Davide Shorty, dalle ceneri alla luce: nasce “Nuova Forma”

Tennessee Williams ha scritto: “Viviamo tutti in una casa che brucia, nessun vigile del fuoco da chiamare, nessuna via d’uscita. Solo la finestra del piano di sopra da cui guardare fuori, mentre il fuoco divora la casa, con noi intrappolati, chiusi dentro.” Per raccontarvi il nuovo progetto di Davide Shorty voglio partire da una delle mie citazioni preferite, che mi è venuta in mente mentre scoprivo che due anni fa l’artista di origini siciliane con la testa e il cuore sparsi per mezza Europa, ha lasciato Londra a seguito di un incendio che gli ha distrutto la casa e lo studio di registrazione. 

Un evento inaspettato e traumatico, che lo ha costretto a ricostruire non solo un tetto sopra la testa, ma anche il proprio equilibrio interiore e il proprio approccio alla musica.

Un percorso di crescita intenso e personale, il suo, che nasce dalle ceneri di quell’incendio e si trasforma in “Nuova Forma“, un disco che vibra tra hip hop, soul, jazz e cantautorato. Un’opera interamente autoprodotta, un mosaico sonoro che riflette su temi universali come l’amore, la mascolinità tossica, la depressione, la politica e la disillusione. 

Ogni traccia è un’istantanea che scatti per ricordartene. Perché poi sai che tornerai indietro per guardarla, che stamperai e incornicerai per non perdere mai di vista quello che eri e ciò che sei diventato.

“Avevo questo beat che in realtà volevo dare ad un amico e quando l’ho fatto sentire alla mia ragazza mi ha detto che dovevo tenerlo per me e provare a scriverci qualcosa sopra. Mi ha chiesto di cosa volessi scrivere e io le ho risposto che avrei voluto parlare di politica. Lei ha sbuffato e mi ha detto che sono un bla bla bla. Da lì mi è venuta l’ispirazione, ho mandato il ritornello a Daniele (Silvestri) senza chiedergli se volesse collaborare e lui il giorno dopo mi ha risposto che aveva scritto la prima strofa.”

E la nuova forma di Davide Shorty ha preso vita in un album che porta con sé il peso della trasformazione e la leggerezza della consapevolezza.

Le collaborazioni con Daniele Silvestri, Serena Brancale, Ainé, Casadilego e Giò Sada impreziosiscono un disco che nasce da jam informali, dall’amore per la musica e dall’amicizia. Ogni traccia ha un’urgenza, una necessità: il riflesso doloroso di una separazione, il confronto con un sistema che opprime, la ricerca di se stessi in un mondo sempre più disconnesso.

Davide Shorty è un cantante, un musicista, un perfezionista. Lo si capisce dal modo in cui cura i suoi beat e da come, durante l’ascolto in anteprima del disco, ce lo spiega godendosi quel momento, a occhi chiusi, citando con gratitudine tutti gli artisti che hanno contribuito alle sonorità, alla scrittura, a rendere nell’insieme questo lavoro complesso e semplice. Davide Shorty mima come un maestro ogni nota con le dita, accarezza la melodia, si crogiola sulle sue parole che ormai sono pronte a diventare di tutti.

Poi, al termine dell’ascolto, imbraccia la chitarra e inizia a suonare, canta. La sua voce è avvolgente, calda, mentre lo ascolto mi viene la pelle d’oca, mi viene da piangere. E mentre lo osservo rapita, spero davvero che l’eco di questo disco si moltiplichi, che le sue parole e le sue note trovino casa nei cuori di chi ha bisogno di sentire che anche dalle ceneri può nascere qualcosa di meraviglioso. Basta solo avere pazienza, basta solo volerlo.

Lo abbiamo intervistato.

Davide Shorty – Nuova forma [Ascolta qui]
L’incendio che ha colpito Il tuo studio cosa rappresenta nel tuo percorso artistico? Lo hai vissuto come un evento necessario?

L’incendio di Londra del 2023, per me, è stato inizialmente un punto di rottura. Però, in realtà, non riesco mai a vedere gli eventi come veri e propri punti di rottura. Piuttosto, li considero parte di un percorso necessario. Se non fosse successo, non sarei la persona che sono oggi.

Questa esperienza mi ha insegnato molto. Credo che, in certi momenti, il dolore sia inevitabile. Ovviamente non è scontato riuscire a superarlo subito, non è facile. C’è un processo di accettazione, che richiede di fare amicizia con quel senso di vuoto, con quel lutto. Ci sono stati d’animo che bisogna inevitabilmente attraversare.

E poi, alla fine, elabori il lutto, vai avanti e lo trasformi in qualcos’altro. Devo dire che, sì, è stato un evento triste, ma necessario.

C’è stato un momento, mentre lavoravi a questo disco, in cui hai avuto paura di essere troppo vulnerabile nel raccontarti?

Più che paura di essere troppo vulnerabile, ho avuto tantissimi dubbi. Mi chiedevo se quello che stavo facendo fosse davvero ciò che volevo. Ero confusissimo. Non sapevo più se la musica che stavo creando mi piacesse davvero, se fosse giusta o sbagliata, se fosse ciò che volevo esprimere.

Questa cosa della vulnerabilità me la stanno dicendo in tante interviste. Spesso mi chiedono: Come la vivi, questa cosa di esporti così tanto? La verità è che io uso la scrittura come una forma di auto-terapia, quindi parlare di vulnerabilità, di punti deboli, di cose su cui devo lavorare è inevitabile. Fa parte del processo. Fare pace con il fatto che mi sto esponendo è una cosa su cui ho lavorato. A volte cerco proprio di non pensarci, perché se mi concentro troppo su questo aspetto, poi rischio di non viverlo appieno.

Ieri parlavo di fisica quantistica con un’amica e mi raccontava di questo concetto della misura: quando misuri una particella, la particella cambia comportamento. Quindi, di fatto, non puoi sapere come si comporta quando non la misuri. Ecco, credo che questo si applichi anche al processo creativo: nel momento in cui ti osservi troppo, il tuo stesso giudizio cambia quello che stai facendo.

Alla fine, credo che quando condividi una parte di te nel processo artistico, è perché sei pronto a lasciarla andare. Quindi, qualsiasi sia il giudizio che ne deriva… lo fai comunque.

Il concetto di trasformazione e di limitazione che diventano risorse è diventato centrale per te. Pensi che la musica debba adattarsi e cambiare, o ci sono elementi che dovrebbero rimanere immutabili?

Io penso sempre che la musica cambi a seconda di come mi sento. Se oggi voglio fare un pezzo hip-hop con un campione jazz, lo faccio. Domani mi va di scrivere un pezzo trap, faccio quello. Se voglio usare l’autotune, lo uso. Invece, se ho voglia di scrivere un pezzo cantautorale e cantare senza filtri, lo faccio e basta.

Non dipende tanto da quello che sto ascoltando, ma dal mio stato d’animo, da cosa mi va di fare in quel momento e da cosa risuona di più con la storia che voglio raccontare.

Non mi pongo troppo il problema di come dovrebbe cambiare o rimanere uguale il mio stile. Mi sembra più una questione di etichette, di dover definire per forza quello che faccio. Ma non è il mio lavoro darmi un’etichetta, e sinceramente non saprei neanche farlo, né voglio farlo. Penso che sarebbe solo un limite.

Ultima domanda, forse la più difficile: se potessi far ascoltare Nuova Forma a una sola persona al mondo, viva o appartenente al passato, chi sarebbe e perché?

Wow… Vorrei tantissimo farlo ascoltare a me stesso dall’esterno, come se non l’avessi scritto io. Mi piacerebbe vivere quell’esperienza: sentire la mia musica senza il filtro della creazione, semplicemente come un ascoltatore.

In fondo, è quello che succede quando ascoltiamo la musica degli altri. Ci rivediamo in essa, ci riconosciamo nelle emozioni che trasmette. Quindi non so davvero rispondere a questa domanda. Sarebbe affascinante poter percepire la mia musica in modo totalmente esterno, senza giudizio, e capire come mi arriverebbe se non l’avessi mai scritta.

Alla fine, quando ascoltiamo gli artisti che amiamo, alcuni risuonano di più con noi, altri meno, ma il punto è sempre quello: nella musica mettiamo tutto quello che abbiamo. E quando faccio un disco, il mio obiettivo è sempre lo stesso: creare l’album che io per primo vorrei ascoltare.

Poi, in realtà, non lo ascolto quasi mai… Mi fa un certo effetto sentire la mia voce quando canto! Però sì, tra tutti quelli che ho fatto, questo è sicuramente il più mio. L’ho prodotto al 100% ed è la mia visione nella sua forma più pura.

Annunciate le prime date live di Davide Shorty, dove verrà presentato dal vivo l’album:

Davide Shorty in tour
  • 03 aprile – Roma – Alcazar
  • 11 aprile – Torino – CPG
  • 02 maggio – Bologna – Locomotiv Club
  • 21 maggio – Milano – Blue Note

Biglietti già disponibili qui

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