Daniele L. Bianchi, il fotografo romano che racconta storie dal Backstage

Sei tra un via vai di persone. Ogni tanto si percepisce qualche colpo di gran cassa, qualche chitarra scordata e un po’ di tensione. I musicisti sono elettrizzati, forse un po’ scontrosi, ma comunque energici per una nuova performance. No, non stai sognando. Ti trovi nel backstage di un concerto. Proprio del tuo artista preferito.

Non volevo essere fuori luogo, evocando atmosfere che di questi tempi paiono utopiche. Stavo raccontando le sensazioni che si vivono sfogliando il libro di fotografie di Daniele L. Bianchi, un’opera dal titolo “Backstage – I ritratti dietro le quinte della musica indipendente italiana”. Si tratta di un progetto che si potrebbe definire ambizioso, non solo perché è cartaceo, ma soprattutto perché il fotografo romano ha deciso di cogliere gli artisti in scatti che raccontano l’adrenalina dei pochi istanti precedenti l’inizio dell’esibizione.

Una raccolta inedita che contiene ritratti dei protagonisti della musica underground attuale, ma sembra contenere implicitamente anche una richiesta, ovvero quella di prestare attenzione ai dettagli. Che sia un’espressione del volto, che sia un’inquadratura, o anche una scelta cromatica, ogni dettaglio richiede tempo. E quindi, in questo momento di lentezza, Daniele L. Bianchi propone una galleria di sensazioni da contemplare, in un percorso a immagini che racconta storie di straordinaria umanità.

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Il tuo libro, che è una raccolta, ha come titolo “BACKSTAGE – I ritratti dietro le quinte della musica indipendente italiana” Com’è nato questo concept, questa idea di cogliere gli artisti nel backstage, un momento prima che salgano sul palco?

Ho cominciato un po’ per caso una decina di anni fa. Alcuni artisti che seguivo mi chiedevano spesso di fargli delle foto anche nei camerini e alla fine si è tramutata in una consuetudine. Adesso credo che il ritratto nel backstage e gli scatti durante i live siano due facce della stessa medaglia; importantissime in egual misura nella mia attività di fotografo. Con BACKSTAGE non ho fatto altro che selezionare dal mio archivio i migliori ritratti di musicisti fatti nel corso della mia carriera seguendo una linea ben precisa: proporre artisti della scena indipendente.

I tuoi scatti raccontano una scelta cromatica molto evidente. Come mai il bianco e nero?

Di solito scelgo l’utilizzo del colore per le foto dei live, anche per rendere al meglio l’illuminazione del palco. Mentre nel backstage mi viene più naturale il bianco e nero, che a mio avviso si sposa meglio con la fotografia ritrattistica. Ma devo dire che è una scelta che varia da periodo a periodo. Menomale che adesso non ho più la fissa per il seppiato come agli inizi. Il seppia secondo me non si può vedere (ride, ndr)

E come sorge l’idea di immortalare gli artisti in determinate “angolazioni” del backstage?

Le inquadrature dipendono molto dall’obiettivo e spesso utilizzo un fish-eye che dà un effetto di forma un po’ strano, un po’ bombato. Poi con l’inquadratura che si sceglie si può dare più o meno dinamismo allo scatto. Tipica è l’inquadratura dall’alto, di cui ci sono vari esempi nel libro. Mi piace molto anche giocare con l’ambientazione, ovvero ciò che offre il backstage, che solitamente è un luogo chiuso, ristretto e magari pieno di gente. In queste condizioni è divertente inventarsi lo spazio e cercare degli scorci interessanti dove posizionare il soggetto da ritrarre. Mi capita spesso di fare degli scatti in quello che io definisco scherzosamente il backstage del backstage: il cesso.

Sick Tamburo
Qual è la cosa più strana o divertente che ti sia mai capitata stando a fotografare gli artisti nel backstage?

Ci sarebbero molti aneddoti che però non si possono raccontare (ride, ndr). In realtà la cosa interessante è incontrare musicisti dalle personalità diverse. Alcuni sono estremamente tranquilli ed altri così estroversi che viene quasi da chiedersi cosa avrebbero fatto se non avessero suonato. È bello confrontarsi con persone tanto diverse ma accomunate da una grande passione per la musica.

Raramente do indicazioni agli artisti su quali pose assumere mentre li fotografo; voglio che siano il più possibile naturali. E così a seconda delle persone, possono venire foto noiose o anche foto spettacolari. Per esempiio, ricordo sempre con affetto uno scatto eseguito ai Tre Allegri Ragazzi Morti nel camerino del Circolo degli Artisti in cui, come fossero personaggi dei fumetti, assumono una posa incredibile. Ho pensato a lungo se inserire o meno questa foto fra le pagine di BACKSTAGE ma essendo già stata pubblicata su libri, riviste e mostre ho preferito optare per altro.

Com’è cambiato secondo te il modo che ha il pubblico di percepire un ritratto di musicista?

La fruizione delle immagini è cambiata drasticamente nel corso degli anni. Per intenderci, qualche decennio fa bisognava comprare le riviste musicali cartacee per vedere quelle tre-quattro immagini promozionali dei propri artisti preferiti. Attualmente invece stiamo assistendo ad un vero e proprio bombardamento mediatico che avviene tramite i social come Instagram o Facebook. Gli stessi artisti sono inseriti in queste dinamiche documentando spesso ogni momento della loro attività fino, in alcuni casi, a strabordare nella vita privata. Con tutte queste fotografie il tempo da dedicare ad ogni singolo scatto è sempre meno e soprattutto i lavori di qualità scarseggiano sempre di più. In questo oceano di scatti ogni tanto ho bisogno di creare un punto fisso e di mettere su carta le mie fotografie. Il cartaceo necessita di maggiore attenzione e consapevolezza.

Quanto è importante secondo te l’immagine per la promozione di un progetto discografico?

È fondamentale. Un buon servizio fotografico è estremamente importante e veicola il modo in cui un artista vuole essere percepito dal pubblico. Ma pur facendo parte del mondo dell’immagine secondo me, a raccontare l’artista in senso più autentico rimane la dimensione live.

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