Il “dovere” della sofferenza: l’esordio di Vieri Cervelli Montel

Vieri Cervelli Montel era finito nelle mie cuffiette ad inizio estate 2021 con una spiazzante cover di “Almeno tu nell’universo”. Spiazzante perché non era l’ennesima versione più o meno fedele di una delle tracce più sacre del repertorio italiano quanto piuttosto una rilettura iconoclasta. Glaciale e con sospiri sanguigni. Prendere una canzone come fosse un vaso di vetro, distruggerla e ricostruirla conservando un’anima precisa in una pelle totalmente nuova.

Con queste aspettative, speziate da un tour con Incani, mi sono approcciato al primo lavoro dell’artista fiorentino, I (primo).

Nove tracce, da nebbia a primo. Il consiglio, banale, è di approcciarsi al disco come ad un lavoro corale in cui la successione delle tracce ricorda gli anelli di una catena senza interruzioni. Ha poco senso macinarlo con una lama netta traccia dopo traccia: lo smarrimento di nebbia diviene tempesta in maestrale. La narrazione a testa bassa di risveglio diviene litania celeste in stanca. Stanza è marmo che piange ricordi dello stesso materiale di scale, claustrofobica apolide onirofobia che esplode nel chiarore tetro di alba e di foto al mare. Il dettaglio dei se, dell’incertezza del tempo di ultimo che ricicla e chiude in primo.

Vieri Cervelli Montel – I [Ascolta Qui]

Le domande, le attese, le speranze, quel senso di precarietà che circonda ogni essere vivente quando il ciclo della vita si compie e le azioni della vita temporalizzano.

C’è la morte del padre, il letto vuoto, la madre e la famiglia che sopravvive e deve andare avanti.

È il “dovere” che muove tutto il disco e lo rende prezioso.

Quando da bambini ci feriamo, le nostre nonne insegnano a mettere il sale sulle ferite: sterilizziamo, disidratiamo e favoriamo la cicatrizzazione. Nel mentre, il bruciore ci devasta: la cura sembra essere peggio della noxa. Ecco: nel rigoroso silenzio con cui ho ascoltato il disco, ho pensato spesso a questo perfetto paradosso. Soffrire per guarire. È un principio ben noto in medicina e nella vita di tutti i giorni.

Come si può quindi immaginare, il disco non si presta a semplicistiche valutazioni. Ogni ferita affronta fasi e processi di rigenerazione complessi: la narrazione musicale si dirama in un continuo alternarsi di egocentrismi emotivi e cerchi concentrici di abbracci e slanci.

Un disco che va ascoltato, compreso e metabolizzato. Come ogni ferita, come ogni “dovere” della vita.

"I" è la prima uscita della Tanca records di Iosonouncane

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *