Svegliaginevra: si scrive quando si vive e viceversa

Scrivere è, per un artista, un’esigenza, spesso conseguente a circostanze di vita vissuta, sperata, disattesa. Un’esigenza che si coniuga ad un’umanissima ricerca della felicità. E così quando quella felicità si intravede, si fa di tutto per afferrarla e tenerla con sé. Ma l’impresa è alquanto ardua. E così l’immagine de “Le tasche bucate di felicità” può rendere bene l’idea dell’irraggiungibile. Ma si tratta anche dell’espressione con cui l’artista Svegliaginevra ha deciso di intitolare il suo album d’esordio.

Composto da dodici brani, “Le tasche bucate di felicità” è un album che disegna linee immaginarie tra storie di relazioni ed estati, di luoghi e atmosfere evocative. Sia grazie ai testi che ai suoni, si percepisce una narrazione chiara, coincisa e ben strutturata. Svegliaginevra propone brani caratterizzati da varietà stilistica coniugata a coerenza espressiva e da una voce eterea ma precisa.

Le tracce dell’album sono collegate ma autonome, solari ma non troppo. Anzi, addirittura possono risultare velate di malinconia, ad un ascolto molto attento. Inoltre, è presente una collaborazione con un altro artista di casa Clinica Dischi: si tratta di APICE, che appare nel singolo estivo “Barche”.

Svegliaginevra è un artista promettente, molto allenata all’ascolto e predisposta a creare musica condivisibile e autentica. Se “Le tasche bucate di felicità” è un album gradevole da ascoltare in cuffia, di certo ne varrà la pena ascoltarlo anche in una dimensione live.

Svegliaginevra – Le tasche bucate di felicità [Ascolta qui]

Ma, incuriositi da questo debut album così potente, ne abbiamo parlato con l’artista Svegliaginevra.

“Le tasche bucate di felicità”. Un titolo quasi ottimista, in un marasma di musica indie triste. Non credi sia una scelta azzardata?

“Le tasche bucate di felicità” è il titolo dell’album, ma è anche un verso del brano “La moda di fare cazzate”. In realtà, anche se sembra un titolo felice, è triste, come tutti i pezzi. Con l’espressione “le tasche bucate di felicità” intendo indicare quella sensazione di quando si ha la felicità davanti agli occhi, ma non si riesce a vederla del tutto. È come essere circondati dalla felicità ma allo stesso tempo essere talmente preoccupati per il futuro, per le paranoie, per tutto quello che può succedere, che alla fine quella felicità si perde. È questione di rendersene conto prima.

A questo proposito, si può dire che il concetto di tasche bucate non è proprio ottimista, se rimanda a qualcosa che si perde. Ma tornando al discorso iniziale, come mai l’album ha un titolo tratto da un verso di un brano e non dal nome di uno dei brani stessi?

All’inizio prevaleva quest’ultima idea, ovvero di scegliere il titolo di uno dei brani. Però avevo bisogno di un titolo che rispecchiasse il concetto del disco, quel concetto che lega tutte le canzoni, legato all’idea di non riuscire a viversi pienamente le storie che racconto. E così ho estrapolato questa frase e l’ho subito percepita come una di quelle che poteva meglio racchiudere il concept dell’album. Di fatto sono dodici canzoni, legate ma diverse, e trovare un titolo che le presentasse tutte per bene è stato molto difficile.

Qual è il brano che ti ha fatto, se possiamo dire, soffrire, in termini di difficoltà di scelte compositive?

Grazie, è una bellissima domanda. Ci sono alcuni brani che sono stati difficili, ma quello più difficile, paradossalmente, è “Elastico”. È il brano che sembra più minimale; eppure dal punto di vista emotivo, è stato difficile cercare di spiegare cosa volessi dire con il testo. È l’ultima traccia, ma per me è stata quella più difficile da sviluppare.

A livello di suoni, l’album è coerente e ben strutturato. Com’è andata la ricerca sonora?

Dunque, è un album molto vario dal punto di vista stilistico. Un po’ perché a me piacciono vari generi, un po’ perché tengo molto all’ambiente sonoro di ogni brano. Ogni volta cerco di fare in modo che il testo sia circondato da sonorità adatte alle cose che sto esprimendo. C’è stato sicuramente molto lavoro di produzione. Con il produttore del disco Leonardo Lombardi è stato tutto più semplice. Lui ha gusti affini ai miei e ha saputo leggere benissimo le canzoni. Quindi direi che è stato difficile trovare la giusta direzione musicale, ma le mie idee sono state interpretate al meglio.

Il tuo album racconta atmosfere estive, la giovinezza e i tormenti della spensieratezza. Come hai vissuto artisticamente parlando, la circostanza pandemica?

Ho vissuto varie fasi. Durante il primo lockdown ho scritto quasi tutto il disco e sono stata super-produttiva. Gli altri periodi simili che, stando a Milano, si sono percepiti molto intensamente, li ho trascorsi quasi senza scrivere: tendenzialmente, l’artista scrive quando vive. Stare a casa senza stimoli visivi, emotivi, è stato effettivamente molto difficile. Ma ho cercato comunque di studiare e ascoltare artisti che mi piacciono. In qualche modo ho cercato di tenermi produttiva, anche se non sempre con la scrittura.

Svegliaginevra, non vediamo l’ora di ascoltarti live…

Non vedo l’ora che ci siano i live. L’atmosfera, rispetto al disco, sarà chiaramente più amplificata. Grazie.

1 Comment

  1. Annarosa Leone 28/05/2021 at 12:20 pm

    Una ventata di novità e di freschezza in una intervista al tempo stesso profonda e intensa. La scelta lessicale sempre appropriata e pertinente evidenzia competenza e preparazione.


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