoi occhi prima del buio.”

Forse, in fondo, tutti noi viaggiamo tra le nuvole della vita cercando quei segni, quegli auguri, che ci possono garantire che, nonostante le turbolenze, siamo sulla giusta via, quella che ci porterà, infine, a trovare un po’ di pace, almeno fino al prossimo URGENTE.

Del resto, anche se cerchi di non cadere, gli EX Otago ce lo ricordano: questo rimane pur sempre un “Mondo panico”.

AUGURI TOUR ESTATE 2024 – IL CALENDARIO

  • Sabato 25 maggio 2024 – Milano, MI AMI Festival
  • Giovedì 6 giugno 2024 – Cagliari, Ateneika (ingresso gratuito)
  • Venerdì 14 giugno 2024 – Bologna, Oltre Festival
  • Venerdì 21 giugno 2024 – Arsita (TE), Dlen Dlen Festival
  • Sabato 22 giugno 2024 – Vicenza, Lumen Festival (ingresso gratuito)
  • Domenica 23 giugno 2024 – Ivrea (TO), Apolide Festival
  • Mercoledì 26 giugno 2024 – Salerno, Limen Festival
  • Venerdì 12 luglio 2024 – Genova, Arena del Mare
  • Giovedì 18 luglio 2024 – Roma, Villa Ada Festival
  • Sabato 20 luglio 2024 – Conversano (BA), Casa delle Arti
  • Giovedì 5 settembre 2024 – Castel Fiorentino (FI), Festa della Birra Castellana (ingresso gratuito)

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