La perfezione anarchica dello Zero: i Bluvertigo e la Trilogia Chimica

Dopo “Acidi e Basi” e “Metallo non Metallo”, i Bluvertigo recintano la trilogia chimica con “Zero”. L’immensa mole di informazioni contenuta in queste poche righe meriterebbe già di per sé barocche distese di inchiostro. I primi due album si reggono su meccanismi chimici anarchici e apolidi: gli acidi e le basi si dissociano cedendo ad altri reagenti nuove specie evolutive, creando un gioco multicolore e, nel caso specifico di traslazione, multimusicali.

Da questa maieutica esplosione l’impegno si lega alle definizioni dei metalli e dei non metalli, capaci (o non capaci) di legarsi tra loro, ricreando composti ben diversi, per forma e struttura, dotati di caratteristiche totalmente distanti dal guscio originale ma dotati di loro precisa identità. Il metallo è sinonimo di resistenza, cosi come le acidi/basi lo erano di volatile labilità. Non deve quindi sorprendere se dallo Zibaldone iniziale, passando per l’esoscheletro musicale metallico, il gruppo abbia deciso di chiudere il cerchio con l’estremo annichilamento strutturale rappresentato dallo Zero. La scelta ricade su un elemento ricco di significati reconditi, pragmatici ed alchemici allo stesso tempo.

Lo Zero che in realtà è più concetto estetico-matematico che chimico ad un primo ascolto.

Il messaggio è conservare bottiglie vuote” si tuona nella title track: l’armonia delle forme oltre l’utilizzo del mezzo musicale. La forma perfetta allineata al bisogno di raccontare geometrie complesse. Scrivere bene, testi elaborati su musiche curate, senza l’intento di raccontare e/o spiegare e/o insegnare. Che la legenda di lettura sia un anarchia destrutturata è già nel profumo retrosternale che accompagna La Crisi. Tralasciando le algebre psicoanalitiche il pezzo è diagnostica sonora di una generazione abituata a nascondere i propri limiti emotivi e le ansie tachicardiche sotto parrucche amorfe.

L’anoftalmia emozionale è la chiave di lettura di volti tutti uguali, di cuori freddi. “Cambia solo il modo di giudicare” apre uno squarcio sulle idolatrie del self-made-pleasure musicale, sulla definizione di pazzie e differenze. Non a caso la traccia successiva è “Sono = sono”. Il rimando è chiaro, lucido come un piano ben studiato. È testamento spirituale di un grido d’allarme lanciato non nel buio di una cameretta periferica ma tra le luci stroboscopiche di una musica figlia di decenni trapassati ma mnesicamente vitali.

Ripercorrendo le radici musicali dei Bluvertigo non possiamo non pensare al video dei Visage del 1991 di Fade to Gray (vetta inarrivabile della nostalgia new romantic per testo e metrica) in cui un etereo Steve Strange si dipingeva il volto per poi ritrovarsi nella visione del proprio essere in maschere antropomorfe e veli candidi.

È il glam, è la paura della morte, del grigiore metapoptotico. Morgan ha già iniziato a guardarsi alle spalle, consapevole che le energie spese e le note hanno ricreato spazi vecchi con finestre fresche di pacca: la quiete sinaptica, l’abbraccio anarco-semantico di “La Comprensione” ha il sapore di una brusca frenata in un kartodromo fatto di eccessi carotidei e cartina tornasole di una dissolvenza emotiva fin troppo veloce. La dispnoica deregolamentazione delle parole da pronunciare è affidata anche alle due tracce successive: Finché saprai spiegarti e soprattutto in Sovrappensiero.

È una traccia difficilmente inquadrabile per labirintica complessità, non donando punti di incontro o quiete. Si torna allo Zero iniziale, ad un concetto onnicomprensivo e simmetricamente vuoto. Tutto appartiene alla numerazione astrale che scavalca la torta socratica delle scienze intellettive. Ogni azione o sentimento umano diviene Sovrappensiero, inteso sia come livello oltre il pensiero ma aderente ad esso, sia come concetto che ha superato l’umana comprensione.

Il disco prosegue e affida al viandante musicale una borraccia vuota e cibi aproteici: Forse.

Gemma assoluta dell’album, è un trattato aspecifico e uno strattonamento emotivo interamente coerente con la struttura narrativa precedente. “Ho vissuto tempi di piccole battaglie, molte cose non le rifarei”. Le piccole battaglie sono le reazioni chimiche dei precedenti lavori, capaci di creare il fenomeno Bluvertigo ma anche capaci di trascinare il gruppo brianzolo nelle trincee delle polemiche bieche e vuote. Il tema della solitudine, presente strisciante anche nei lavori precedenti sotto mentite spoglie iperboliche o tra righe sarcastiche si erge e ferisce l’ascoltatore già toccato dal baratro della visione oltre la torre d’avorio in cui ha creduto di poter soggiornare. L’essere umano come chiodo e congiuntamente pendolo, schiavo della rozzezza del suo intelletto e della vacuità di giorni troppo simili a tanti altri.

Le sei tracce successive formano (da Autofraintendimento a Niente per scontato) un album nell’album.

Sono un estremo tentativo di creare una nicchia barocca di suoni emotivamente nostalgici tra cui spicca la cover (riuscitissima) del Duca Bianco di Always crashing in the same car. Non è difficile da capire il perché di questa scelta. Numero e Punto di non Arrivo sono la giusta, ulcerosa chiusura di un lavoro completo, di una grigliata pasquale per ghiottoni emotivamente iperstimolati. La prima traccia è testo ermetico, tisi stilistica transtemporale (“Il bambino di me, il tempo di me”). La seconda traccia è un urlo solitario, tempesta nel deserto, impreziosita da Franco Battiato che ne esalta la piaga narrativa con un “dove sono arrivato?” che da solo varrebbe l’acquisto del supporto fisico.

Stravolti, tristi e inebriati dai suoni so’80.

Zero risulta indigeribile come il nostro piatto preferito e risulta essere vestito da sposa perfetto per ogni asceta che segue Morgan nelle sue lussuose periferie musicali. Un lavoro lungo, fatto di linfa vitale che impregna l’epica storica elettronica per fonderla con orizzonti musicali inesplorati. Il gruppo brianzolo spende ogni energia per spiazzare tutti e celebrare l’annullamento dorato di se stessi in uno zero la cui pancia è foriera di nuovi figli espressivi. Il sottotitolo “ovvero la famosa nevicata dell’85” ci spinge a guardare all’interno di questo numero alchemicamente complesso. Troveremo Morgan sepolto dalla neve, costretto a guardare se stesso alla finestra e a comprendere la traiettoria della suoi futuro percorso. Siamo tornati al punto iniziale: Zero. L’asfittica perfezione del numero che gioca con un destino da non numero.

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