I 43.Nove ci raccontano la loro “Storia di un uomo”

Storia di un uomo è l’EP con cui, lo scorso 19 aprile, hanno esordito nel panorama discografico italiano i 43.nove, giovane duo versiliese, grazie all’intraprendenza di Walter Bonnot e della sua etichetta. Ma Cristiano Giannecchini ed Elia Fulceri, prima di essere i 43.nove, sono anzitutto due amici, fin dai tempi del liceo. “Il primo giorno che ci siamo incontrati eravamo a casa di un ragazzo che conosciamo entrambi e abbiamo iniziato subito ad improvvisare insieme una cover degli Arctic Monkeys” ci racconta Cristiano, con cui ho avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere al telefono.

Il loro progetto musicale affonda dunque le radici in quei momenti della prima giovinezza, che hanno permesso al duo di raffinarsi nel tempo, iniziando a comporre brani inediti in lingua inglese. “Ci siamo persi di vista e ritrovati lo scorso anno, quando Elia è tornato da Londra” continua Cristiano. Di lì, a pochi giorni dalla fine del lockdown, inizia l’effettiva avventura di questi due ragazzi versiliesi, armati di un coraggioso avanguardismo, condito però dal sapore retrò di una musica più “vera” rispetto a quanto l’industria digitale dei nostri giorni riesca a comunicarci.

43. nove, “Storia di un uomo” [Ascolta qui]
Proprio partendo dalla musica, a chi vi ispirate per ottenere il vostro sound?

Fin dall’inizio i nostri riferimenti sono sempre stati geograficamente ben connotati: oltremanica e oltreoceano. Crescendo, ho scoperto che se volevo scrivere e cantare i miei brani avrei dovuto cimentarmi con l’italiano, visto che l’inglese non lo padroneggiavo così bene. Red Hot, Linkin Park e Paolo Nutini restano i punti di riferimento imprescindibili, più tutta la parte soul e rock che ascoltavamo nelle nostre case sin da bambini.

E il passaggio all’italiano com’è stato?

Sicuramente difficile, ma anche ricco di soprese. Ho personalmente scoperto un modo di comporre musica e scrivere testi più ragionato e meno istintivo: la componente emozionale e quella di pensiero riescono a coesistere nell’italiano, laddove con l’inglese, vuoi anche perché eravamo più piccoli, i contenuti autentici delle nostre canzoni e i significati che volevamo comunicare non erano così immediati. Almeno non come penso lo siano, invece, in questo nostro EP d’esordio, Storia di un uomo.

Parlando proprio del vostro EP, l’intro iniziale ha una base pianistica e, nel testo, raccoglie tutta la congerie di dubbi e domande che animano proprio l’adolescenza. Una fase della vita secondo me descritta benissimo da quel “fare autostop fra le nuvole” che raccontate all’interno del brano. Dove arriva poi la macchina che ci fa salire a bordo?

Bella domanda! Non lo sa nessuno. La cosa che abbiamo voluto fare scrivendo i pezzi per l’EP è stata proprio porci delle domande, senza bramare ad ottenere delle risposte univoche, che talvolta sono controproducenti. L’arte non può dare certezze.

Foto di Matteo Agostini
Questa è un po’ la stessa sensazione che ci accompagna anche nella traccia successiva, “Capita alle volte”, dove sembrate descrivere quell’odore di libertà totale che però il protagonista sembra solamente osservare nella ragazza che ha davanti, e che balla sulla cresta dell’onda.

Effettivamente è così. Quella libertà a volte non riusciamo a viverla, l’agogniamo solamente. Una libertà così presuppone comunque un certo equilibrio, che l’arte, instabile e per natura soggetta a repentini cambiamenti, non può garantire. L’arte è fatta di istanti, scossoni in grado di farti aprire gli occhi sulle cose che hai di fronte, magari per provare a decifrarle. Certezze e risposte, però, non le appartengono.

Fra l’altro è bella la commistione presente, proprio in questo pezzo, fra cantautorato più pop-folk e strofe rap. Cifra distintiva di tutto il lavoro è di fatto questo non voler rimanere ancorati ad alcun genere preciso, esplorando e contaminando il più possibile il vostro fare musica. Forse anche questa è una forma di libertà? Di ballo sulla cresta dell’onda?

Decisamente. La musica ti permette di poter essere veramente libero, di poterti esprimere come meglio credi. Noi non vogliamo fermarci, restare staticamente ancorati a ciò che facciamo o che abbiamo fatto e sperimentato: significherebbe rimanere imprigionati nell’arte, intesa stavolta come un genere preciso dal quale non potersi discostare. Siamo giovani e la musica si deve evolvere, deve cambiare.

Nell’EP raccontate per certi versi la storia di una crescita personale, una sorta di percorso in continuo cambiamento. E proprio il cambiamento è allora l’unica costante, come dicevi.

Nessun uomo, per quanto cresca, arriva ad un punto risolutivo, o ad una chiave. O meglio, forse l’unica vera chiave è proprio il cambiamento: il non lasciarsi demoralizzare da ciò che accade, trovando nuovi stimoli anche nei fallimenti. Si tratta di vivere un’esperienza, vederla, scriverla, analizzarla, perfino cantarla: ma, alla fine, anche di guardare sempre avanti.

Nel vostro guardare avanti quali altri progetti vi attendono?

Sicuramente tornare ad esibirci live, la modalità in cui praticamente siamo nati come progetto musicale. In generale, di progetti ne abbiamo parecchi: forse il problema è proprio questo, che sono troppi.

Foto di Matteo Agostini
“Immagini” ha preceduto “Storia di un uomo” come singolo di lancio. Questo brano sembra quasi un collage di sensazioni anche molto diverse fra loro. Qual è allora l’immagine, il ricordo, di questo vostro primo anno di vita, che riassume un po’ il senso del vostro progetto?

L’istante più bello è scolpito davvero nella nostra memoria. Ed è quando, durante la scorsa estate, siamo riusciti a portare in Bussola [locale storico della Versilia] una vera e propria orda di persone a cantare, sotto il palco, i ritornelli di tutte le nostre canzoni. E senza che ancora avessimo pubblicato nulla!

In questo vostro modo di approcciarvi prima al palco, con grande successo, e soltanto successivamente all’industria discografica, c’è quasi un ritorno al passaparola del passato.

Forse è proprio questa la cosa più bella. Senza fare il nostalgico, è indubbio come un tempo la musica fosse più “sentita”, in tutti i sensi. Le persone si prendevano del tempo per scoprire, trovare e andare ad ascoltare anche live gli artisti che più le incuriosivano, e questo anche con cantanti poco conosciuti, come noi oggi. Il fatto che al primo live fossero in 40 e l’estate sia finita con 400 persone sotto il palco ci ha fatto capire che anche da parte del pubblico c’è quest’esigenza, forse un po’ retrò, ma in grado senz’altro di far vivere la musica in maniera più autentica a tutti quanti.

Il viaggio di “Storia di un uomo” mi è sembrato un bell’amalgama di elementi, mischiati al punto giusto con grande maestria, dunque proprio sugli elementi vuole soffermarsi la mia ultima domanda. Quale dei quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) ti senti di associare a ciascuna delle canzoni contenute nell’EP?

Immagini è fuoco: l’energia dell’infanzia che forse nell’età adulta va gradualmente esaurendosi. Intro è aria e Capita alle volte, nonostante i rimandi al mare e all’onda, resta terra. La title track, Storia di un uomo, invece, è acqua.

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