Tota: “La mia rinascita dopo la fine di una relazione d’amore”

La Sindrome Del Giorno Dopo è il nuovo EP di Tota disponibile dal 6 marzo su Spotify e tutte le principali piattaforme streaming per Grifo Dischi.

La Sindrome Del Giorno Dopo racchiude al suo interno 5 diverse storie cucite addosso ai 5 brani che compongono l’Ep. I brani rappresentano un unico flusso di pensieri che risuona forte e chiaro nelle orecchie di chi ascolta. Che si tratti di una batteria riverberata e di una chitarra elettrica, di una semplice chitarra acustica e un leggero basso ad accompagnare, della ricerca di rime che ricordino il rap, il nuovo progetto di Tota è legato da un unico filo conduttore, che affonda le sue radici nei sentimenti più profondi dell’artista.

Tota, nato a Orvieto, Umbria, si trasferisce presto a Bologna, innamorandosi della città, che diventa fondamentale per lui e per la sua musica. A spalancare le porte del suo percorso artistico è la fine di una relazione importante, per cui Tota spende parole intrise di quella sincerità che rappresenta il suo punto di forza. Lo abbiamo raggiunto in questo periodo particolare per tutti ed ecco cosa è emerso dalla nostra chiacchierata…

Ripercorriamo il tuo percorso artistico che inizia a Bologna, città in cui ti sei trasferito da Orvieto, immagino per motivi di studio…

Si, sono nato a Orvieto nel febbraio 1993. Avevo circa 18 anni quando ho finito le superiori e per motivi prevalentemente di studio mi sono spostato a Bologna. Dico prevalentemente perché diciamo che in realtà ho capito dopo che dentro di me stava già nascendo quel bisogno di cambiare, di trovare la strada più vicina al me stesso più profondo. Cosa che ovviamente non accadrà mai, ma l’importante è il viaggio, e quello almeno sento di averlo iniziato.

Tota
Ho letto che la fine di una relazione importante ti ha spinto poi a tirare fuori emozioni e sensazioni che in qualche modo avevano bisogno di uscire. Così hai fatto la valigia e ti sei trasferito a Milano, come è stato questo passaggio?

Diciamo che dopo la fine di quella relazione ho passato almeno un anno ancora a Bologna in cui ho cominciato a scrivere canzoni come un forsennato, ho ancora almeno 70 fogli di quel periodo qui nel cassetto della scrivania. Mi sono trasferito a Milano già quando ero un po’ più consapevole delle mie emozioni, sensazioni, di quello che avevo provato e del modo diverso in cui stavo iniziando a vedere le cose. Abitavo a Bologna da 5 anni e mi ero appena laureato, sentivo di aver in qualche modo esaurito il mio scambio di emozioni assurde con Bologna, non ci vedevo più niente da prendere o da dare in modo continuativo, dovevo anche allontanarmi da un certo tipo di persone che volendo o no mi ricordavamo delle cose non piacevoli.

Sentivo che anche per la mia musica sarebbe stato giusto vedere cose nuove, persone nuove, anche amori nuovi perché no. Quindi sono partito nel 2017 e ora eccomi qui, con 1 album e 1 EP registrati a Milano. Diciamo che il passaggio a Milano è stato brusco ma consapevole.

Veniamo alla musica ora, nel 2017 hai pubblicato Cielocasa, una raccolta di 20 canzoni chitarra e voce, una versione molto intima di te. Quali cose sono cambiate in questi 3 anni?

Sono cambiate più cose in questi 3-4 anni che nei 25 anni precedenti direi. Ma è giusto così, o almeno per me è stato giusto così. Quando sei adolescente non sei tenuto a capire un cazzo della vita, non è il tuo compito progettare il tuo futuro, pensare al domani in maniera più matura. Non è compito nostro, e io da una certa età in poi ma soprattutto dopo alcuni avvenimenti in poi, dopo aver conosciuto determinate persone, dopo aver vissuto a Bologna e la sua vita universitaria, ho cominciato a capire sempre meglio quali sono i miei stimoli, i miei sogni, o comunque le cose che vorrei fare, anche se cambiano ogni giorno, ma almeno lo so in quel momento cosa vorrei nella successiva ora o nel successivo giorno o mese o anno.

Prima non sapevo nulla, e quel non sapere nulla mi ha portato poi a fare meglio i conti in questi 3 anni, a cambiare dopo un’esplosione, a comportarmi di conseguenza alle conseguenze e così via.

Dopo alcuni singoli pubblicati nel 2018, per te il 2019 si apre con la pubblicazione del primo album Senzacera, album che evidenzia già un forte cambiamento di estetica nel tuo percorso. Spiegaci perché…

Senzacera era una raccolta di canzoni che avevo scritto nei 4 anni precedenti, senza un concept preciso, era un riassunto veloce e intenso di un certo periodo di vita, influenzato anche dai miei ascolti dell’epoca. Col senno di poi avrei fatto alcune scelte diverso ma resto comunque contento perché ogni cosa che faccio mi dà gli spunti per cambiare successivamente, per migliorare i dettagli. Ci sono storie personali, storytelling, c’è una canzone d’amore, una dedicata ad un’amicizia e un’altra ancora alla malinconia o alla crisi in un qualsiasi tipo di rapporto.

Insomma c’è tutto, in qualche modo mi ricorda una parte di me che è nata e vissuta e forse anche morta in un certo periodo. Poi sicuramente la cosa che si intuisce di più è che per la prima volta sono entrato in uno studio di registrazione con musicisti veri, quindi non è proprio la qualità audio della cameretta ecco.

Arriviamo poi al tuo ultimo lavoro, l’ep “La sindrome del giorno dopo” uscito il 6 marzo. All’interno troviamo 5 storie diverse, 5 brani diversi che vanno dalla batteria riverberata alla chitarra elettrica, da una semplice chitarra acustica a un leggero basso ad accompagnare. Qual è la versione in cui ti senti più a tuo agio?

Mi sento sempre a mio agio con la cosa che ha fatto nascere tutto. Chitarra classica e voce, più arpeggi che si sovrappongono tra loro andando a creare quei suoni che mi fanno impazzire. Però devo dire che mi trovo bene con tutto, anche perché sennò non avrei messo così tanti strumenti nell’EP. Credo sia il lavoro più personale fatto fino ad ora. Personale nel senso di anima, di tirare fuori qualcosa in più oltre la pelle leggera che abbiamo addosso, di capire come toccarsi senza toccarsi, di comprendere gli sguardi o di non comprenderli affatto, che forse è ancora più bello e intenso a volte.

Che significato ha per te la notte?

La notte è il momento in cui passo più tempo a pensare, a creare, anche a stare fermo ma comunque non statico, non so se mi spiego. La notte è il momento che spesso vorrei non passasse mai, è il momento in cui nessuno ti chiede niente e nessuno si aspetta niente da te come se fosse dovuto, non c’è la fretta e non c’è l’arroganza di qualcuno, non ci sono presuntuosi, c’è il silenzio fuori e il casino dentro. Insomma, è uno dei miei momenti preferiti.

Chiudiamo con una riflessione sul senso della perfezione, sulla ricerca continua di modelli da inseguire che ci portano soltanto più lontani dal nostro io più profondo…

Io penso che la perfezione non esiste, e dico, per fortuna! La fortuna più grande che abbiamo sulla terra è che la perfezione forse può raggiungerla solo la natura, noi sicuramente no, ed è la più grande fortuna che abbiamo. La perfezione, qualora esistesse, vorrebbe dire stare fermi ad aspettare qualcosa che non verrà mai perché nella nostra testa è tutto già arrivato, e sai che noia? I modelli da inseguire a volte servono, direi in modo più corretto i modelli da cui trarre insegnamento, ma tra imparare e imitare c’è una gran bella differenza.

Il nostro io più profondo è dato dal risultato di quello che siamo e di quello che impariamo, anche e soprattutto dagli altri (pensiamo ai libri per esempio, sono scritti da altri!). Quindi la cosa secondo me più giusta è continuare a inseguire quell’equilibrio costante tra imparare dagli altri e imparare da soli, e l’equilibrio rimane costante solo se non si ferma mai, fino all’ultimo respiro e a qualsiasi età.

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