“Tornano sempre”: il viaggio degli Yosh Whale come atto di evasione

Mi è sempre piaciuto ascoltare roba nuova, anche quando il mercato musicale promuove materiale che sembra essere tutto uguale. Qualche giorno fa mi è capitato tra le mani il comunicato di una band salernitana che si chiama Yosh Whale. All’anagrafe sono Vincenzo Liguori, Andrea Secondulfo, Ludovico Marino e Sam De Rosa. Il loro è un disco d’esordio ed è uscito lo scorso 4 marzo per La Rue Music. Al primo ascolto ho notato come il loro sound sia così internazionale. È come se mischiassero Andrea Laszlo De Simone con Bon Iver. Passano dall’acustico a qualcosa di più elettronico, un bel mix tra analogico e digitale.

Il viaggio come atto di evasione

Il disco parla di un viaggio non solo fisico, ma soprattutto mentale e sensoriale. Il protagonista della maggior parte dei brani è un tale rinchiuso – il più delle volte – in stanze e in piccoli spazi di periferia da cui cerca di evadere come una rondine. Diverse volte ci è capitato di sentirci soffocati nella nostra quotidianità e l’unico modo per evadere è stata l’immaginazione. Oltre alla partenza – però – è presente anche il ritorno, poiché come tutte le rondini che partono, alla fine si ritornerà sempre indietro, magari portando con sé un bagaglio di esperienze.

Ogni brano nasconde dietro qualcosa che possiamo, però, ascoltare o vedere in parte anche da fuori. Con questo disco entriamo in una domesticità che appartiene a tutti. Si passa da brani come Dietro Casa che parla di evasione dalla quotidianità a brani come Fiore che parla di malattia. Situazioni in cui molti di noi si sono trovati diverse volte.

Yosh Whale – Tornano Sempre [Ascolta qui]
Ciao come stai?

Tutto bene, grazie.

Mi piace il messaggio che avete dato al disco. Il viaggio. Mi spieghi meglio?

L’idea a è quella di fare un viaggio mentale attraverso le cose e la realtà. Cercare di captare delle nuove cose, delle nuove strade dell’immaginazione e di portarle nell’altra parte, appunto nel mondo reale. È questo l’obiettivo delle liriche.

Tutti ci siamo sentiti intrappolati in una quotidianità che ci fa sentire stretti. Come spiegheresti con una canzone questo concetto? 

Forse il brano più descrittivo è Dietro casa insieme a Mare. Cerco di partire da una visibilità di un reale cupo, grigio e di periferia. Noi veniamo da un posto di periferia del Sud Italia e quindi l’unico modo per evadere è di cercare – con l’immaginazione – di fuggire. È questo quello che facciamo fondamentalmente con i nostri pezzi e Dietro Casa è la canzone adatta che descrive questo tentativo.

“Fiore”, invece, è un brano più complesso dal punto di vista significativo. Narra di una malattia. Me ne parli?

È un parente di un nostro componente che ha avuto un male che fortunatamente ha superato. È un testo scritto a due mani da me e dall’altro componente. Abbiamo cercato di vedere come la vita di questa persona è cambiata a seguito di questo problema. Tutti quegli affanni, quelle preoccupazioni che costellano la vita di una persona dopo quella malattia che è una cosa negativa, diciamo che ha cambiato forse in positivo alcuni aspetti della vita, quindi cercando di cogliere anche la bellezza delle piccole cose, della stabilità, delle abitudini. La cosa che ci preme di più e che cerchiamo di trasmettere con i nostri testi, è di donare alle persone una libertà di avere un’interpretazione personale perché dai nostri testi si possa avere un’interpretazione completamente diversa da quella che è l’idea classica dei pezzi.

Guarda l’Home Session che gli Yosh Whale hanno girato per noi lo scorso novembre

Ti hanno mai detto che hai un timbro simile a quello di Marra?

No non me l’hanno detto. 

“Fango” è un brano che parla di disagio. Dal punto di vista musicale la canzone passa da suoni tipo elettro-ambient a l’utilizzo di elementi acustici come chitarre classiche. Siete più per la sperimentazione musicale o cercate di utilizzare i vecchi e classici strumenti?

In realtà è un obiettivo a cui tenevamo tanto, fare sperimentazione cercando di miscelare l’elettronico con il mondo acustico. Sono state usate tantissimo chitarre classiche senza tasti ad esempio. Abbiamo cercato di utilizzare questi strumenti con i synth che hanno fatto sempre parte della nostra anagrafica musicale. Secondo noi è importante mischiare l’acustico con il mondo elettronico.

Se dovessi descrivere il disco usando tre parole?

Molto poco lontano.

La domanda che faccio sempre è: il feat dei vostri sogni?

Forse oggi se penso al panorama italiano ti dico Venerus come feat, mentre su quello internazionale, noi siamo cresciuti con James Blake.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *