Lamante, “In Memoria Di”: crescere tra sangue e cicatrici


In Memoria Di” è l’album d’esordio di Giorgia Pietribasi, in arte Lamante, cantautrice venticinquenne di Schio.

Un disco intriso del profumo di un Veneto sospeso tra la dura etica del lavoro e rapporti familiari coltivati tra cicatrici e ferite sanguinanti. Un disco che oscilla tra perdita e rinascita: una carta geografica piena di strappi e sottolineature.

All’ascolto il disco spiazza per la crudezza e crudeltà delle immagini e dei racconti: tutto è senza filtri, come le storie raccontate nei bar di paese e che si analizzano anche seguendo le righe del volto o i movimenti stereotipati delle mani nervose.

Lamante ci accompagna nel suo volto come spettatori e come coinquilini. Le sue influenze musicali appaiono cosmopolite ma, come lei stesso ha dichiarato, sempre legate alle sue radici.

Le abbiamo posto alcune domande. Non la solita recensione: il disco va ascoltato senza aggiungere artificiose distanze.

Hai definito “perdita” la parola chiave del disco. Siamo in un mondo sospeso tra l’esserci sempre ed un legame sottile con tutto ciò che è troppo vicino o lontano da noi. Tu parli di famiglia, di generazioni, di territorio. Come artista e come donna, cosa pensi della fugacità dei prodotti musicali in cui siamo immersi?

Viviamo in un mondo di specchi. Questo è chiaro e alla luce di tutti. La musica come qualsiasi altra espressione artistica è il contrario di uno specchio, o almeno dovrebbe. Ora le persone (generalizzo) ascoltano solo se si sentono rappresentate dall’artista o dalla canzone, non per vivere qualcosa di diverso, non per un emozione nuova, non per essere disorientati. Succede anche con le piattaforme di streaming, una nuova distribuzione della musica, non più fisica. Diffido quando si parla di “alla portata di tutti”: la musica dovrebbe essere trattata come qualcosa di verticale e non di orizzontale. Mi preoccupano gli algoritmi, la precisione con cui capiscono i nostri gusti e ci suggeriscono sempre qualcosa che ci piace, facendoci scontrare quotidianamente con il nostro stesso riflesso.

Lamante
LAMANTE – In Memoria Di [Ascolta qui]
Mi collego alla domanda precedente. Ha ancora senso costruire una narrazione musicale sotto forma di album? Nel tuo caso, ascoltando il disco, sembra quasi inevitabile. Il disco sembra infatti quasi un concept album: pezzi che pian piano si incastrano in maniera ruvida. Presi singolarmente pensi possano perdere di forza espressiva?

Quando ho iniziato la scrittura di quest’album, che per comodità dico circa 3 anni fa, io ho semplicemente scritto. Non scherzo se vi dico che solo poche settimane prima dell’uscita dell’album ho capito effettivamente che cosa avessi fatto, qual era il senso di questo lavoro. Mi ero semplicemente fatta guidare dalle parole, dal suono senza farmi troppe domande, senza la necessità di dover costruire una narrazione. Quando si parla di cose autentiche, sanguigne, è inevitabile che la narrazione si scriva da sola, ed è bellissimo vederla crescere al di fuori delle proprie mani. Presi singolarmente i miei pezzi penso non perdano di forza espressiva perché non sono nati per essere parte di un concept album, ma sono nati per necessità. Ecco io credo che un concept album ha senso se nasce a posteriori di una scrittura non a priori.

Il valore della provincia, di Schio. Un disco fortemente ancorato ai territori in cui sei cresciuta. Ma le influenze del disco sembrano cosmopolite, internazionali. Come hai fuso il “vicino” ed il “lontano” nella tua musica?

È Schio ma è la Seattle d’Italia! Per la precisione c’è un cartello davanti all’hotel in centro che dice “Schio la Manchester d’Italia”, da 3 anni però il mio produttore l’ha sostituita con Seattle, perdonatemi lettori di Pordenone. Ed effettivamente dalla pandemia c’è stata una concentrazione di gruppi musicali con influenze estere gigantesca nell’alto vicentino. Rimango sempre abbastanza sorpresa quando mi dicono che la mia musica ha influenza internazionali perché in realtà sono sempre stata legata alla musica italiana. Forse la provincia è “provincia” ovunque.

“Nella mia testa, proiettili e parole stanno bene insieme”. È l’incipit del disco. Una bella dichiarazione d’intenti per una scrittura intima e personale. Quali sono le influenze di scrittura che ritieni più importanti nell’approccio all’ascolto del disco?
LAMANTE

In realtà direi che più che delle influenze vere e proprie ci sono stati degli artisti, scrittori, filosofi che mi hanno fatto aprire da una parte a dei ragionamenti nuovi che poi ho applicato alla mia vita e dall’altra come esempio di una penna autentica e sincera. Jodorowsky in primis mi ha mostrato che era possibile parlare della propria famiglia e delle ferite che questa famiglia porta a presso, poi Riccardo Sinigallia, i CSI, Byung-chul Han. Alcune volte ho avuto delle folgorazioni ascoltando il programma di Zarathustra che fanno su RaiRadio 3 la domenica mattina, altre ancora parlando semplicemente con le persone che avevo intorno, ragionando sulla loro visione del mondo e sulla mia, capita di direi alcune frasi delle volte quando si è presi dal flusso che nascono già come canzoni.

“Io con il rossetto mi sono sentita maleducata” La crescita sofferta di una donna e di una artista. Quale è stato il momento (se c’è stato) in cui hai sentito che quel rossetto non ti serviva più?

Ci sono stati dei momenti chiave nella mia vita legata all’arte che mi hanno portato inevitabilmente a togliere quel “rossetto”. Il rossetto in quella canzone è metafora, rappresenta una corazza, una protezione, a volte è invisibile e non me ne accorgo. Ho avuto persone nel mio percorso che fortunatamente mi hanno fatto ragionare, sul senso della mia scrittura e quindi delle mie corazze. Per chi sto scrivendo? Per chi sto facendo musica? Dove sono io nelle mie canzoni?

Ricordo un momento preciso con la registrazione di “Annamaria”. Taketo (il mio produttore) interrompe la registrazione e mi dice “questa non sei tu, hai la voce troppo intonata, troppo controllata, ritenta, torna a quel dolore che ti ha portato a scrivere questo brano”, il pezzo ricordo di averlo finito in lacrime, quasi senza voce e sicuramente senza rossetto.

“Come se ci fosse un filo che lega un fiore a una forbice”. In “Ciao cari” alterni immagini di fragilità a sentimenti di riscossa e di perseveranza. Su tutto, la parola morte (la fine, la forbice, la pioggia, senza scarpe) sembra avvolgerti come un pozzo da cui sembrerebbe filtrare un filo di luce. Che rapporto hai con la fine (di un rapporto, di una persona cara, di un capitolo della vita). Che differenza c’è con la “perdita” di cui parlavamo prima?

Ciao Cari” nasce grazie a Stefano Guglielmin, un poeta scledense che ha scritto un libro di poesie potentissimo sulla generazione scomparsa degli anni 70 a Schio che si chiama appunto “Ciao Cari”, di cui purtroppo fa parte anche mia zia. Quando sono nata, mia zia era morta da anni eppure il suo lutto mi avvolgeva. Questo l’ho voluto rappresentare nel video de “L’ultimo piano” diretto da Nicolò Bassetto. L’unica costante infatti di tutte le scene del video è proprio la foto di mia zia che non cambia mai.

Ma io non muoio, io non muoio, se una poesia mi gela il sangue

Ma io sono viva e mai mi sono sentita così in colpa. C’è differenza tra la perdita in quanto lutto e la perdita in quanto “stile” di vita, la seconda però permette un’accettazione della prima. Essere dei perdenti è molto simile al mestiere del contadino. Mio nonno coltivava la terra, faceva crescere le piante, le verdure, che poi avrebbero fatto mangiare la famiglia. Doveva quindi tagliare, strappare, staccare le piante che aveva fatto crescere e accudire fino a quel momento, perdendole. È un grande insegnamento di vita e di morte. Non ho conosciuto un altra persona morire con la sua stessa pace.

LAMANTE live @MI AMI – foto di Alessando Gennari
Un disco che racchiude 25 anni di vita. Quali emozioni ti porterà riascoltarlo tra altri 25 anni?

Giovanni Lindo Ferretti nel suo libro “ORA” racconta come è stato per lui riascoltare dopo un mare di tempo i vecchi album dei CCCP. Ricordo che tra le emozioni c’era come protagonista lo Stupore. Mi auguro di poter provare anche io un emozione del genere riascoltando il mio disco.

Ti sei esibita al MI AMI. Che valore ha l’esibizione live per te?

Il live per me è il fine del mio progetto. Come nell’articolo scritto per Rockit.it uscito in concomitanza all’album, da “In Memoria Di” non mi aspetto niente se non che venga suonato. Sono felicissima di poterlo presentare ad un festival così importante e prestigioso. La musica dal vivo è per me l’esperienza di incontro/ scontro più significativa che esista dopo i bar e i mercati di paese.

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