I Garda 1990 ci portano indietro nel tempo con il loro nuovo EP: “Venti”

I Garda 1990 dopo un passato cantando in inglese, tornano con un EP in italiano dal titolo Venti, che non ha solo un valore numerico ma è l’evoluzione del processo creativo che si sviluppa attraverso le cinque tracce.

Cosa vi viene in mente se vi parlo di Friends, tamagotchi e MSN? Naturalmente i favolosi anni ’90.

Da quel periodo arrivano appunto i Garda 1990, con le loro chitarre, la loro batteria scatenata, le urla growl che lasciano spazio a pensieri riflessivi e malinconici.

Ad un primo ascolto, ho avuto fin da subito la sensazione di vivere un viaggio introspettivo. Senza sapere dove mi avrebbe portata, mi sono gustata il percorso. Ho scoperto così un mondo fatto di quotidianità, autenticità e vulnerabilità. La voce del cantante e chitarrista Davide Traina, mi ha presa per mano e mi ha condotta brano dopo brano nel cuore pulsante del progetto rivelandomene la parte più intima.

Si sente forte la mutazione che è avvenuta in questi anni, sia a livello di formazione, infatti nel corso dell’estate 2019 entrano ufficialmente nel progetto Lorenzo Atti al basso e Albrecht Kaufmann alla batteria, sia per quanto riguarda la scelta di scrivere nella loro lingua madre. Ma questi non sono solo i due elementi che hanno portato la band ad un cambiamento e ad un’evoluzione. Si aggiunge anche l’approccio che i Garda 1990 hanno avuto nella scrittura e composizione dell’EP.

Il progetto infatti appare molto più a fuoco rispetto all’album precedente. Si sente che tutti gli elementi sono stati amalgamati e il risultato è vero e proprio power trio emocore con riferimenti postgaze.

Quando ho finito di ascoltare l’EP, divorandolo in un quarto d’ora, ho avuto la sensazione di aver fatto un viaggio catartico, una sorta di terapia d’urto per affrontare i disagi quotidiani, di cui almeno una volta, ognuno di noi, si è sentito parte. Li abbiamo intervistati ed ecco cosa ci hanno raccontato…

Venti – Artwork by Valeria Porta
Partiamo dai cambiamenti, quelli che sono stati un passaggio obbligato in questo nuovo percorso. Dall’inglese siete passati all’italiano, da one man band a band. Raccontateci questo processo creativo ed umano che vi ha condotti fin qui…

Tre anni fa, quando decisi di iniziare questo progetto lo avevo impostato interamente come sfogo da cameretta senza alcuna velleità.

Il primo fondamentale switch ci fu l’anno seguente quando cominciai a far girare delle mie demo, registrate in maniera casalinga e molto approssimativa. Dopo pochissimo arrivarono primi inaspettati feedback positivi che mi diedero uno stimolo a crederci più seriamente e portarmi a registrare il primo disco.

Il secondo cambiamento fondamentale fu quando uscì Downtown. Più lo ascoltavo e più sentivo che mancavano tante cose, lo sentivo molto incompleto, mi dava quasi un senso di frustrazione ascoltarlo. Da lì capii che c’era bisogno di più sostanza e concretezza

L’idea di trasformare il tutto in una vera e propria band era il mio vero desiderio di sfogo interiore. Non solo volevo dire le cose nel modo più vero e crudo, la lingua madre era la soluzione più efficace. E infine da maggio 2019 si unirono a me Atti al basso e Lolly batteria, la chimica fra di noi partì subito a mille. A Luglio ci trovammo pronti a registrare il attuale nuovo Ep.

Ho scelto tre parole che secondo me sono rappresentative di “Venti”, il vostro nuovo EP: vulnerabilità, autenticità e quotidianità. Che significato hanno per voi?

Prima di tutto vorrei dirti veramente grazie per aver azzeccato in toto con queste tre parole lo spirito dell’Ep.

Vulnerabilità perché dentro ogni canzone c’è un pezzetto della nostra fragilità umana. Autenticità perché nel bene e nel male abbiamo scritto queste cinque canzoni senza alcun retro pensiero di natura discografica. Ci siamo solamente lasciati andare e fatto quello che ci faceva stare bene. Infine quotidianità perché le nostre canzoni parlano di cose semplici, quello che ci è accaduto, quello che abbiamo passato e il modo con cui l’abbiamo affrontato, ci piace parlare delle piccole-grandi ostacoli della vita che possono capitare ad ogni uno di noi.

Risulta difficile incasellarvi in un genere specifico. Si avverte in maniera prepotente il background da cui venite, possiamo dire che l’emocore è un po’ il vostro grido di battaglia. Come vi ponete nei confronti di un mercato musicale che a volte tende ad appiattire invece che a ricercare la diversità?

Sì, la radice primaria è l’emocore dei primi 2000 americano, ma con molta naturalezza e senza trucchi. Quello che ne è uscito fuori della nostre canzoni è una miscela che parte da quelle radici e sfocia nella contemporaneità. Il mercato musicale tende come sempre a omologare, a creare ondate uniformi ma noi non siamo fatti per l’omologazione, non ci piace per niente. Ci piace la contaminazione cantiamo e suoniamo come terapia d’urto, non per l’affermazione di se.

Garda 1990
Nei brani spesso la parte strumentale sovrasta la voce, l’ascoltatore si sente travolto da un flusso di emozioni e sensazioni. Qual è il pezzo più rappresentativo di questo EP e perché?

Le nostre canzoni devono avere una parte testuale che deve essere cullata, certe volte trascinata da una controparte strumentale, tutte due hanno la loro importanze nell’equilibrio generale.

Essere è la canzone più importante. L’ho messa in cima alla tracklist proprio perché è il manifesto di tutto quello che puoi trovare dentro il progetto Garda 1990. C’è la dolcezza iniziale dell’intro, c’è la successiva scoperta e consapevolezza, infine c’è la tempesta dei sentimenti contrastanti.

Il video di “Infra”, traccia di chiusura dell’EP, stabilisce una relazione quasi intima con la regista Beatrice Migliorati, parlateci dell’idea da cui siete partiti e di cosa volevate comunicare…

Di base ogni volta che voglio buttare fuori un pezzo cerco sempre l’artista collaterale per realizzare la parte visual, questa volta la scelta è ricaduta su di lei Beatrice, che è una super fotografa/regista, aveva la sensibilità giusta per trasformare in immagine “Infra”.

Il concept l’ho abbozzai in pieno lockdown, perché vedevo che la canzone in questione aveva anche un riferimento sul presente, ma comunque in generale sulla solitudine e l’inquietudine.

Da li ci venne in mente di chiedere ad una sua amica molto stretta di filmarsi nella completa quotidianità e solitudine casalinga del momento, la brutalità del reale.

Qual è il momento migliore della giornata per ascoltare VENTI?

L’Ep è molto versatile, lo ascolterei per un viaggio breve in treno, o mentre sto andando/tornado dall’università/lavoro,  non è un’Ep rassicurante ma sicuramente stimolante.

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