“Projections on a human screen” di Hån: un bel sogno che dura troppo poco

Faccio immediatamente outing. Quando ho visto, tra gli album da recensire, quello di Hån ho subito alzato la mano per accaparrarmelo. Un istante dopo però ho avuto delle mie classiche paranoie (quasi sempre inutili). Avendo già recensito il suo lavoro precedente (leggi qui) ho temuto di correre il rischio di essere ripetitivo e, sicuramente, troppo di parte nel giudizio.

Poi mi è stato fatto notare che poteva invece essere interessante avere lo stesso sguardo su un percorso artistico in divenire, ed eccoci qui.

projections on a human screen” è sicuramente la continuazione di un lavoro che Hån aveva iniziato con “gradients” (Ep del 2020). Ma, per quanto possa sembrare banale come affermazione, è evidente la maturità che l’artista ha raggiunto e la strada che desidera, almeno per ora, percorrere.

Hån – Projections on a human screen [Ascolta qui]

In gradients Hån ha perlustrato, sondato, assaggiato territori e possibilità sonore non troppo divergenti tra di loro, ma sicuramente con sfumature diverse; in “Projections on a human screen“, invece, sembra tutto più deciso, tutto più a fuoco. Soprattutto nella voce (e mi permetto di dire nella cura con cui è stata gestita a livello di registrazione e produzione) ho trovato una maturità ed una solidità notevole.

Una maturità vocale che permette ad Hån anche di strizzare l’occhio a mostri sacri come James Blake o Anohni in alcuni arabeschi vocali, insaporiti da tricks di postproduzione che aggiungono alle linee vocali dettagli che ne impreziosiscono l’abilità canora.

Anche musicalmente il solco è tracciato in modo evidente sul terreno.

I primi singoli che avevano preceduto l’album (sonic96 e bicycle) avevano delineato in modo chiaro le intenzioni artistiche. Una voce dritta, ma sempre sospesa, galleggiante, protetta da ritmiche serrate disegnate con groove acustici in cui si mescolano e fanno capolino sample elettronici che non sono mai mera decorazione, ma spunti sonori che arrischino le trame vocali che si dispiegano lungo ogni canzone.

Nessuna collaborazione, se non per il singolo bycicle con il producer Killowen a sottolineare, una volta in più, l’aspetto sempre molto intimo ed intimista di Hån, una ricerca personale e in solitaria di una propria cifra stilistica.

Trovo un neo, altrimenti sembra davvero che io sia aprioristicamente di parte. La durata: 8 tracce (non considero sonic interlude) e 22 minuti sono come quei piatti gourmet in cui è tutto bello, ma caspita… E vorresti decisamente di più!

In ogni caso questo album è davvero una piacevolissima conferma per un’artista che ha voluto e saputo inserirsi nel panorama italiano senza scendere a nessun tipo di patto col diavolo (né sonoro, né soprattutto linguistico), trovando una propria collocazione e una indiscutibile riconoscibilità.

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