Abbiamo intervistato la vera regina di Sanremo: Orietta Berti

In Italia i sedicenti musicologi da Spotify craccato sono soliti circoscrivere la tradizione musicale italiana ai grandi cantautori tralasciando quindi le nutrite sfumature di un passato musicale che risuona, inevitabilmente, nello scenario contemporaneo. Quando sentiamo alcuni nomi della tradizione ci limitiamo a dire “lo conosco”, con la stessa superficialità con la quale diciamo di conoscere le persone quando abitiamo nei piccoli paesi. Questo accade spesso nella musica: ricordiamo le cosiddette hit e troppo poco il resto. Chi non ha mai sentito parlare di Orietta Berti? Eppure in quanti, tra i “giovani” hanno ascoltato altro oltre ai suoi grandi successi? In pochi, eppure, una generazione che lotta continuamente contro i pregiudizi, di pregiudizi, in questo caso, ne ha.

Infatti molti hanno sorriso sulla sua partecipazione a Sanremo in mezzo a tutti questi giovani. Eppure se scrivessi su di un muro una delle sue frasi, ad esempio “l’amore è come l’edera, s’attacca dove vuole”, tutti googlandola resterebbero stupefatti dal non leggere cit Er pinto, o di un qualsiasi rapper. Sicuramente le melodie sono figlie degli anni in cui la Berti cantava, ma dai testi viene fuori una grande personalità e soprattutto una devozione all’amore, non quello professato da molti artisti della scena contemporanea che cantano “Canzoni che parlano d’amore | perché alla fine, dai, di che altro vuoi parlare?”. Orietta ha una carriera di oltre cinquant’anni caratterizzata dal suo amore storico per Osvaldo oltre a quello per la musica e per i musicisti.

Tutto questo è venuto fuori magistralmente e con eleganza nell’intervista che ci ha concesso.

Buongiorno, signora Berti! Come va? Come la possiamo chiamare? Ci dica lei!

Orietta va bene. Nel nostro ambiente ci si dà sempre del “tu”. Non importa l’età.

Non è una questione d’età, è una questione reverenziale…

Se è in questo modo, vi ringrazio ma preferisco il “tu”

Va bene, allora opteremo per il “tu” con grandissimo piacere. Come stai Orietta?

Sto bene, sono contenta dell’esibizione che ho fatto ieri sera. Quando ero dietro le quinte ero molto emozionata. Mi tremavano persino le gambe e volevo entrare anch’io scalza come Madame, perché con i tacchi non stavo dritta. Appena sono entrata e ho visto la platea piena di musicisti, mi sono subito rilassata e rincuorata. Ho cantato bene perché ho cantato con il sentimento giusto che richiede questa canzone. Ho ricevuto, non ci crederete, tantissimi messaggi, migliaia di messaggi da tutte le parti d’Europa e del mondo, dal Canada, dagli Stati Uniti, da Barcellona, dal Belgio. Tantissimi anche qua in Italia, quasi tutti musicisti del nostro ambiente. Questo mi ha fatto piacere perché insomma è gente che sa cos’è il nostro lavoro.

L’unico neo è stato che la madre del maestro che mi dirigeva, Enzo Campagnoli, è venuta a mancare proprio ieri e lui non mi ha detto niente perché non voleva agitarmi più di tanto dato che questa signora la conoscevo benissimo, la stimavo. Se n’è andata via troppo presto, aveva suppergiù la mia età, forse qualche anno in meno. Io non lo sapevo e ho cantato come se niente fosse. Penso a lui restare lì e non andare a casa: mi ha fatto un omaggio e gliene sono molto grata. Però ecco anche qui nello spettacolo è sempre così: i sentimenti più cari, più veri, passano in secondo piano per dare la precedenza al lavoro imminente che c’è da fare. Tutto quello che è venuto dopo è andato tutto bene.

Stasera (ndr. l’intervista è avvenuta ieri mattina) spero di fare bella figura con questa bellissima canzone di Sergio Endrigo, “Io che amo solo te”. L’ho voluta tanto fare perché ho sempre rispettato e amato questo grande cantautore. Era modesto, era semplice, sincero però ha scritto grandi melodie. La eseguirò insieme a Le Deva, un gruppo vocalist nuovo, brave ragazze, vocalmente preparate, ognuna con una sua personalità nel cantare. Quindi ho pensato bene di dividere il brano in parti uguali così hanno la possibilità, su questo grande palcoscenico, di farsi conoscere un attimino di più.

Orietta Berti e Le Deva
Avevo notato, poi tra l’altro, la selezione del brano appunto di Endrigo e avevo rivisto su YouTube un video in cui cantavi nel 1990, se non sbaglio, a “Il caso Sanremo” proprio con Endrigo…

Ah… ho una memoria labile, non mi ricordo tanto le cose. Ci vorrebbe sempre qui vicino a me mio figlio che si ricorda tutto. Ma può darsi adesso me lo farà rivedere. Abbiamo un archivio fornito della televisione che ho fatto. Tanti ragazzi italiani mi mandano tutte le cose vecchie che loro avevano registrato con la nonna, con la mamma, con la zia. E adesso, guarda, mi hai dato questa possibilità di potermi andare a rivedere. Comunque le canzoni di Endrigo negli anni le ho sempre inserite nei miei album: sai quando si fanno tante canzoni…

Le cover…

Le cover, sì. Sono contenta della versione che abbiamo fatto per Sanremo, molto delicata. Anche qui abbiamo utilizzato tutti gli elementi musicali che ci sono perché ne valeva la pena.

Certo, certo assolutamente…

Però guarda, nonostante le classifiche che ci saranno, sono talmente contenta di poter essere in questo Sanremo così anomalo e di poter gareggiare con tanti ragazzi giovani pieni di entusiasmo, pieni di voglia di arrivare. E io che ho 55 anni di carriera, vedendo loro, mi sembra che sia anche per me la prima volta che sono qua. Questo palcoscenico è talmente importante per noi dello spettacolo che quando vai e fai i primi tre passi, ti sembra sempre la prima volta. Quando si accende quella lucina dentro la telecamera sei sempre emozionata come se fosse la prima volta e vuoi emozionare anche il pubblico che ti sta sentendo, no?

Io dico sempre che ho fatto il lavoro più bello del mondo perché non ti fa sentire l’età che hai. Il tuo cuore resta sempre giovane, con le ali. Quindi devo ringraziare ancora una volta il mio papà che voleva farmi diventare una cantante lirica. Poi non ho potuto farlo e mi sono adattata alla canzone leggera italiana e ne sono ben felice.

Orietta, noi siamo una un magazine che parla generalmente di musica per una fascia di età, diciamo tra i 18 e i 35 anni. Insomma musica “indie”, come si suol dire in questo in periodo. Però nel momento in cui abbiamo visto la lista dei cantanti abbiamo notato poi una nutrita presenza di artisti giovani e meno conosciuti al pubblico generalista. Abbiamo pensato “Caspita però, va bene adesso tutti questi canti indie, però è Orietta Berti l’elemento di rottura e anche la novità, per certi versi, nel panorama di Sanremo”. Come ti senti in mezzo a tutti questi giovani?

Guarda tanti potrebbero essere i miei nipoti. Io ho una nipotina, Olivia si chiama – perché noi andiamo sempre con la O, è il nostro portafortuna lettera O – e lei compie 2 anni il 31 di marzo. Dunque, mi ha detto la mia nuora, che quando mi ha vista ieri sera applaudiva e diceva: “Nonna qui! Vieni qui!”. Voleva che io venissi fuori dal televisore. Sono qui con tutti questi ragazzi che potrebbero essere i miei nipoti è vero, però guarda, mi piace gareggiare con loro, non so. Sarò egoista, sarò senza testa, però è bello. Mi fanno sentire giovane, ancora di quelle ragazze che vogliono arrivare a tutti i costi, ed è bello.

A proposito di questi giovani che hai conosciuto sul palco. Con quali avresti fatto una collaborazione da portare magari a Sanremo?

Alcuni giovani proprio non li conoscevo. Beh non mi dispiacerebbe cantare, fare un duetto con Madame, come con Ermal Meta. Ma come anche con i Maneskin, perché sono stata con loro a Zurigo…

Grazie a Fazio?

Sì sì grazie a Fazio, ho cantato un pezzettino con loro. Mi sono molto simpatici: sono ragazzi che ci hanno messo l’anima per arrivare dove sono arrivati.

Cosa è cambiato negli anni? L’ultima volta che sei stata a Sanremo è stato 29 anni fa, giusto? Con Giorgio Faletti…

Sì, è cambiato tutto. Ad esempio le votazioni, perché prima se ti ricordi… Vabbè tu sei giovane! Le votazioni si facevano in ogni sede Rai e c’erano 30 presenze dai 18 ai 30 anni e votavano lì, insomma. Una votazione umana. Poi c’era una propaganda diversa: adesso se tu arrivi anche ultimo hai la possibilità di promuovere il tuo disco sia nelle radio che nelle televisioni, perché ce ne sono una marea e tutte sono viste. Invece, ad esempio, i primi tempi se tu non andavi in finale, perché c’era la gara, venivi penalizzato non perché non eri andato in finale, ma perché la casa discografica non ti poteva promuovere dato che prima passavano tutti quelli che avevano avuto la possibilità di essere nella finalissima.

Gli altri che non andavano in finale dovevano aspettare il turno fino a primavera inoltrata, quando poi c’erano già le canzoni dell’estate. Ecco era una cosa brutta perché facevi un gran lavoro, che poi dopo rischiava di rimanere nel cassetto. Non c’era la possibilità di promuovere, c’erano due canali o tre e poi non tutti trasmettevano musica.

Invece adesso c’è la possibilità per tutti. Quando ho cominciato io a farmi conoscere c’erano i concorsi di voci nuove. Tu andavi lì e nella giuria c’era sempre un personaggio noto nell’ambiente musicale. Nel mio caso c’è stato in giuria Giorgio Calabrese che in quel periodo faceva tante trasmissioni televisive importanti: “Studio Uno” come autore, “Senza rete”… Poi era il paroliere di tanti musicisti che in quel periodo facevano le canzoni più belle. Ha fatto tante canzoni per Mina, tante canzoni per la Vanoni… Lui mi ha portato in una casa discografica. Ma se non ci fosse stato lui, una ragazza di paese, più di 55 anni fa, dove andava? Con i mezzi che non c’erano… Adesso tu metti una cosa in rete, ti ascoltano e ti danno il giudizio subito tutti…

Orietta hai provato a pensare se magari questo sogno, che hai realizzato, di fare la cantante non fosse iniziato negli anni sessanta ma l’avessi provato a fare in questi anni qua… Cioè, ti riconosci anche in quei giovani che adesso trovi come concorrenti, come colleghi sul palco dell’Ariston? Cosa avresti fatto?

Avrei fatto come loro. Anche adesso loro hanno sempre dei collaboratori. Anche un giovane cantautore ha sempre un collaboratore vicino oppure una persona che gli sa dire cosa deve fare. Penso di aver avuto un carattere tale da aver saputo ascoltare. È quello che dico sempre a tutti: quando in questo ambiente ti propongono una cosa a cui tu dici no perché, secondo te, non è nelle tue corde vocali, nella tua personalità, prima ti devi chiarire e devi ascoltare le persone che lavorano in questo campo con esperienza, perché loro non ti dicono mai delle cose che non vanno. Dicono sempre delle cose giuste. Che poi tu nel tuo io dici “no, per me non è giusta questa cosa”, non la fai perché prevale la tua personalità.

Ho notato che ci sono tanti giovani che si sono bruciati subito, che sono diventati delle meteore in questi anni perché non hanno continuato sulla linea su cui erano già in partenza. Hanno voluto cambiare per essere sempre alla moda. Sì, va bene cambiare ma non in modo brusco. La tua personalità deve sempre prevalere. Devi sempre essere te stesso anche se cambi genere. Io facevo il genere melodico, le canzoni belle del “Bel Canto”, ecc. Ma ho aperto anche tante parentesi facendo canzoni ironiche, con doppio senso. Si facevano d’estate per vendere dischi, erano canzoni commerciali. Devo essere grata agli autori di allora che facevano le canzoni per tutti e tutti vendevano milioni di dischi.

Quello che io dico a questi giovani è che “non dovete lasciarvi prendere dal vostro ego, dovete collaborare, sentire anche le persone che vi stanno vicino”. Perché non tutti sono dei mascalzoni, le persone che sono vicino a questi giovani, non tutti cercano soltanto l’interesse personale. E questa, insomma, è un’altra parentesi del nostro lavoro e va considerata.

Orietta sul palco canti un po’ l’amore. In tempi comunque abbastanza complicati hai cantato questa canzone, tra l’altro fatta benissimo, “Quando ti sei innamorato” che io ho apprezzato molto. Non so te, Sara…
Assolutamente sì e anche complimenti per la performance impeccabile…

Quando me l’ha proposta Boccia… devi sapere che lui è venuto a ringraziarmi perché nel album dei 50 anni avevo inserito “Grande amore”, una sua canzone che poi lui ha dato a Il Volo. Allora lui m’ha detto: “tu non vai a Sanremo, Orietta, io vorrei proporla a Il Volo” e ho detto “Sì sì”, ho detto “guarda, Francesco, te la do volentieri”. Non tutti però cedono le canzoni quando…

Quindi “Grande amore” era per te, Orietta?

Era per me. L’avevo messa nel nell’album dei 50 anni e dopo gliel’ho data indietro. Lui in cambio mi ha dato questa e un’altra canzone che è entrata nel mio cofanetto “La mia vita è un film”. Mi ha detto, insomma, “ti sono grato”, perché non tutti fanno così. E infatti ho fatto bene a dargliela, perché ha dato la possibilità a questi ragazzi di avere un successo italiano tutto loro. Poi hanno vinto Sanremo eccetera eccetera.

Però è una canzone che parla anche molto di te e della tua storia l’amore con Osvaldo…

Si e quando ho letto il testo ho detto: “Mah, mi sembra che tu me l’abbia scritta proprio a pennello su di me”. Lui ha detto: “Guarda veramente io l’ho scritto per me, però insomma non ho una passione che dura 50 e più anni come la tua ma nel mio piccolo”…

È il bello della musica, Orietta: ritrovarsi anche nelle parole altrui…

Sì, infatti subito lui ha detto: “Ah la devi dedicare Osvaldo”. Ho detto: “Vabbè la dedichiamo Osvaldo”. Già gli ho dedicato il libro “Tra bandiere rosse e acquasantiere” e pure questa…

Orietta, in chiusura: sei anche un’icona di stile! Ricordo, avendola vista nel tuo intervento molto bello su TV Sorrisi e Canzoni, una foto del ‘69, quando eri in gara con Massimo Ranieri, in cui in finale avevi questo vestito “autostrada”, diciamo, a strisce, a righe. Quanto è importante per te lo stile?

Era della Mila Schön, una delle stiliste che andava per la maggiore all’aristocrazia Milanese, dell’alta borghesia Milanese. Ne avevo acquistati due da lei: uno era verde con tutti gli strass e paillettes, era bellissimo, pesava più di 3 kg addosso e quest’altro. Lei mi ha detto: “Mi raccomando, signora, si metta questo a righe perché è più moderno, più all’avanguardia, adesso negli anni 70 sono tutti a righe”. Ho detto “ma io preferisco l’altro” e poi lei “Ma no, signora, non se lo metta. Perché è un facsimile, l’ho venduto alla Milva quindi non vorrei…”.

Negli anni ho sempre portato delle cose diverse, come sono io. Perché sono del segno dei Gemelli e ho una personalità che vola in aria: diciamo che io volo sempre, anche quando sono con i piedi per terra. Per questo vado d’accordo con Osvaldo, perché lui è Capricorno, è un po’ taciturno e un po’ testone, allora sta sempre a tirarmi giù il palloncino al momento giusto.

Che cosa delle scorse edizioni di Sanremo manca e che cosa delle nuove edizioni di Sanremo porteresti nel passato?

Senz’altro la prima, perché è stata la mia prima performance ed è stata molto bella per me. Si faceva ancora al Piccolo Teatro del Casinò di Sanremo, c’erano 300 persone. Poi porterei quella del ‘69 quando facevo coppia con Massimo Ranieri e anche quando ho cantato “La barca non va più”, una canzone di Lauzi e Caruso, con tutti quei bambini che cantavano con me. Ecco un’altra edizione, l’ultima, quella con Giorgio perché, sai, ho avuto la fortuna di stare con lui una settimana, anzi 10 giorni interi qui a Sanremo ed è stata una bella vacanza. Abbiamo fatto un Festival spensierato, non pensavamo neanche alla classifica. Anche se siamo stati eliminati, eravamo contenti ugualmente perché abbiam fatto una cosa insieme e per lui era giusta così. Ricordo che mi disse “Senti Orietta, siccome tu sei intonata, quando io stonerò tu non mi guardare male, fa finta di niente”.

Grazie, Orietta! In bocca al lupo, complimenti!

Sapete che le Rane sono un portafortuna? A me ne hanno regalate tante in argento, in oro, in ceramica, in porcellana, anche dalla Spagna perché anche là è un portafortuna.

Allora ci saluta? Saluta i lettori delle Rane?

Sì certo, saluto i cari lettori de Le Rane, un abbraccio per quando si potrà! Ciao!

La Regina del nostro Festival
Un’intervista a cura di Mark Karaci e Sara Di Iacovo

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