FLOP 3 – Quando il Festival di Sanremo ci ha visto corto (o quasi)

La classifica del Festival di Sanremo, come ogni aspetto del festival, è sempre motivo di discussione. Si discute sul vincitore, sull’eventuale vincitore mancato e si discute, non di meno, su chi finisce nelle retrovie. I “buu” del pubblico, in stile sportivo, sono sempre più frequenti dentro al Teatro Ariston a sottolineare il dissenso del pubblico nel vedere in fondo alla classifica cantanti o canzoni che nell’opinione pubblica meritavano miglior sorte.

La storia del Festival, quindi, anche nel capovolgere la classifica e guardandola dal fondo racconta storie, epoche, tendenze, gusti che meritano un approfondimento. Proveremo quindi qui a raccontare alcune di queste storie che sottolineano come spesso il festival anche nell’assegnare la “maglia nera” non abbia proprio vinto il premio “occhio di falco”.

Vasco Rossi, Zucchero, Carmen Consoli: che sviste!

Spesso infatti si è accusato, a posteriori, il Festival di non avere avuto lungimiranza, di non essere stato in grado di riconoscere vari astri nascenti nei loro primi passi sulla scena pubblica. Il caso più eclatante resta forse quello di Vasco Rossi che con la sua “Vita spericolata” arrivò penultimo nel 1983. Un paradigma che poi si è andato ripetendo negli anni immediatamente successivi.

È l’esempio di come, di alcune edizioni, ricordiamo soltanto coloro che non furono apprezzati e/o che non ottennero una posizione di classifica che lasciasse poi intuire il successo che avrebbero avuto negli anni a venire.

Quell’anno, il 1983, vinse Tiziana Rivale con Sarà quel che sarà: senza mancare di rispetto a nessuno, direi che sia quantomeno imparagonabile la carriera che avrebbe poi diametralmente separato il penultimo classificato e la vincitrice. Forse Vasco Rossi non era adatto per i gusti del pubblico di Sanremo? Forse è così, ma senza dubbio rimane un fatto: il Festival della canzone italiana non seppe coglierne il talento che poi sarebbe scoppiato in modo dirompente.

È il caso anche di Zucchero che si classificò penultimo per ben due anni consecutivi con Donne (1985) e Canzone Triste (1986), per poi diventare una star di fama internazionale. A dare fondamento al clamore che certi ultimi posti suscitano ancora oggi aggiungiamo l’edizione del 1987, dove all’ultimo posto troviamo Nada con Bolero , e quella del 1997, dove Carmen Consoli con la sua Confusa e Felice non arrivò nemmeno in finale. I primi classificati furono i Jalisse con Fiumi di Parole , ma oggi ricordiamo ancora tutti il piazzamento immeritato di Consoli. 

Con gli anni 2000 iniziò la (difficile) convivenza tra Sanremo e la nuova scena alternativa/indie, consolidando ancora una volta la scarsa attualità di un festival che stentava a riconoscere i nuovi trend musicali che si sarebbero affermati nel Paese in quegli anni.

2000-2015: Lo scontro generazionale ha inizio…

Tra la fine degli anni novanta e il primo decennio del nuovo millennio si assiste ad una dicotomia molto evidente tra il festival di Sanremo (con tutto il suo carico musicale “tradizionale”) e un’avanguardia artistica che dagli inizi degli anni novanta in Italia diventa molto forte sia a livello di hype che discografico.

È quella scena che rientra nell’etichetta di “musica indipendente” o “alternativa”, che si dissocia e discosta in modo netto dal pop, dalle classifiche, dal mainstream e, di conseguenza, dal festival di Sanremo.

Accade però che in modo felino, piano piano, questo “odio reciproco” perda di vigore. Allora artisti e soprattutto band “indie” si propongano per Sanremo e Sanremo, a sua volta, sembra iniziare a interessarsi (anche nella ricerca di un pubblico anagraficamente più “vispo”) al mondo alternativo. D’altro canto l’ascesa di popolarità di MTV Italia, dei suoi VJs e di “quel mondo” non poteva passare inosservata. Strizzare dunque l’occhio a quelle situazioni era assolutamente necessario per non restare “mummificati” tra un Al Bano e un Fausto Leali.

Succede dunque che si susseguono sul palco dell’Ariston Subsonica (2000), Bluvertigo (2001), Timoria (2002), Tiromancino (2008), Afterhours (2009), Marlene Kuntz (2012), Almamegretta (2013).

Band che riscuotevano molto successo in tutti i canali alternativi a Mamma Rai (e affini). Erano quelle del concertone del primo maggio o degli MTV day per intenderci, ma che a Sanremo hanno collezionato una quantità di ultimi posti (o giù di lì) incredibili.

Sanremo in quei 3 lustri dunque dimostrò da un lato di aver compreso la necessità di rinnovarsi, ma al tempo stesso il pubblico sanremese, la giuria sanremese, il mondo sanremese non fu altrettanto pronto ad accogliere “il nuovo che avanza”. Il divario tra uno stile “classico” e la contemporaneità di certi artisti era ancora un ostacolo che le prime serate di Rai1 non potevano superare. Ma qualcosa stava per cambiare di lì a poco…

La fine dell’effetto “Carta-Scanu”

Uno dei Flop più evidenti degli ultimi anni si nasconde dietro l’ultimo posto di Riki, consumatosi lo scorso anno al Festival di Sanremo. Quello a cui stiamo assistendo è un progressivo scardinamento di quello che definiremo “Effetto Carta-Scanu”. Parlo di quel meccanismo che portava il vincitore di Amici (o X Factor) a vincere automaticamente Sanremo. Ma cos’è cambiato? Negli ultimi anni non sono mancate le partecipazioni al Festival da parte dei concorrenti dei talent. Ma è dal 2013, con la vittoria di Marco Mengoni, che uno di loro non si porta a casa la statuetta del Festival. Dopo Mengoni notiamo infatti un secondo posto di Francesca Michielin nel 2016 e un terzo posto di Annalisa nel 2018. Da lì un lento declino. Lontane sono le vittorie di Emma nel 2012, Valerio Scanu nel 2010 e Marco Carta nel 2009.

La musica negli ultimi 10 anni è cambiata radicalmente.

I mezzi di fruizione hanno permesso la creazione di spazi virtuali dentro cui gli artisti indipendenti hanno saputo sempre più spesso ritagliarsi una fetta di popolarità sempre più grossa. Ricordo bene come l’uscita di “Orgasmo” di Calcutta alla mezzanotte del 15 dicembre del 2017 eclissò completamente la vittoria di Lorenzo Licitra a X Factor. Voi lo ricordate Lorenzo Licitra? Io no. Con la lentezza che si concede a un organo istituzionale, anche Sanremo negli ultimi tempi si è aperto alla musica ascoltata e suonata davvero in Italia.

Progressivamente sono rientrati nel cast sempre meno fenomeni che del sudore di un tour non sapevano nulla. D’altro canto abbiamo visto sempre più progetti come gli Zen Circus, Ex Otago o Motta, che invece di palchi ne hanno calcati tanti. Intendiamoci, la quota “alternativa” c’è da decenni ma i risultati sono sempre stati scarsi. Il secondo posto de Lo Stato Sociale nel 2018 e il terzo posto dei Pinguini Tattici Nucleari dello scorso anno hanno sicuramente il sapore di un cambiamento non tanto per i brani portati all’Ariston quanto per aver avuto il merito di aver portato fuori dal ghetto l’intera “scena” indipendente, culmine di un processo iniziato una decina di anni fa.

Ma che fine faranno i vari Riki, Giordana Angi e compagnia cantando?

La soluzione gliela suggeriscono alcuni loro predecessori. L’esempio più lampante è quello di Francesca Michielin che dopo i suoi esordi tra X Factor e Sanremo, si è messa sotto e ha studiato. È riuscita a riabilitare completamente la sua figura artistica collaborando con Calcutta, Tommaso Paradiso e Cosmo prima e poi con Charlie Charles, Fabri Fibra, Giorgio Poi ecc. Un cambio di rotta molto intelligente. Notevole anche l’evoluzione di Elodie che in “This is Elodie” si è servita di collaborazioni importanti come quella di Dardust e Mahmood. O il caso più recente di Michele Bravi che, uscito da un periodo terribile, sembra aver trovato i favori della critica col disco La geografia del buio.

Insomma, se si è arrivati troppo presto in cima è troppo facile scivolare nel dimenticatoio. Ma se si ha la forza di reinventarsi, studiare, sgobbare perché fare musica è la propria esigenza, la propria urgenza, allora sarà difficile smettere di brillare.

A cura di Manuel Tomba, Arianna Colzi e Raffaele Annunziata

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