Enzo Carella, ritratto di un cantante di culto

Vincenzo Carella (Roma, 1952 – 2017) è stato uno dei cantanti più iconici della canzone italiana: il ragazzo coi capelli mossi e lunghi, la voce sottile e confortante, con la barba prima, i baffi poi e il pizzetto infine. Lanciato da Vincenzo Micocci, discografico della mitica IT, Carella rappresenta un unicum, tra emotività e carattere.

Il suo album d’esordio, Vocazione (IT, 1977), fu per molti una vera e propria folgorazione. Sonorità particolarissime, molto ricercate, perfettamente amalgamate coi testi di Pasquale “Lino” Pannella, paroliere che firmò tutte le sue canzoni e che probabilmente fu notato da Battisti, e scelto dopo la rottura con Mogol, proprio grazie a Carella.

Dalla sacralità alla difficoltà della vita al sud, sfociando inevitabilmente nell’eros. «Io ti voglio vedere in mutandine», come nel capolavoro Malamore: «Di che mi amerai, di colpo o corruzione? Soffiando il cuore infiammandomi il polmone, un segno sulla coscia, la tua bocca migliore e il cuore che divori come un pugno di more. […] Un ago nella pelle il tuo colpo migliore e il fiore che si secca nell’occhiello del cuore», canzone della quale, al contrario di come sovente accadeva, fu scritto prima il testo.

La voce sensuale di Carella ricevette riconoscimento classificandosi seconda al Festival di Sanremo del ‘79 grazie a Barbara, contenuta nel disco Barbara e altri Carella (IT, 1979)

La canzone gli dette la popolarità – condizione che un po’ contrastava con la sua personalità riservata – e lo fece immergere a pieno nel mondo complesso della musica, fatto di invidie e gelosie. Barbara – lato A di un 45 giri, in compagnia di Veleno, altro capolavoro – riscosse successo anche per il testo provocante, intriso di morbidezza e di fantasticheria.

«Tentami, toccami con l’alito, fammi un caldo in più, dolce tu per tu. Rubami, con le trecce allacciami, c’è più smania in noi che dall’onda in poi. Tienimi, tra le mani e l’anima, fammi un male tenero, fantasiosa e Barbara […] In bocca a te è più bello…»

Carella al Festival di Sanremo ’79

La chiave di quella canzone, ironica e musicalmente accattivante, fu anche la scenografia portata sul palco dell’Ariston e in trasmissioni dell’epoca come Discoring. Si trattò forse delle prime tracce di karaoke. Infatti c’erano delle ballerine, “ragazze sandwich”, che indossavano cartelli con su stampate da un lato delle grosse labbra e dall’altro alcune parole del testo, come queste:

«Ho freddo in mano, ti tocco piano piano; ho freddo al pianto, mi faccio accanto accanto».

In quel disco, tra le altre, c’è anche la canzone Foto, nel cui video, decisamente osé, inciso per le televisioni private, figura Carella in pigiama che si aggroviglia ad una delle due donne che se lo contendono. Inoltre, i produttori hanno sempre investito su di lui. Hanno considerato la sua musica avanti di anni, e per questo lo hanno circondato sempre di ottimi musicisti; inizialmente c’erano quasi tutti componenti del gruppo progressive rock dei Goblin, in primis il bassista Fabio Pignatelli.

Il cambio discografico e musicale avvenne con il suo terzo album, forse il migliore: Sfinge (RCA, 1981) prodotto dal grande Elio D’Anna, flautista degli Osanna.

«Cara Sfinge, donna stesa nel deserto te ne stai, cara Sfinge, pietra che respira, non ti giri mai».

A proposito del suo conseguente ritiro dalle scene, dirà in seguito: «Dopo Sanremo si passa a in una dimensione del tutto nuova. Perché inizi a vendere i dischi e, di conseguenza, senti sulle spalle la responsabilità di un’industria che investe su di te, che ha certe aspettative e che per questi motivi ti mette addosso una grossa pressione. Un clima per nulla adatto a me: ho sempre suonato in tutta tranquillità per il gusto di suonare, per passione e per amore della musica. Così capii di sentirmi a disagio in quella situazione e perciò ho cominciato a disamorami, distaccandomi subito dopo»[1].

Enzo Carella – Sfinge [Ascolta Qui]

Dopo un silenzio lungo più di dieci anni, arriverà Carella de Carellis (It, 1992), contenente su un lato pezzi già pubblicati e sull’altro cinque inediti, tra i quali c’è La pappa del cuore «che esce fuori da tutti i pori, che bei calori […] che ha le ali come i fuochi artificiali». Al termine di un lungo testo presente sulla mutanda del disco, Panella scrisse: “De Profundis Carella, De Carellis Clamavi”.

Tre anni dopo sarà la volta di Se non cantassi sarei nessuno: l’Odissea di Panella e Carella (It, 1995)

Si tratta di un concept album, ispirato alla celebre opera di Omero. Carella ne curerà anche l’aspetto grafico realizzando dei bellissimi e originalissimi disegni, poiché fu anche un discreto pittore. L’ultimo lavoro, Ahoh Ye Nànà (Sony, 2007) – «nato dalle interiezioni, dai sospiri, dai coretti, dalle meraviglie, dalle vocali, dalle sospensioni, dalle attese, dalle decisioni prese, dalle smorfie della voce, dai versi che fanno il verso, dagli ah, oh, uh della vita sparsi nel canto», nonostante lo sconforto, gli affaticamenti e il declino, presenta canzoni molto interessanti, già dai titoli, come: Oggi non è domani, Basta il pane e Lavorare no, con una forte commistione di più generi musicali.

La cifra stilistica di Enzo Carella è frutto di tutte quelle componenti essenziali per un artista: grande sensibilità, gusto raffinato, cultura, coerenza, mestiere (amava la chitarra). Il suo carattere schivo, un po’ diffidente, le divergenze e le scelte personali, nel tempo lo hanno portato ad isolarsi e a trasformarsi in ombra; è arrivato il tempo di riscoprirlo, di riapprezzarlo nella sua interezza e di conferirgli la giusta luce.

[1] https://www.ondarock.it/interviste/enzocarella.htm

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