Le indelebili tracce di Neffa

Pensate alla prima volta che vi siete innamorati, o alle palpitazioni durante il vostro primo viaggio in aereo. Provate a ricordare il bruciore provato per il primo esame universitario andato di merda, oppure a rammentare la vostra prima sbronza (se qualcosa da rammentare esiste ancora).

Gradevoli o scottanti che siano, alcune specifiche esperienze lasciano una traccia nel nostro sistema emozionale e mnemonico condizionando ciò che siamo e come agiamo per sempre, anche quando non ne conserviamo un ricordo cristallino.

Processi simili e altrettanto affascinanti avvengono nel mondo della musica, questo lungo – forse eterno – viaggio scandito da tante, imprevedibili tappe: artisti, canzoni, parole che nel corso del tempo lasciano il segno, cambiando inequivocabilmente non solo la meta di destinazione, ma anche lo spirito di tutti noi viaggiatori. Perché ciò che oggi ci fa sorridere o piangere mentre ascoltiamo una canzone è proprio l’eco misterioso delle tracce lasciate da quegli artisti e da quelle canzoni.

La tele resta spenta e non la guardo più.

Ho un nodo in gola che è difficile mandare giù.

Fumo un po’, sposto via la tenda,

cielo grigio piombo, io non lascio che mi prenda.

Ci sono ottime probabilità che questi pochi versi li abbiate letti cantandoli. Il motivo di questo automatismo squisitamente emozionale è di natura piuttosto complessa e affonda le radici nella cultura musicale italiana degli ultimi quarant’anni.

Parliamo di parole di uso comune prese e trasformate in strofe in rima, e parliamo di musica che si fa rivoluzione generazionale. Di canzoni che nascono e bollori che fumano come pozioni di un alchimista, di prove ed errori, di ballotte e signorine anticonvenzionali. Raccontiamo della voglia di dire tantissime cose, oppure di non dirne neanche una. Percorriamo la strada spianata da chi ha stravolto per sempre le regole e i confini di genere della musica in Italia: per chi la crea, e anche per chi l’ascolta.

Avete capito, no? Oggi parliamo delle indelebili tracce di Neffa.

A cavallo tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ruggenti anni ’90 il panorama musicale italiano sta cambiando: dai centri sociali alle piazze pubbliche, dalle pareti affumicate dei salotti ai minuscoli studi di registrazione home made, l’Italia inizia ad approcciarsi al rap, traendo dapprima ispirazione dalla cultura hip hop americana per approdare in seguito a sonorità sperimentali e dialettiche in rima completamente scritte e cantate in italiano. È proprio in quel periodo che alcune voci iniziano a emergere dal rumore di fondo: tra queste spicca quella di Giovanni Pellino, in arte Neffa. Divenuto iconico nella scena hip hop nazionale grazie alla storica band dei Sangue Misto messa su con Deda e DJ Gruff, Neffa ha alle spalle quasi un ventennio di poliedrica attività musicale che è stata insieme fonte di rivoluzione e motivo di scandalo.

Giuseppe Marcì – Grafico, Produttore e Promoter Musicale:

Era il 1996 quando ho ascoltato il primo album di Neffa. Il primo vinile di rap italiano che abbia mai ascoltato in vita mia. In quegli anni si viveva tantissimo la cultura hip hop. Erano anni magici. Molti artisti nei primi anni ’90 cercavano di copiare il rap americano. Quando è arrivata gente come Neffa, Kaos One, i Colle der Fomento, è stato creato il prototipo sonoro del rap italiano. Mi ha sempre colpito il tono di voce di Neffa, caldo, poetico. E le sue rime, le sue basi strumentali: assolutamente diverse da tutto ciò che c’era stato prima.

Neffa E I Messaggeri Della Dopa”: questo è il titolo del progetto discografico full lenght con cui Neffa inaugura la sua carriera da solista nel 1996. Un album di dodici tracce che si fa portavoce del fermento e del senso di collettività dell’epoca traducendoli in un genere musicale fortemente contaminato e, forse proprio per questo, impossibile da circoscrivere alla sola “nicchia” della cultura hip hop.

Oggi vi è la credenza – piuttosto diffusa – che i rappers siano tutti perennemente incazzati: pensate al brano “Rosso di rabbia” presentato da Anastasio all’ultimo Festival di Sanremo, o alle rime provocatorie di “90MIN”, estratto dall’ultimo lavoro discografico di Salmo. La realtà dei fatti è che esistono da sempre infinite tipologie e altrettanti intenti comunicativi nella cultura musicale hip hop: nel primo album di Neffa non v’è alcun accenno alla rabbia, perché l’obiettivo principale, nonché urgenza comunicativa intrinseca di quelle tracce, non era provocare, né denunciare, bensì condividere.

Aspettando il sole”, terzo brano dell’album, non è solo una delle colonne portanti della musica italiana, ma nel corso degli anni è diventato un piccolo miracolo musicale senza tempo né spazio, capace di fluttuare dai walkman nelle tasche dei nostri blue jeans degli anni ’90 fino agli odierni – e puntualmente scarichi – airpods, conservando senza sforzo l’originalità del suono e l’autenticità delle immagini narrate.

Considerata da molti il primo, riuscito prodotto rap commerciale grazie alle rime di Neffa nelle strofe alternate alla voce di Giuliano Palma nel ritornello, “Aspettando il sole” è la fotografia di una grigia giornata di malinconia in cui l’unico, salvifico spiraglio di luce è la musica.

Se sei all’ascolto vieni a prendermi, rapiscimi

Musica colpisci al cuore, boom cha boom cha

Però non c’è dolore

Uh, distendi le tue mani guaritrici su un guaglione

Mentre sta aspettando il sole

Se è vero che la parola chiave del disco è “condivisione”, è innegabile che questa trova una perfetta trasposizione nella sequenza d’immagini del videoclip di “Aspettando il sole”: durante il ritornello la scena è incentrata su Neffa e sui suoi compagni di viaggio, quelli che lui stesso designa con il nome di Messaggeri, ripresi in formazione completa sul tetto di un palazzo. Quelle sono le uniche immagini in bianco e nero del videoclip: la condivisione di un momento buio, in attesa che torni la luce del sole con tutti i suoi colori.

Sperimentale e innovativo non solo per l’introduzione di parole del gergo comune nella parte testuale, come nel brano “La Ballotta”, ma anche per l’audace esplorazione e la conseguente commistione di sonorità jazz e funky, hip hop e soul, come nel singolo “Puoi Sentire Il Funky”, “Neffa E I Messaggeri Della Dopa” è ancora oggi un capolavoro discografico senza tempo.

Passano gli anni, nuovi bollori si accendono, e tra la fine degli anni ’90 e l’alba del nuovo secolo accade qualcosa di stravolgente nella carriera di Neffa.

Gabriel Renteria Linda, in arte Ganoona – Cantante, Rapper e Songwriter:

Avevo circa dieci anni quando è uscita “La mia signorina” di Neffa. Non sapevo nemmeno cosa fossero i generi musicali, ma percepivo qualcosa di diverso, di non allineato in lui. Poi ho scoperto i suoi dischi rap, è mi si è aperto un mondo. Neffa è il primo artista che mi ha insegnato che la musica va oltre le etichette, che un artista può sperimentare, stravolgendosi senza snaturarsi. È stato odiato per aver “tradito” l’hip hop, ma chi lo accusa dimentica che l’hip hop nasce dalla commistione dei generi, e che forse l’assioma più vero e intramontabile di quella cultura è: “Fai quel cazzo che ti pare, basta che rimani autentico”. E lui lo è sempre stato.

Nel 2001 Neffa pubblica “Arrivi E Partenze”, un album che non solo sancisce la presa di distanza dell’autore dall’ormai saturo ambiente hip hop a favore di un percorso musicale sperimentale e totalmente svincolato da etichette, ma che fa anche da spartiacque – a detta di molti – tra ciò che era e ciò che non è mai più stato il rap italiano.

La mia signorina”, primo estratto di quell’album, diventa il nuovo, accattivante biglietto da visita di Neffa, e ottiene un successo clamoroso. Ironico e sorprendente, se pensate che la “signorina” a cui Neffa dedica la canzone non è affatto una donna.

Nella mia mano c’è un fiore, quando voglio un bacio me ne dà di più

Abita al piano di sopra e dopo un po’ mi dice: “Chico, vieni su”

Voglio lei perché brucia sempre

È l’unica che è vera veramente

Io e la mia signorina stiamo bene insieme

Non basterebbe un solo articolo per riassumere l’intera discografia di Neffa, ma la sua musica ha lasciato il segno del suo passaggio in moltissime delle canzoni che oggi affollano le nostre playlist su Spotify. Le indelebili tracce di Neffa sono fatte di parole, ritmi e messaggi capaci di accompagnarci ancora in questo bizzarro e rocambolesco viaggio.

Cuffie, play, e si parte.

Pensate alla prima volta che vi siete innamorati.

Oppure a quando è finita, e all’esatto momento in cui vi siete sentiti sorprendentemente liberi.

Pensate alla perfezione di una mattina fatta di minuscole, fondamentali abitudini.

Infine, non fate passare un giorno senza provare a gettare le basi della vostra nuova normalità. Non cessate neanche per un istante di coltivare con tutte le vostre forze la speranza che le cose cambieranno ancora, e noi con esse.

E se vi serve una canzone che vi convinca che tutto ciò è ancora possibile, eccola qui.

1 Comment

  1. Paolo Urgesi 07/05/2020 at 12:20 pm

    Grandeee


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