Poplar 2020: via le nuvole coi Post Nebbia

A Trento, mercoledì scorso, le condizioni meteorologiche non promettevano nulla di buono. Nuvole scure si sono addensate all’orizzonte per tutto il giorno, salvo andarsene proprio quando la seconda serata del Poplar stava per iniziare. Poplar è ormai da anni un punto di riferimento per chi vuole trovare e provare, anche nello sperduto Trentino, le emozioni di un festival musicale degno di questo nome. Nella strana edizione di un altrettanto strano 2020, Poplar non si svolge più durante un unico weekend, bensì spalmato su quattro settimane, sempre di mercoledì ma in quattro location che cambiano ogni volta.

Edoardo Meneghini / Poplar Festival

Inaugurato splendidamente lo scorso 16 settembre – con la magia onirica di Andrea Laszlo De Simone e la freschezza di Adele Nigro e del suo progetto, Any Other – il festival ha ospitato come headliner della sua seconda serata Colombre, al secolo Giovanni Imparato.
Un irresistibile arrangiamento per archi dei suoi pezzi – dagli esordi alle nuove canzoni contenute nell’ultimo disco, Corallo – ha incantato il pubblico, trasformando l’intera performance in qualcosa di estremamente etereo e sognante.
Spazio poi ai Funk a Delhi, band emiliana dal sound travolgente, capace di far rimpiangere la possibilità di alzarsi e ballare, preclusa dalle normative anticovid.

Infine, ma non da ultimi, i Post Nebbia.

E mai nome di un gruppo fu più azzeccato: le nubi di una serata che si annunciava piovosa sono state letteralmente spazzate via dalle melodie inconfondibili di questi quattro ragazzi padovani, che mischiano con sublime maestria nonsense, surrealismo, psichedelia e pop elettronico.

Il loro album d’esordio, Prima Stagione, passato inizialmente in sordina, ha poi colpito non soltanto il nostro amatissimo Auroro Borealo ma anche La Tempesta, Dischi Sotterranei e Panico Concerti, tre realtà che hanno deciso di accogliere il gruppo sotto le loro ali protettrici. La giovane età della band è veramente compensata dall’abilità che già dimostra nel saper giocare con registri diversissimi: ironia e riflessioni più serie si intrecciano dentro testi che Pietro Paroletti ha definito “squagliacervello“. E proprio in collaborazione con i Post Nebbia, Paroletti stesso ha deciso di iniziare la sua carriera solista – parallela a quella di producer – con il brano Guadagnare tempo, uscito poche settimane fa.

Insomma, il piacere di ascoltarli e scambiare quattro chiacchiere è stata la ciliegina sulla torta di questa seconda serata al Poplar, oltre ovviamente all’incantevole location. Ecco quello che abbiamo chiesto loro, nella cornice degli splendidi giardini al Castello del Buonconsiglio.

Com’è ritornare a suonare musica dal vivo dopo la pandemia?

All’inizio pensavamo che con i posti a sedere sarebbe stato imbarazzante. Ma poi abbiamo scoperto che con questa nuova modalità si eliminano tutte le dinamiche di un concerto tradizionale, con gente che va a prendersi la birra o a fumarsi una sigaretta. C’è un po’ più di attenzione verso la musica, e questo è l’unico lato positivo. Per il resto, pensiamo che sia davvero importante “esserci” in questo periodo storico e siamo felici di tornare a suonare, contribuendo alla ripartenza.

Vi siete incontrati in una scuola di musica. Quanto pensate sia importante la formazione e quanto invece il talento naturale per riuscire ad emergere nel panorama musicale esordiente, ultimamente sovraffollato?

Come musicisti ci consideriamo abbastanza scarsi, però non siamo nemmeno incapaci. Ovviamente avere un minimo di basi a livello melodico, specialmente all’inizio, è fondamentale o comunque aiuta molto. Una delle cose belle della musica di oggi è il suo essere facilmente fruibile rispetto al passato. E questo l’ha resa anche più realizzabile dai musicisti stessi: non è necessario avere un budget enorme per andare in studio. Il rischio che l’offerta generale ne perda sotto alcuni aspetti c’è, ma è il rovescio di una medaglia tutto sommato positiva, che permette a chi vuole esprimersi di farlo senza preclusioni.

Edoardo Meneghini / Poplar Festival
Il vostro sound ha un sapore internazionale: un surrealismo condito da sfondi psichedelici ed elettronici. Qualcosa di unico, perlomeno in Italia. Eppure proponete testi proprio in italiano, come mai questa scelta?

I nostri ascolti non sono mai stati orientati alla musica italiana. Non siamo cresciuti con i cantautori nostrani che uscivano dallo stereo di casa. Dunque il background e lo scheletro della nostra idea di musica contiene già in sé un’impronta internazionale. L’idea di fare musica nella nostra lingua madre parte allora da un’esigenza: quella di farci comprendere in modo immediato da chi ci ascolta, visto che comunque, ormai da qualche anno, nel pop italiano inizia ad esserci molto più spazio per cose alternative e meno generaliste, come quelle che proponiamo noi.

Che cosa potete anticiparci del vostro prossimo album?

Nulla.

P.S. Dopo qualche insistenza (in realtà non molte) ci hanno rivelato che l’ultimo minuto del disco sarà un campione del video qui sopra. Che dite, curiosi di ascoltare il resto?

In copertina: Filippo Gioachin / Poplar Festival

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