Ecco a voi Giuni Russo, la voce più bella di tutte!

Percorrendo la storia della canzone italiana, risulta difficile trovare una più voce bella e particolare di quella di Giuni Russo. Lo spunto per questo articolo me lo ha fornito Bianca Pitzorno, scrittrice, sua amica e autrice di una bellissima biografia: Giuni Russo da Un’estate al mare al Carmelo (Bompiani, 2009). Si tratta di una lettura appassionante, ricca di passione, storie e aneddoti.

Ad esempio quella volta in cui Giuni, non ancora diciottenne, sostituì Claudio Villa per una tournée di tre mesi in Giappone, o quando cantò come corista in un disco del gruppo prog il Balletto di Bronzo e in un altro di Celentano, o il giorno in cui, concorrente al Festival di Sanremo del ’68, conobbe, nella hall dell’albergo, Louis Armstrong il quale, intento a pulire la sua tromba e a sostituirne il bocchino, dopo averla sentita canticchiare per le scale, le regalò il vecchio oggetto d’argento – lei lo conserverà per il resto della vita – dicendole: “For you, baby”.

Palermitana, nata con il nome di Giuseppa Romeo, Giuni era figlia di pescatore e penultima di dieci figli. Crebbe con il sogno di diventare una cantante, avendo come modelli Aretha Franklin e Maria Callas. Vinse il Festival di Castrocaro nel 1967, fece una lunga gavetta per i locali siciliani, sino ad approdare nel ‘69 a Milano, città che le donerà forse l’incontro più importante della sua vita: quello con la musicista Maria Antonietta Sisini, compagna di vita e coautrice di molte canzoni.

Incise il suo primo disco nel 1975, interamente in inglese, intitolato Love is a woman, con il nome di Junie Russo, per renderlo più accattivante anche sul mercato internazionale.

Il secondo album, Energie, del 1981, è un vero capolavoro; un disco che irruppe come un fulmine nella scena musicale italiana, soprattutto grazie agli arrangiamenti di Franco Battiato e Giusto Pio. Furono trattate tematiche sociali quali la guerra, le condizioni dell’esistere nelle città immerse nella “crisi metropolitana”, le difficoltà della vita. Fu questo il lavoro che per primo dimostrò le sue doti canore, capacità che mantenne intatte sino all’anno della sua morte avvenuta nel 2004, a soli 53 anni, stroncata da un tumore.

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Le sue canzoni non sono facili da intonare né da “sentire”, necessitano di più ascolti, di maggiore attenzione, del giusto tempo. Per questo, oggi come ieri, è ricordata soltanto per alcuni successi, come Un’estate al mare, Mediterranea, Limonata cha cha cha, Sere d’agosto, Morirò d’amore, e Alghero.

Quest’ultima fu scritta sull’aereo da Roma ad Alghero mentre accompagnava l’amica Sisini ad assistere la madre ricoverata a Sassari. Nacque il tormentone: «Mia madre non lo deve sapere, non lo deve sapere che voglio andare ad Alghero, in compagnia di uno straniero, su spiagge assolate, mi parli in silenzio con languide occhiate». Parole che ricordano la scena a bordo piscina tra Ornella Muti e Yorgo Voyagis nell’episodio “Senza parole” ne I Nuovi Mostri.

Gli anni Ottanta furono decisivi per il percorso discografico di Giuni Russo

Durante questo decennio incise quattro dischi: Vox (1983), Mediterranea (1984), Giuni (1986) e Album (1987), lavori che godettero di importanti collaborazioni, tra le quali: Roberto Cacciapaglia, Roberto Colombo, Alessandro Centofanti, Alberto Radius e le Pumitrozzole, collettivo canoro di travestiti.

Fu l’ottantotto a sancire, grazie all’album A casa di Ida Rubinstein, la grande ecletticità della sua voce. Diretta da Alessandro Nidi, omaggiò importanti compositori del passato come Bellini, Donizetti e Verdi, cantandone celebri arie e romanze. Il lavoro ebbe una seconda edizione postuma, nel 2011, arrangiata in chiave jazz e curata dal suo amico e conterraneo Battiato.

Il maestro ha detto di lei: «L’estensione vocale di Giuni lasciava increduli. Sembrava senza limiti. Ma lei usò questa straordinaria possibilità solo per fini artistici. Aveva il timore che un uso improprio potesse oscurare la sua qualità d’interprete. E a chi le chiedeva quante ottave possedesse, rispondeva, con la sua ironica sobrietà, sette ottavi… riferendosi al soprabito femminile».

Come tutte le grandi persone, Giuni aveva un’anima pura e densa di ricchezza.

Racconta Maria Antonietta Sisini: «Giuni già nasce con una sua spiritualità. Ha cominciato con certe letture di Teresa d’Avila e si è innamorata della figura di questa mistica spagnola e da lì ha cominciato a desiderare di musicarla. Poi un giorno lei mi canta un qualche cosa, con le parole di Santa Teresa, e io le ho chiesto “ma da dove ti viene?” e lei mi ha risposto: “mi canta dentro”».

Fu a seguito di questo incontro spirituale che incise Muero porque no muero, tratta da una poesia di Santa Teresa. Cominciò quindi un processo di avvicinamento al Cattolicesimo, grazie anche alla figura di Sant’Ignazio di Loyola che la “guiderà” verso la frequentazione del Monastero delle Carmelitane di Milano e all’incisione, nel 1994, del disco Se fossi più simpatica sarei meno antipatica, con i brani La Sposa e La sua figura, tratti dai testi di San Giovanni della Croce.

Nel ’98 Giuni festeggiò trent’anni di carriera incidendo Voce prigioniera, il suo primo disco live. Scriverà: «A M. Antonietta Sisini. Questo mio primo live lo dedico a te, per l’insostituibile amicizia e per la tua grande pazienza. Grazie, Giuni». Questo disco dal vivo ne precederà soltanto un altro, Signorina Romeo Live, del 2002, con una dedica speciale: «Con questo “cd live” mantengo la promessa fatta a tutti coloro i quali, in questi anni, presenti ai miei concerti, lo hanno fortemente richiesto».

Artista in continua evoluzione

Nonostante numerosi dissapori avuti all’interno del mondo discografico e dello spettacolo, Giuni aderì, nel corso della sua vita, a diversi festival ed esibizioni televisive: “Festival di Sanremo”, “Festivalbar”, “Viva Napoli”, “Azzurro”, “Premio Tenco”, “Cantagiro”, “Il boom”, “Domenica In”, “Un disco per l’estate”, “Vota la voce”, “Napoli prima e dopo”. A quest’ultimo partecipò con la famosissima Marechiare, presente nel disco Napoli che canta, del 2004. Il lavoro nacque grazie all’incontro con Paolo Cerchi Usai, restauratore del film muto omonimo uscito nel 1926 e girato da Roberto Leone Roberti, padre di Sergio. Giuni Russo accompagnò la proiezione, suggestionando il pubblico, eseguendo una suite di 22 brani appartenenti alla tradizione musicale partenopea.

Gianfranco Capitta ha scritto di lei: «Ad ascoltare oggi le sue canzoni, la sua voce da vertigine, attraverso un repertorio così complesso e ricco […] c’è la sensazione concreta di una vita che cresce, di una donna che si guarda attorno, di uno sguardo che si allarga al mondo fino a comprenderlo, o forse a non poterlo più comprendere e contenere. E ispira tanto amore Giuni, quanto pudore. Per la sua grandezza, la sua capacità di presentimento, il suo mistero».

È bello sapere della grande attenzione discografica riservata alla figura di Giuni Russo, dopo la sua morte.

Tante raccolte, inediti postumi, re-incisioni su cd e vinile, pubblicazioni, siti web. Questo lo si deve soprattutto a Maria Antonietta Sisini che ne custodisce la memoria. Adesso è arrivato il momento di far conoscere la sua figura – vera e propria icona pop – ai giovani nati nel nuovo millennio.

Una vita per la musica, quella di Giuni Russo, ricca di adrenalina, di cadute e di soddisfazioni. Ironica, modesta, frizzante, riservata, non aveva eguali. Appena saliva sul palco o entrava in studio di registrazione, la sua voce di gabbiano volteggiava libera infrangendosi, come un’onda schiumosa, contro i cuori della gente.

“Portami a ballare oppure altrove, ma portami via da qui”, cantavi. È questo il senso di leggerezza di cui tutti abbiamo bisogno, la necessità di evadere dalla quotidianità che ci inghiotte, le ore che ostruiscono i sensi, la frenesia che risucchia la serenità. Scriveva il poeta Ferruccio Benzoni: “Tutta la mia avventura è vederti volare”.

Raccoglici tutti, Giuni, e con la tua voce portaci a sognare.

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