Canarie: l’amore ai tempi dei tristi tropici

Un manuale di educazione sentimentale per aiutarci a far fronte all’inesorabile erosione e rimodellamento dei nostri organi caldi, costitutivamente esposti come siamo all’azione cieca e costante del tempo. Ecco cosa rappresenta Tristi Tropici, opera prima di Paola Mirabella (Honeybird & the birdies) e Andrea Pulcini (Persian Pelican), congiuntisi artisticamente sotto il segno del progetto CANARIE.

Che poi, a pensarci, il collegamento che scatta d’obbligo, se si fa caso alla scelta del titolo dell’album (o a quella del nome stesso della band) è fuori di dubbio geografico. Ma concentrarsi su questo sarebbe riduttivo, e in parte forse anche fuorviante. Sì perché i “tropici” a cui ci si riferisce evocano in realtà una dimensione che di geografico in senso stretto ha ben poco. Ad aleggiare, durante tutto l’arco di questo viaggio sinestetico, è un “caldo habitat musicale” che ha l’estate come stagione preferita e il mare come elemento di purificazione. D’altronde è proprio in estate che nasce la fantasia [Meduse].

Facciamo però un passo indietro. L’etimologia latina del termine rimanda a sua volta al greco tropikós, ossia “rivolgimento”.

L’idea di moto vi è inscritta dentro. L’idea di divenire, di mutamento. Tutto scorre, tutto acquista nuove sembianze. E bisogna saperci fare i conti. Soprattutto se ad esser gettati nell’occhio del ciclone si è in due. Questo tipo di sentire bene l’ha trasfigurato in immagini Gianluigi Toccafondo – autore della copertina dell’Lp – che i più ricorderanno per i suoi lavori per Fandango o per l’art-work di Costellazioni, de Le Luci della Centrale Elettrica. Puro stile coloristico il suo, una pennellata avvolgente in grado di accompagnare lungo i corsi e i ricorsi temporali. “Conferimento alla figura di una forma momentanea”: anche i protagonisti dei brani di Tristi Tropici sono soggetti a metamorfosi continue, contaminati dal perpetuo confronto vis à vis con l’altro-da-sè, pur mantenendo sempre una traccia di ciò che fin lì son stati. Ecco che allora, in Bolero, una trama musicale che trasuda saudade racconta le prime crepe del rapporto di coppia.

Sento scricchiolare l’ottimismo della nostra storia/La letteratura come antidoto alla noia/La fiducia che mi dà guardarti/Mentre di addormenti e io sono al volante.

Ecco che nel video di Mettimi un dito in bocca, l’altra, la stessa coppia in crisi è “invitata” a più riprese a ricucire i propri strappi da una misteriosa mano senza corpo. Chiedersi poi “che cosa resterà di questa penisola”, “ora che il vento parla piano e le onde sono un mambo lontano” [Penisola]. Gli spettri della paura di ritrovarsi soli “come le casi editrici ad agosto”, nella title track; rischiare di bruciare libri “senza leggerne il finale”, recidendo di netto la possibilità di vedere come andrà a finire [Frigo]. Il disperato invito: “portami via”, come tentativo estremo di scappare da una situazione che si sa esser già profondamente compromessa [Sfocata].

In Veliero, l’afflato sognante che guarda al passato e non al futuro

L’emozione ci farà tornare indietro con la mente/Per salire sopra un grande veliero/Leggero

La corsa senza sosta di Mammiferi, che si placa solo con il riconoscimento del fatto che “tutto rimane sospeso”, fumo, poi ci dissolviamo anche noi. Noi, “appesi ad un cambio di stagione”, non è tempo di cambiare ma non ci si può nemmeno esimere dal farlo [Stromboli]. Forse, alla fine, non resta altro che “correre, star soli”. Senza fiato.

E se “camminare in due è pericoloso, soprattutto se si ha fretta di volare”… beh, allora più che di un manuale di educazione sentimentale, probabilmente avremmo tutti bisogno di un sussidiario illustrato della sopravvivenza ai (/dei) sentimenti.

26 ottobre - Canarie + Est-Egò live a Magazzino sul Po / Torino

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *