La Carmen Consoli di “Volevo fare la Rockstar”, tra sogno e memoria

Frequentavo le elementari quando mi insegnarono per la prima volta a raffigurare con una linea del tempo le varie fasi storiche. Il susseguirsi degli eventi, in ordine cronologico, veniva rappresentato da una retta orizzontale, divisa in piccoli segmenti distinti tra loro per nome e contenuti. La rappresentazione della storia in forma lineare è finita poi per diventare rappresentazione della vita stessa. Solo all’inizio di essa, tra l’infanzia e la giovinezza, quando tutto è ancora in divenire, sembra vi sia posto per il sogno.

A ripensare i significati di ricordo, sogno e storia ci pensa Carmen Consoli con “Volevo fare la rockstar”, il suo ultimo album, uscito il 24 settembre per Polydor e Narciso Records. La cantautrice siciliana torna dopo sei anni di “pausa” ad incantarci con dieci brani raffinati, intelligenti, magistralmente scritti e composti. E, ve lo anticipo: ancora una volta, il lavoro della cantantessa sicula, si rivela un porto sicuro per gli amanti della musica italiana.

Carmen Consoli – Volevo fare la rockstar [Ascolta qui]
Il primo singolo estratto, “Una domenica al mare”, racchiude in sé gran parte degli elementi cardine dell’intero disco.

L’amore per la terra natia, il bisogno di riappropriarsi del proprio tempo, la celebrazione della natura a discapito delle “ceneri urbane”, sono solo alcuni dei temi trattati da Carmen in questo brano. In effetti, la canzone parrebbe abbracciare una narrazione ciclica, in cui lo scorrere del tempo segue ritmi dettati dalle percezioni e dai ricordi della cantautrice, in un presente che conosce le proprie radici (odore del padre) e un futuro che avanza su solide basi (la mano del figlio).

Alla ricchezza narrativa dei brani, si accompagnano arrangiamenti strumentali che riprendono sia il rock cantautorale nostrano di fine anni ‘90, sia elementi acustici e orchestrali, come in “Sta succedendo” e “Mago Magone”. Quest’ultimo brano, insieme a “L’uomo nero”, funge da critica attualissima a sovranismi, nazionalismi e all’ipocrisia di alcune note figure politiche. Carmen mantiene per tutto il disco uno sguardo vigile sul presente, nonostante il chiaro lavoro introspettivo che sta alla base dei testi, fornendoci una rappresentazione dello scorrere della vita complessa, sfaccettata e mai superficiale.

Una delle canzoni più belle, a mio avviso, è “Le cose di sempre”.

Una lettera d’amore che Carmen dedica al figlio, in cui i timori e le insicurezze della madre, relative all’avvenire, vengono esorcizzati dalle immagini giocose dei mostri e delle storie raccontate dal bambino. Il ritornello, disteso e accogliente, fa trasparire la speranza di un domani migliore.

“Come faccio figlio mio a dirti dove andare / Proprio io che non mi sono mai saputa orientare / In questa selva sconfinata e oscura avvisteremo l′orizzonte / Saluteremo insieme questa notte.”

Carmen Consoli @Gran Teatro Geox di Padova / foto di Ilaria Boraso

In realtà, il richiamo al passato e ai ricordi, rimane il fulcro di “Volevo fare la rockstar”. In “Armonie Numeriche”, la cantante si rivolge al padre che non c’è più, servendosi di immagini in bilico tra sogno e realtà. La dimensione onirica si rivela una base coerente per ricordare il padre che, come ha raccontato Carmen in varie interviste, ha sempre incoraggiato e sostenuto la figlia nel perseguire il suo sogno.

“E se i sogni e le armonie numeriche Ci parlano di un mondo possibile”

Il sogno, appunto, di voler diventare una rockstar.

Guardiamo, quindi, quella bambina dagli occhi grandi e indagatori, col suo grembiulino adornato da un grande fiocco rosa. La piccola Carmen che, tornando da scuola, si imbatteva nei cadaveri coperti da teli bianchi, distesi per strada, nella Catania delle faide mafiose degli anni ’80. Lei, ancora bambina, di risposta a quella realtà incomprensibile e violenta, si metteva a sognare. Immaginava allora di cantare sui palchi con le lucine colorate, di volare in America e fare grandi bolle rosa col chewing gum.

Una storia personale che diventa storia collettiva, una bambina che diventa donna e si pone al centro delle vicende della propria vita, da protagonista. Carmen Consoli ci parla di uno scorrere dello scorrere del tempo emotivo e circolare. Perché sì, magari la nostra cantantessa non sarà diventata una rockstar da manuale, tuttavia ha saputo ascoltarsi e realizzarsi, rimanendo fedele alla propria vocazione. Tempo fa, i filosofi greci spiegarono la felicità duratura tramite il concetto di eudaimonia, cioè la realizzazione proprio demone, la buona riuscita di sé.

L’ultimo album di Carmen, allora, sembra proprio la storia di una vita passata ad inseguire quel demone buono.

In “Volevo fare la rockstar” l’idea del sogno si distacca da una visione neoliberale di successo improvviso e individualista, dato dall’avere a discapito dell’essere. Piuttosto, la cantantessa, rifiutando la rappresentazione della vita a compartimenti stagni, ci fornisce un esempio di come il sogno e la felicità appartengano a chi si conosce, e riconosce nel mondo.

Carmen Consoli @Gran Teatro Geox di Padova / foto di Ilaria Boraso
L’11 dicembre ho assistito alla tappa patavina del tour di “Volevo fare la rockstar” ed è stata un’esperienza meravigliosa e totalizzante, quasi curativa.

Carmen Consoli ha portato in giro per l’Italia uno spettacolo in tre atti, affiancata dal chitarrista Massimiliano Roccaforte e da Marina Rei. Durante la prima parte del concerto, intitolata “il sogno”, Carmen sì è esibita affiancata da Roccaforte, con una performance in acustico dell’intero Album. I giochi di luce e le immagini di sfondo, curate da Donatella Finocchiaro, hanno reso l’atmosfera ancora più intima ed emotivamente coinvolgente.

Durante il secondo atto, intitolato “Gli anni mediamente isterici”, Marina Rei ha fatto il suo ingresso sul palco, esibendosi a fianco della Cantantessa in dieci canzoni dai suoni decisamente più rock e movimentati. L’ultimo atto, “l’amicizia”, sì è aperto con Stranizza d’amuri, un omaggio al grande Franco Battiato. Da “L’ultimo bacio” a “Parole di burro”, Carmen Consoli chiude il concerto proponendo i brani che hanno caratterizzato maggiormente il suo percorso. Il coinvolgimento è totale. Sul finale, infatti, arriva la standing ovation del pubblico, che dopo due ore e mezza ininterrotte di concerto, ringrazia con urla e applausi la Cantantessa, per l’incantevole e indimenticabile spettacolo. Dopo due anni di chiusure, tornare ai concerti non poteva essere più bello.

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